Daniel Hackett è il migliore della Virtus Bologna nella serie scudetto. Una lezione al presidente federale Petrucci, che in nazionale gli ha sempre rotto le scatole. I talenti spesso non hanno un carattere facile, Hackett per la nazionale andava coccolato, aspettato, non infastidito dall’oggi 78enne presidente federale.
Hackett meritava l’NBA, in 7 stagioni fra Grecia, Germania e Russia è stato l’italiano che ha inciso di più, in campo, in Europa. NBA magari non da titolare, ma da playmaker o guardia che comunque può decidere la partita.
Il -19 dell’Olimpia a Bologna, dopo il -18 rimonato in gara4 riequilibra gara7. Milano può perdere, non è così superiore a Bologna, le sfide dirette in stagione l’hanno dimostrato.
La geografia del basket italiano, chi tifa chi, fra i club, qui servirebbe uno studio troppo impegnativo, per me.
Dunque dico la mia prima della bellissima, sapete per chi tengo, naturalmente contro Claudio Limardi, da 11 anni capo ufficio stampa dell’Olimpia Milano e mai mi ha accreditato, neanche quando ero Tuttosport da Reggio Emilia e c’erano le finali scudetto.
Non ricordo quando iniziò il suo no, solo una volta me lo spiegò. “Hai fatto un titolo su Abass contro Della Valle”.
A un evento a Milano mi presentai che Maurizio Bezzecchi mi aveva appena ritirato l’accredito, a Reggio Emilia, facendomi saltare Tuttosport da Reggio Emilia, dopo 25 anni, grazie soprattutto alla reattività di Gianni de Pace, storico numero 2 della testata torinese, che anzichè dire “Vanni ha una testata, è un freelance, se pubblica un video mica lo fa per noi, al di là del nostro accredito”, mi diede una bella lezione di vita: “Quanti anni hai? Sei professionista? Speriamo ti serva da lezione”.
Dicevo, a quell’evento chiedo a Limardi: “Almeno non hai problemi se filmo Della Valle e compagni, dentro o fuori, vero?”. “Non fare il paparazzo”, rispose. All’epoca non andavo ancora in giro con almeno uno smartphone acceso, magari in diretta. Niente di male, però rende l’idea, anche per filmare, neanche da vicino, tesserati, molti pr vorrebbero poter dire “No, non ne vale la pena. Li disturbi”. Inaccettabile.
Ah, dal dopo covid neanche Bologna mi accredita, Jacopo Cavalli neanche è pubblicista. Il motivo è evitare le mie domande da ultimo, su grandi temi, e non avere le mie telecamere dei telefonini in azione, perchè, sapete, disturbo.
Che in realtà vuol dire: “Tuteliamo le esclusive della stampa che ci interessa, di sicuro non ci intesserano nè te nè le tue collaborazioni di oggi”.
Penso a Claudio Pea, accreditato da Bologna perchè tifa Bologna, non ho letto abbastanza per capire se vada anche a Milano, con accredito, ma immagino di sì, perchè lui può dire e scrivere quel che vuole. Ha la tessera Coni, ci mancherebbe, io la chiedo da anni ma il presidente regionale Paolo Reggianini si oppone, l’hanno invece concessa a molti colleghi, non so neanche se professionisti.
C’è un pò di differenza, Claudio Pea, fra un evento e immagino la cifra, e per questo bersagliare un grande professionista, e chi come il suo amico Simone Pianigiani e anche Kaukenas ha patteggiato per almeno 30mila euro, in nero, da Minucci, a Siena. E un giorno racconterò qui l’ex factotum della Mens Sana.
Al massimo, dunque, domani sera, andrò come un anno fa, a raccontare gli spettatori che escono, a salutare qualche amico che esce, giornalisti, personaggi.
Insomma il male del basket italiano sono io, di sicuro fra i giornalisti, almeno da quando uso lo smartphone, in passato anche 3, per sicurezza.
Dovrei spiegare ogni volta la differenza fra giornalista, tantopiù professionista, con il mio curriculum da freelance, escluso due mesi a contratto, a Il Giornale, a Milano, e gli specialisti che sanno tutto di basket, mai però hanno scritto partite o intervistato personaggi per stampa nazionale.
Un pò’ di basket l’ho fatto per Libero, ricordo 10 anni fa, circa, quando Massimiliano Menetti si lamentò per il titolo, quella volta lo proposi io, a Fabrizio Biasin, per la bella a Roma, dei quarti di finale: “Li cuoceremo a fuoco lento”. Max è chef e non perchè lo chiama così Pea.
Quanto scrivo mai è concordato con il direttore Fabrizio Noto, rappresenta solo il mio pensiero, libero, come quello di chi lavora a Libero, che per 7-8 anni mi ospitò più di altre testate.
Prendiamo le bellissime Giulia Cicchinè e prima Gaia Accoto, di altrettato di impatto, ora a Inter Channel.
Questa, dunque, è la mia Accoto. Anzi, avevo 7 minuti ulteriori, mai sono arrivati, credo, erano fatti con il suo cellulare, perchè a Cremona, 2019, non avevo due smarthphone e l’unico aveva finito spazio o batteria.
Rammento le parole di Giampiero Hruby: “Oh, lei è brava”. Intendeva: “Non intervistarla, lo faresti male”.
Passano alcuni minuti e Gaia mi viene a dire che la Lega non vuole, i suoi capi non vogliono e che le avrebbe nuociuto, alla carriera, rivelare la taglia del reggiseno…
Ovviamente, chi non ha voluto è stato solo Bezzecchi, avvisato appunto da Hruby.
Ora io mi chiedo con tutti i siti che fanno gossip, la stampa rosa, ma tantissimo anche sui siti di Gazzetta, Corriere dello sport e Tuttosport, dico, il problema sono io? In quasi un quarto d’ora è di cattivo gusto chiedere a una bellissima emergente la taglia? Può essere, siamo ai limiti, ma stampa rosa esiste e, sui social delle bellissime che poi vediamo in tv, vediamo a mio avviso anche troppo.
Dicevo, in tv scelgono sempre più donne e anche uomini per i quali le opzioni nelle società avvengono per amicizia e per conoscenza, raramente prima di tutto viene il curriculum.
Leggendo claudiopea.it, che a differenza mia ha una marea di informatori, fra cui Maurizio Bezzecchi, che l’ha fatto premiare con l’oscar Pietro Reverberi, apprendo che Veronica Bartoli è stata criticata da Ettore Messina per avere chiesto Mario Fioretti da Milano e poi avere virato sul tecnico greco, a Reggio Emilia. Il giornalista veneziano l’ha punzecchiata 2-3 volte, io l’ho fatto ogni tanto e non solo per il feeling personale che ho con Attilio Caja.
Nell’ultimo mese, non avevo l’accredito, a Reggio Emilia, non so quando ritornerà. Il punto resta la libertà di criticare, di accettare anche satira. Soprattutto, Veronica, come Maria Licia Ferrarini, mai mi racconterà la sua vita, al massimo lo fa con Martina Bortolani, oggi Reggio focus, in passato altre testate locali web. “Sono avvocato – mi ha detto Marina a un dibattito politico cocondotto da lei – e tanti si sono lamentati di non essere pubblicati, da noi”.
Cara Marina, come ho detto di persona, un freelance, da 33 anni, dal mio curriculum, è diverso da un lettore, da un politico, da personalità sicuramente superiori alla mia ma che non fanno giornalismo, di professione. Tantomeno inchieste, partendo dallo smartphone. Tantopiù gratis e a proprie spese, contro tutto e contro tutti.
Anni fa, prima di precipitare nella disoccupazione, parlai con Pasquini, all’hotel Best Western, verso Modena, dove ambiento le mie vigilie di calcio (avversario del Sassuolo) e basket, anche soltanto a filmare il pullman, di notte.
Ebbene, Pasquini mi disse di una idea: “Neanche la facciamo per i nostri social”.
Un tempo c’erano i giornalisti, le fonti, i personaggi, gli addetti stampa che non scrivevano e non esistevano social media manager, le bellissime in tv a parlare di sport erano poche, giusto Mabel Bocchi alla Domenica Sportiva, ma parliamo di una campionessa.
Oggi qualsiasi idea è vagliata dalle società, da grandi giornalisti come Claudio Limardi, che evidentemente ha dimenticato come lavorava da direttore di Superbasket, o anche meno grandi giornalisti o anche da non giornalisti o anche da bellissimi e bellissime, da parenti d’arte.
A Venezia andai per la finale di Fiba Europe cup, 2018, direi, comunque ancora facevo Tuttosport e quella sera strappai una notizia a Paolo Bramardo, capo delle varie. Chiesi di intervistare Daye junior, mi dissero di chiedere al procuratore.
Se Claudio Pea ha 74 anni, 22 più di me, ne ha viste un’infinità più di vannizagnoli.it, soprattutto perchè firma. De Il Giorno, di Superbasket, direi. Io amo quel giornalismo, come lui amo schierarmi, sempre però dalla parte di chi vince meno.
Sempre dalla parte delle persone.
L’ordine dei giornalisti fa nulla per tutelarmi, il sindacato Aser (assostampa Emilia Romagna) idem, l’Ussi, ovvero il Gergs (giornalisti emiliano romagnoli sportivi) ancor meno. Anzi, il presidente Paolo Reggianini, di Ussi, chiedeva che non fossi accreditato neppure al Modena, calcio, perchè disturbo.
Cioè, il Parma non mi fa parlare da 4 anni e mezzo, lui non fa nulla e anzi dice: “Non possiamo intervenire per gli accrediti con organizzazioni private”.
Incredibile. Eppure all’assemblea ha confermato che Gergs e Ussi e Aser sono sindacati. Che in teoria devono tutelare i senza contratto, dal momento che i redattori hanno il loro bello stipendio sicuro e anche altissimo, come ha ricordato Urbano Cairo, ai giornalisti di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport.
Alcuni redattori o capi servizio o capiredattori guardano proprio dall’alto al basso, storicamente, anche solo al telefono. In genere è meglio avere un altro mestiere ma collaborare in esclusiva con una testata locale e magari fare una corrispondenza nazionale, come Francesco Pioppi, da Reggio, Carlino e Gazzetta, dello sport, fra l’altro ex cestista. Da Reggio scriveva prima Ezio Fanticini, che quasi mai era al basket ma chiedeva al vice, a Carlino Reggio, sport, per molti anni, Daniele Barilli di firmare il pezzo con il suo nome, pur essendo Fanticini inviato in giro per l’Italia con la Reggiana.
Per una ventina d’anni ha firmato Daniele, ormai sarà una decina che scrive Pioppi, scelto da Andrea Tosi, da Bologna. Tosi che mai ha amato Barilli. Che su Carlino ha sempre fatto il personaggio, il caporubrica e l’opinionista sferzante, in qualche modo alla Claudio Pea, ma che sulla Gazzetta non poteva farlo, anche come scrittura. Tosi l’ha sopportato il più a lungo possibile, finchè fra l’altro Daniele è passato in provincia, a Carlino Reggio, e ora, a 62 anni, aspetta la pensione.
Spesso, in provincia, ci sono talenti di scrittura o di passione. Alle volte ci sono professionisti di altre professioni, grandi personalità, che scrivono meglio o hanno idee o si fanno seguire molto di più di deskisti in ombra, magari per loro scelta.
Mauro Grasselli, per esempio, dopo Maurizio Bezzecchi ha guidato il basket in Gazzetta, di Reggio, molto bene, con scrittura e anche idee. Poi ha lasciato a Linda Pigozzi, moglie di Giuseppe Galli, oggi di fatto numero 1 di Gazzetta di Reggio, perchè il direttore Luciano Tancredi e il vice Andrea Mastrangelo sono tali anche per Modena, Ferrara (La Nuova), Livorno (Tirreno) e Sassari, Nuova Sardegna.
Ecco, al di là del fatto che con Daniele Barilli non ci siamo mai sopportati, egli ha una grande qualità, non fa sconti. Non fa il pr aggiunto, non si è mai preoccupato della reazione dei dirigenti, ai suoi punti di vista. Questo, secondo vannizagnoli.it, fa tutta la differenza del mondo. Daniele non è un grande tecnico ma è un grande polemista, che si fa leggere e meritava tranquillamente il Carlino nazionale, come Angelo Costa. Altro fuoriclasse, caratterialmente più moderato, ma di sicuro non mi farà la sua vita in video.
Ah, a prescindere dall’accredito, Cavalli finge di non avere posto, anzi mi fa capire: “Stai pure a casa”, ci sarebbe il biglietto omaggio. Siamo lontanissimi, del resto il fine è che io non mi presenti più al basket e anzi che non scriva più in generale.
Per dare spazio ai sodali di ieri e di oggi, ai prescelti che di fatto seguono il carro giusto. Quelli che mettono di professione i mi piace agli interventi dei pr su facebook o twitter o instagram. Io mi ispiro a Francesco Guccini: “Scusate, non mi lego a questa schiera, morrò pecora nera”.
In realtà, come potete immaginare, a Bologna andrei al massimo 10 volte l’anno, fra campionato, Eurolega e playoff, per le gare chiave, a raccontare in video il più possibile, soprattutto i personaggi. Che tanti non li riconosca non importa, ma quando mi rivelano – chi non rifiuta – chi sono, ne conosco la storia a memoria.
A Milano, data la distanza, andrei forse 5 volte a stagione, in tante città in cui non sono mai stato al massimo una. Al sud non sono mai stato, per il basket, al centro dovrei concentrarmi ma credo neanche. Sono stato a Rimini e forse a Forlì, a Pesaro, a Milano, a Venezia, a Treviso solo per il volley, a Trieste direi che è nel materiale perduto. A Torino due volte per il volley, vorrei andare per il basket a Brescia, una solo da fuori e alla fine, ma nel vecchio impianto, direi. A Sassari non credo andrò mai, a Casale Monferrato per Tortona da due anni non passa, per di fatto, l’unica gara di semifinale in casa, sempre con Bologna. A Trento sono stato per la nazionale, a Varese fu nel materiale perso.