In Turchia oramai non si regolano più, mentre mezza Europa annaspa nella crisi economica sulle rive del Bosforo invece si investe a piene mani, forti di un PIL del +5% e di una crescita inarrestabile che sembra però essere solo agli inizi.
Lo sport, componente fondamentale della società della mezza luna, non è esente da questa straordinaria evoluzione ed il basket, come parte di esso, sta facendo sempre più parlare di sé in tutta Europa e non solo per gli investimenti milionari fatti dai suoi club, finalmente decisi a strappare a greci, russi o spagnoli l’egemonia continentale.
L’espansione del fenomeno Turchia è stata però graduale e ben ponderata, iniziando dalla costruzione di impianti adeguati e dalla ristrutturazione di quelli già esistenti, della serie prima mi costruisco la casa e poi penso a chi metterci dentro.
Successivamente si è pensato a far conoscere il paese al resto del mondo intero e ciò è avvenuto grazie all’organizzazione del mondiale di basket, della Final Four di Eurolega ed a operazioni di marketing degne dei paesi più all’avanguardia.
Giova a tal senso ricordare come i due sponsor principali dell’Eurolega (Turkish Airlines e Efes), siano turchi, così come è turco il marchio Beko che dà il nome al nostro campionato di Serie A.
Finalmente arriviamo alla parte che più ci interessa, quella tecnica, iniziata con gli investimenti chiamiamoli “all’acqua di rose” del Besiktas dello scorso anno, per altro già sconfessati quest’anno dopo lo scudetto storico della scorsa stagione e proseguita con quelli del Fenerbahce di questa estate ma soprattutto con quelli di questi giorni del Galatasaray.
Inutile evidenziare come sia stato il blitz che ha portato nel giro di poche ore Markoishvili da Cantù al Gala l’episodio che spinge a capire “perchè loro sì e noi no”.
Un presidente di calcio qualche anno fa gongolava nel dire “C’e’ chi può e chi non può, io può’” adesso cerchiamo di capire perchè “C’e’chi può e chi non può, e il Gala può”.
Il Galatasary, letteralmente “Palazzo di Galata” che è un quartiere di Istanbul è una polisportiva fondata nel 1905 dallo studente Ali Sami Yen (si proprio quello da cui prende il nome lo stadio da dove si narrava che i tifosi meno abbienti entrassero dai tombini).
E’ da sempre considerato il club più “chic” tra i 5 della capitale, quello dell’aristocrazia tanto per capirci, in totale quindi contrapposizione al Fenerbahce che è invece il club del popolo.
Da che mondo è mondo ai ricchi, ai più nobili e potenti, piace primeggiare e sfido chiunque a tal proposito a contare quante volte, nello statuto del club, compaia la parola “vincere”.
In ambito locale di vittorie ne arrivano 15 che sono gli scudetti conquistati, ma nel 1990 cala il sipario, non si vince più e club e relativi tifosi incominciano a vivere l’epoca più buia della storia del Galatasaray.
Arriviamo finalmente alla svolta: è l’estate del 2011 e l’assemblea dei soci elegge per acclamazione alla presidenza tale Unan Aysal, uomo d’affari turco con interessi nel campo dell’energia, conosciuto nei meandri della borsa di Istanbul come “la volpe” (vi lascio immaginare il perchè).
Patrimonio personale di questo signore vicino agli 800 milioni di verdoni e unica missione quella di portare il Galatasaray ai vertici dello sport europeo, costi quel che costi perchè come scritto nel dna del club conta solo vincere.
Per fare ciò, recentemente, il signor Aysal ha firmato personalmente un assegnino da 150 milioni per ricapitalizzare la baracca ma soprattutto avviato una campagna di marketing senza precedenti in Turchia perchè sempre e comunque business is business e buttar soldi dalla finestra non piace neanche a lui.
Il suo fiuto per gli affari, la sua capacità di capire sempre e comunque come investire per poi avere un ritorno, ha portato il club ad avere adesso 5 sponsor (tra cui Nike e Nikon tanto per capirne la valenza economica) che ne coprono parte delle spese e supporti governativi fondamentali nella gestione degli impianti sportivi.
Credo che il risultato dell’equazione adesso sia ben chiaro, così come l’irrilevanza della cifra investita per sostituire l’incauto Hawkins: in sostanza se vuole qualcosa se la va a prendere a meno che qualcuno non si intestardisca e decida di non dargliela.
Italiani e greci……..una faccia……..una razza….adesso più che mai, visto che Andrea Trinchieri è diventato un po’ a sorpresa il nuovo allenatore della nazionale ellenica.
Un po’a sorpresa perchè il suo nome non era certamente in cima alla lista dei dirigenti della federazione, obbligati a rimediare al disastro combinato da Zouros e seguaci.
In cima a questa lista c’era l’attuale tecnico del Bilbao, Fotzis Katzikaris, che già nel 2009 si era visto sfilare da sotto gli occhi all’ultimo minuto la panchina della nazionale da Kazlauskas.
Katzikaris si legò al dito questo sgarbo fattogli dalla federazione e trovatosi appiedato non potè fare altro che accettare a pochi giorni dall’inizio del campionato la panchina dell‘Aris di Salonicco che in un momento di solita follia nel frattempo aveva cacciato il nostro Mazzon.
Il tutto si risolse in una figuraccia annunciata con una squadra messa su in fretta e furia e la fuga sbattendo la porta verso Bilbao con l’intenzione di stare il più lontano possibile dal basket greco per un po’, anzi per un bel po’.
Quale occasione dunque migliore di questa per celebrare un matrimonio annunciato da tempo ma mai celebrato?
Niente da fare neanche questa volta, perchè la federazione greca si fa anticipare (forse non casualmente) da quella russa che dovendo sostituire nel frattempo Blatt, deciso a dedicarsi anima e corpo solo al Maccabi, si presenta a Bilbao con un bel contratto a sei zeri e decisa a chiudere per il nuovo allenatore della nazionale.
Katzikaris allora prende la sua rivincita attesa da 3 anni e si presenta con copia dell’offerta russa negli uffici ateniesi degli stessi funzionari che non mantennero la parola data nel 2009, sapendo perfettamente che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di migliorare o pareggiare l’offerta, ma uscendone da vincitore morale.
Sfumato per problemi “politici” l’eventuale ritorno di Yannakis si arriva finalmente Trinchieri, un tecnico straniero ma giovane, volenteroso e capace di riportare entusiasmo in un ambiente depresso ed incline a continue figure da cioccolataio al cospetto dell’opinione pubblica. Ah,particolare non del tutto irrilevante, un tecnico che oltretutto costa pure poco in termini di contratto rispetto ad altri più blasonati.
L’attuale coach di Cantù avrà come vantaggio quello di non poter far peggio del suo predecessore, capace di deludere all’ultimo Europeo ma soprattutto di fallire l’accesso all’Olimpiade di Londra a causa di quella vergognosa sconfitta subita contro la Nigeria di Dagunduro che tanto per capirci rimarrà negli annali allo strenuo calcistico ko degli azzurri contro la Corea del 1966.
Dopo tanti anni la nazionale greca avrà questa volta un blocco formato da giocatori dell’Olympiacos e dovrà cementarlo con gli ex Pana sparsi qua e là in Europa .
E’ già al lavoro comunque, le direttive arrivano precise e chiare sull’asse Cantù -Atene. soprattutto per evitare di avere spiacevoli sorprese quest’estate quando ci sarà da preparare l’Europeo di Slovenia.
A tale proposito spedirà dal 4 al 9 di febbraio i suoi uomini a Denver per trovare con Koufos, il suo entourage e soprattutto i Nuggets una situazione che possa soddisfare tutti.
Altrettanto verrà fatto a San Pietroburgo per Mavrokefalidis, si proprio quello preso a parolacce al Palaeur di Roma qualche anno fa quando vestiva la maglia della Lottomatica .
Queste sono le due priorità, i due casi probabilmente più complicati su cui lavorare per tempo.
Dopo, magari, ci scapperà pure una telefonata a Diamantidis per convincerlo a rivestire quella maglia della nazionale che non ha ancora trovato un degno successore.
Sarà molto difficile, dovesse riuscirci è già pronta una statua equestre per Andrea in Omonia Square.
Alessio Teresi