It’s that time again! È il momento di abbandonare classifiche, record, calcoli e statistiche perché iniziano i playoff e anche le pietre sanno trattarsi di un campionato a sé stante. Le 82 partite fin qui disputate sono servite solo a farci un’idea dei valori in campo ma, se credete che questi siano sufficienti per arrivare alle Finals, vi sbagliate di grosso: d’ora innanzi, la “foia” e la durezza mentale peseranno quanto e più dei valori tecnici, la capacità di adattarsi in corsa e rapidamente alle mosse avversarie sarà un fattore dirompente, la dotazione di all-star sarà condizione necessaria, sì, ma difficilmente sufficiente per arrivare in fondo, se queste non godranno del necessario supporto e, soprattutto, se non avranno le stimmate del leader.
Fatto questo pistolotto un po’ banale, ma propedeutico alla esplorazione del pianeta playoff per chi non sia avvezzo alla sua frequentazione, un po’ di cronaca per rinfrescare il come ci arriviamo, per poi tuffarci nelle acque agitate della preview e dei pronostici, cercando di non annegare.
Il volatone. Ci eravamo lasciati con sole due domande ancora insolute: la definizione delle ultime posizioni utili a Est e della graduatoria definitiva a Ovest, ove (inutile ed ipocrita nasconderselo) la corsa di sei squadre verteva intorno alla speranza di evitare il lato del tabellone contenente Warriors e, forse, Rockets.
Nella Eastern, la risposta giusta l’hanno data, nell’ordine, Detroit, con qualche affanno, ma col beneficio di un calendario amico, consolidando solo all’ultimo turno l’ottava piazza contro i derelitti Knicks; Orlando, autrice di una rimonta epica, sulle ali del proprio totem Vucevic e di un frontcourt che, oggettivamente, fa paura, dotato com’è del fenomeno Gordon e dell’emergente Terrence Ross: senza dubbio, la squadra più in palla del momento; e Brooklyn, sulle ali dell’esplosione di D’Angelo Russell (breakout season, se ce n’è una) e di una compattezza di squadra impressionante, capace di tirar fuori gli attributi in un finale che li vedeva fronteggiare, peraltro col fiatone, solo avversari d’alto lignaggio.
Non ce l’ha fatta Charlotte, nonostante l’eccezionale torneo disputato da Kemba Walker e un disperato tentativo di rimonta che l’ha portata a giocarsi tutto all’ultimo respiro; e sono, a fine ballo, rimasti con la scopa in mano gli Heat, nonostante le alchimie di Spoelstra e la voglia di Wade.
Nella Western, Portland è riuscita a tirarsi fuori dalle secche degli infortuni di McCollum (rientrante: occhio…) e Nurkic (ennesimo, spettacolare dramma delle ultime due stagioni) e soffiare a Houston il terzo posto. Mal glie ne incolse (almeno crediamo), perché, pur sbarazzandosi dell’ostacolo Harden, se ne trovano ora subito di fronte uno non meno rognoso: una OKC data per rassegnata all’ottavo posto (quasi una condanna in contumacia) ma che ha, invece, prodotto un colpo di reni niente male, beffando i Rockets e poi andando a sbancare Milwaukee… Come dire, non esattamente l’avversario preferibile per Lillard & Co.ù
L’ammainabandiera: due lunghi addii (molto diversi). A questo punto, ci si ferma e si dedica, in religiosa osservanza, qualche riga fissando il tramonto di due stelle che nessun appassionato della mia generazione potrà dimenticare. Sono stati due addii lunghi una stagione, quelli di Dirk Nowitzki e Dwyane Wade, ma molto diversi fra loro.
Wunderdirk è stato silenziosamente ai margini, militando con i Mavs che stanno costruendo un grande futuro, ma sono ancora tutto sommato, immersi fino al collo nel fango del rebuilding (e del tanking): già da tempo, ormai, la sua si è trasformata in una passerella atta a permettere a giocatori e tifosi avversari di tributare il doveroso omaggio (Doc Rivers, con il timeout chiesto apposta, il più emozionante) a quello che, forse, venendo da un altro mondo, ha fatto da apripista a quell’idea di lungo moderno che, ormai, diamo tutti per scontata.
Wade no: l’ormai leggendaria canotta numero 3 ha chiuso da protagonista, rincorrendo il sogno di un’ultima presenza in post-season che (non nascondiamoci dietro un dito) tutti gli appassionati auspicavano. Che dire, di lui? Sa fare tutto, la miglior guardia di una generazione, dopo Kobe, nonché l’ultimo samurai di Miami, la Miami degli anelli e della popolarità, in larga parte dovuti a lui, la Miami in mezzo al guado che ha sfiorato i playoff e che, ci fosse arrivata, avrebbe dovuto, in buona misura, aggiungere l’ennesimo debito verso la propria superstar. Stella cadente della quale mi piace lasciarvi, come ultima immagine, il buzzer pazzesco della vittoria contro Golden State: l’ultimo samurai che sconfigge i campioni, il fotogramma di uno splendido film.
Ma, soprattutto, mi preme sottolineare come i due non abbiano solo in comune lo status di superstar, ma che, a rimorchio di un altro immenso artista, Manu Ginobili, siamo attori protagonisti, oggi, del tramonto di un’epoca cestistica: quella dei giocatori che diventano grandi legando indissolubilmente le proprie gesta ad una e una sola franchigia, portandola ove prima nessuno mai e coniugando il proprio nome con quello di una città. Non di un semplice saluto, si tratta, dunque, ma di un ammainabandiera che farà per sempre parte dei nostri ricordi; ho idea che non passerà molto prima che di queste figure sentiremo la mancanza…
La selezione naturale nel mondo ostile chiamato playoff. Veniamo al dunque: chi legge, oggi, di NBA, lo fa cercando notizie, pronostici, programma del momento più bello ed appassionante della stagione. Sono le sedici franchigie migliori, forse le più forti squadre di club al mondo e, come detto, tatticismi e calcoli, a questo punto, non esistono più: si entra in un modo di intendere lo sport completamente differente da quello vissuto in stagione regolare e di cui abbiamo avuto solo un primo assaggio nella volata finale raccontata poc’anzi. Qui contano i valori e l’esperienza, qui si combatte o si va fuori, qui non sono ammessi cali di tensione, “qui si parrà la tua nobilitate”, è il monito dantesco da affiggere sulla porta d’accesso alla postseason, rivolto alle giovani star o aspiranti tali. Un darwinismo sociale tanto feroce che gli effetti della globalizzazione, a confronto, sono mazzi di fiori.
Repetita iuvant: occorreva ribadire il concetto prima di addentrarci in una breve preview, perché l’elemento “cazzimma” e il tasso di esperienza e cattiveria agonistica saranno il nostro Viriglio, calandoci nell’agone infernale della post-season, com’è naturale per un periodico come #insideout, tutto votato all’amore romantico per la palla a spicchi e cordialmente scettico verso le statistiche tout court.
Nella Eastern Conference i pronostici paiono agevoli, se ci si sofferma sull’andamento dell’intera stagione regolare, dominata dal principio alla fine da tre squadre, con quarta e quinta in lotta fra loro solo per il fattore campo ai playoff. Solo tre piazze da assegnare alle candidate vittime sacrificali per Milwaukee, Toronto e Philadelphia: più forti, più grosse, più profonde, più esperte. L’inerzia sulla scia della quale ci si avvia al primo turno, tuttavia, arride alle new entry, arrivate di rincorsa e sull’onda lunga di entusiasmo giovanile, forma fisica invidiabile e talento emergente.
1 Milwaukee vs 8 Detroit. La sola Detroit pare in affanno, lasciando presagire lo sweep nella sfida con la prima della classe, i Bucks del candidato numero uno al titolo di MVP della regular season, il greco volante. I Bucks hanno cambiato volto con l’arrivo di coach Bud e la difesa nell’uno contro uno e lontano dalla palla, così come l’attacco five-out, sembrano fatti su misura per rappresentare un rebus inestricabile per dei Pistons in fase calante, la cui speranza, per salvare almeno la faccia, è il rientro, da subito e sugli standard usuali, di una delle star più evolute e sottovalutate del pianeta: Blake Griffin. Brook Lopez, con le sue minacce da qualunque posizione e la capacità elitaria di aprire il campo ad Antetokounmpo, il nostro giocatore da seguire.
2 Toronto vs 7 Orlando. Non scherziamo: i Raptors hanno condotto una stagione continua ed esemplare, ricollocato Leonard nel rango che gli spetta (élite player), costruito un sistema funzionante, armonioso e ben bilanciato e trovato in Siakam il principale candidato a MIP e un formidabile stretch big (la nostra chiave di lettura dell’intera stagione). Però non parliamo di sweep, please: non tanto per il pareggio di bilancio in RS, quanto per l’incredibile finale di stagione dei Magic, davvero capaci di stupire per profondità e sfacciataggine. Il futuro è roseo e magari non sarà adesso, ma il 4-0, non fosse altro che per il callo fattoci, ogni anno, a veder penare i canadesi neii playoff, sembra solo un miraggio. Noi non ci stupiremmo affatto di assistere a più di una gara concludersi in crunch time, ecco perché indichiamo in Leonard, go-to-guy dei momenti che contano, il giocatore-chiave.
3 Philadelphia vs 6 Brooklyn. I 76ers sono nati per vincere (almeno più che nella scorsa stagione), hanno aggiunto prima un risolutore come Butler, poi un all-around tra i più sottovalutati al mondo (dev’essere una specie di etichetta che i Clippers ti cuciono addosso…) ma capace di cambiare il volto anche ad una contender, come Tobias Harris. Praticamente, condannati al successo. Detto ciò, probabilmente ci sbaglieremo, perché i Nets sono, senza ombra di dubbio, i ragazzini più spaesati e fragili del club dei 16, quasi nessuno abituato all’atmosfera rarefatta e leggermente venefica dei playoff, ma la sensazione è che anche Phila se la dovrà sudare. I Nets han preso fiducia, lottano su ogni pallone, hanno trovato ghiaccio nelle vene di Russell; concedono non chili, tonnellate ai lunghi avversari ma Embiid rischia di saltare una o due partite a causa del solito ginocchio e, soprattutto, i bianconeri hanno un paio di cose che nella città dell’amore fraterno se le sognano: una second unit superiore ed una compattezza di spogliatoio ormai contagiosa, virale. Basteranno, per portarne a casa almeno una? La nostra risposta è: boh! Ma il rischio c’è, eccome. Per cui un occhio alla sfida buttatelo.
4 Boston vs 5 Indiana. Alla luce del record stagionale, la gara più equilibrata, eppure non c’è anima viva che butterebbe due euro sui Pacers. Qui esperienza e blasone pesano tantissimo e forse condizionano più psicologicamente gli osservatori che gli equilibri in campo. Era tempo che non si vedevano Celtics così farraginosi e disuniti, mentre ad Indianapolis si corciavano le maniche e stupivano il mondo per regolarità svizzera e capacità di far fronte nientemeno che alla perdita di Oladipo per la stagione intera. Oh, niente niente McMillan ha trasformato perfino il talento sconfinato ma monocorde di Bogie Bogdanovic in un giocatore completo e perfino in un signor difensore! Noi, scusate, non scommetteremmo due euro neppure contro i Pacers…Ma tre sì, perché di Irving (e Horford, che per noi resta sempre un allenatore in campo imprescindibile) ce n’è uno solo e la sua fame finirà per vincere…Dite di no? Ah, per inciso, mancherà anche Smart, sul fronte celtico. Non sottovalutate questo aspetto.
Nella Western Conference la situazione appare molto più complicata, se teniamo conto dell’equilibrio vigente fin da inizio stagione. Pur tra difficoltà, ritardi, problemi di spogliatoio e infortuni, la squadra da battere resta una sola, ma nessuno avrebbe pronosticato 25 sconfitte in stagione…Beh, azzerate tutto, perché i Warriors hanno blindato il primo posto vincendo le partite che contano: per noi, è già un grosso segnale di ciò che ci aspetta in post-season. Ma dietro è bagarre, le rivelazioni, qui, occupano le prime piazze, mentre veri e propri animali da playoff covano sotto le ceneri della parte bassa del tabellone, pertanto nessuno, e men che meno #insideout, può dire di avere in mano alcuna certezza. Se, però, un fattore campo può essere ribaltato e superato, è probabile che questo avvenga ad Ovest e non necessariamente solo in una sfida!
1 Golden State vs 8 Los Angeles Clippers. La corazzata contro la rivelazione: vale molto di quanto già detto parlando di Philadelphia-Brooklyn, ma la bilancia pende, se possibile, ancora di più dal lato della prima della classe, che saluterà la Oracle Arena per spostarsi presto nella più ricca San Francisco. Emozioni a parte, ai Clippers spetterà cercare di non far salire di ritmo gli avversari, rispondere colpo su colpo alle cattiverie sportive dei campioni e far valere l’impatto sulla partita, clamoroso, del tandem off the bench più efficiente e produttivo della Lega: l’intramontabile Lou Williams e la rivelazione Harrell, per cercare di vincere almeno una partita allo Staples. Troppo giovani i rampolli che gravitano intorno al Gallo per sperare in qualcosa di più, sarà probabilmente, il turno successivo a mettere a più dura prova la residua fame di vittorie di una dinastia forse avviata al tramonto. Jerry West, coartefice di tanti successi sulla baia, ora è alla guida degli avversari, che ambiscono, chissà, a subentrare sul trono, nel prossimo futuro, in barba ai più blasonati cugini, a Magic Johnson (che ha appena pagato con il posto di lavoro gli errori strategici sul mercato) e al Re LeBron, relegato, momentaneamente, sul divano di casa. Sweep in vista, forse, ma certo i motivi di interesse non scarseggiano…
2 Denver vs 7 San Antonio. Duello in slow motion, quello tra Nuggets e Spurs, due realtà tra le più cadenzate della Lega. Denver è stata, per distacco, la rivelazione dell’anno, grazie, soprattutto, a Jokic, vero point center, ma anche al boom di Murray e Harris per un freschissimo e atipico big three. Gli Spurs, tuttavia, sono una squadra rognosissima, maledettamente atipica, zeppa di animali da playoff e da midrange, scorrazzanti, cioè, nel deserto lasciato dalle altre squadre. In più, c’è un Derozan affamato di riscatto, dopo il penoso addio a Toronto, la scorsa estate. Il talento in Colorado è infinitamente superiore, così come esperienza e furbizia in Texas. Ove, sia detto fuori dai denti, c’è anche una second unit dannatamente forte e completamente diversa dallo starting five, capace, quindi, di cambiare le carte in tavola alla partita. Crediamo in una serie molto più aperta di quanto si creda e, anche se Jokic rappresenta il futuro su cui noi stessi abbiamo fortemente investito, azzardiamo, sì, Denver, ma, nello stesso tempo, non scommetteremmo una lira fuori corso contro il Pop…
3 Portland vs 6 Oklahoma City. Di gran lunga la serie più affascinante dell’intero tabellone. Lillard contro Westbrook è roba da palati sopraffini, una sfida tra point guard completamente diverse ma altrettanto talentuose. Diciamo che la ciambella infornata dai Blazers, arrivando terzi nonostante le pesantissime assenze, è riuscita con un buco un po’ deforme a causa proprio della resurrezione al fotofinish dei Thunder, che, con le ultime due vittorie, hanno evitato, in un colpo solo, i Warriors al primo turno e i Rockets al secondo, spianandosi la strada verso le finali di Conference. O almeno questo dev’essere stato il pensiero di mister tripla doppia e di Paul George, uomo-chiave dei possibili successi targati OKC. Una coppia di fuoriclasse, supportata da una difesa che ci ha sorpreso, capace di tutto: può sbancare l’Oregon e poi riperdere il fattore campo, uscire al primo turno come arrivare alle Finals. Sono loro la mina vagante di questa postseason e, ne siamo certi, lo stesso Dame deve aver contratto il volto in una smorfia di disappunto, conoscendo il nome del suo avversario. Se aprissimo un sondaggio qui ed ora, la mia spider contro un dollaro che due terzi dei lettori voterebbero Oklahoma, ma la verità è che questa sfida sfugge ad ogni pronostico. Occhi sgranati e pop corn in mano, per un gustoso antipasto di una possibile finalista!
4 Houston vs 5 Utah. Quella che, per ranking finale, dovrebbe essere la sfida più equilibrata, è, invece nei pronostici di tutti, una delle più scontate. Houston è stata costruita per vincere, pochi dubbi, Utah per eguagliare i successi dello scorso anno, possibilmente superarli. Entrambe partite malissimo, hanno poi invece trovato continuità di risultati, i Rockets con un uomo solo al comando, alla sua stagione più dirompente, i Jazz ritrovando la propria stellina Mitchell e il proprio gioco. Perdere ad OKC dev’essere, però, suonato doppiamente beffardo per James Harden, che rischia di ritrovarsi i Warriors di fronte nuovamente in semifinale. Prima, però c’è la difesa di Utah, da superare. Basterà la proverbiale capacità dei mormoni di spezzare i pick & roll, per fermare “the chef”? Difficile crederlo, tuttavia sarà sicuramente un fattore. Ecco perché #insideout indica in Chris Paul l’arma in più e il possibile uomo-chiave della contesa, colui che, nei momenti di difficoltà, può girare le sorti appannaggio dei favoriti.
Bando alle ciance, però, stasera si comincia. Coraggio, tutto d’un fiato, questo primo turno! E, per chi non reggesse le ore piccole, ci sarà il prossimo numero di #insideout a raccontarvi i fatti salienti e, come sempre, a fare le pulci ai playoff.
Stay tuned!