Chiusa la prima settimana di Playoffs, facciamo un breve (ah, ah…) punto sulla situazione.
Pronostici per lo più rispettati, pur con le due notevoli eccezioni di Spurs e Magic, ma ci torniamo dopo.
Pur con la parte buona del referto che alla fine va dove ti aspetteresti, lo svolgimento delle partite è invece spesso inatteso, con una pletora di gare magari non bellissime dal punto di vista del gioco, ma sempre piuttosto tirate. Insomma, tutto sommato un buon primo turno, ma vediamolo nel dettaglio.
[b]Eastern Conference
Chicago – Indiana: 3 – 1[/b]
Per i Bulls, in attesa che terminino di espletare le ultime formalità al check in del secondo turno, ci sono due notizie buone e una cattiva.
La prima buona notizia è che Rose è un campione. Potrà sembrare una banalità, detta del futuro MVP 2011, ma io sinceramente in Rose ho sempre creduto molto poco. Forte, certo, ma difficilmente uno che sposta. E invece ha dimostrato in tutte e 4 le partite (anche se nell’ultima non è riuscito a completare il miracolo) di essere un giocatore da quarto quarto fenomenale. Come stile di gioco, tecnica e fisico mi ricorda molto Allen Iverson, con però il vantaggio di essere allenabile e di non essere affetto da disturbi della personalità.
La seconda buona notizia è che Tibodeau è un grande allenatore. Al di là del probabile riconoscimento stagionale, direi che l’ex defensive coach dei C’s ha sciolto ogni dubbio sulle sue capacità di guidare una squadra mettendoci la faccia. Sa mettere in piedi (e a tempo di record) una difesa da contender, sa gestire decorosamente un attacco, la pressione del ruolo, sa insegnare e far migliorare i suoi giocatori. Un esempio su tutti: ha convinto Boozer (!) a piegare le ginocchia in difesa (a Fatima sono ancora offesi, perché credevano di avere l’esclusiva sui miracoli).
Ora però la brutta notizia: sei 3 a 1, e potresti tranquillamente essere 0 a 4 contro i Pacers, ovvero una squadra dal talento modesto, dall’atletismo non sorprendente, senza nessuna esperienza, con un coach esordiente e un go to guy anonimo con Granger. Come pensano di cavarsela contro Boston o Miami?
A Chicago serve come minimo del tempo (2 – 3 anni), in cui Tibodeau possa lavorare continuativamente su questo gruppo, e possibilmente anche uno scambio che li privi di uno fra Deng e Boozer in cambio di un realizzatore più affidabile. Indubitabile comunque che sia nata una stella.
[b]Boston – NewYork: 4 – 0[/b]
Boston ha buttato nel cesso una prima parte di stagione sorprendente, perdendo nell’ultima settimana il fattore campo nel secondo turno con gli Heat e il privilegio di affrontare gli anonimi Sixers, prendendosi invece il rischio degli imprevedibili Knicks.
Un po’ di fortuna (gli infortuni a Billups e Stoudamire), e il loro tornare quelli di inizio stagione hanno fatto sì che la serie (a parte un po’ di thrilling nel finale di gara uno, con tripla quasi allo scadere di Allen) non cominciasse mai davvero. Pierce a Allen eroi realizzativi di gara 2, Rondo (tripla doppia ai 20 assist) da playstation per gara 3, ancora Rondo, ma soprattutto un arzillo Garnett in copartecipazione con Davis in gara 4, e i Knicks se ne tornano a casa.
D’antony ha probabilmente allenato la sua ultima partita in bluarancio. Non credo che Billups, Anthony e Stoudamire possano giocare insieme, ma di certo non possono farlo nel sistema del Baffo. Con un allenatore tradizionale, e un gioco a basso numero di possessi forse ci possono provare. Comunque, tutti tranquilli. Fra poco torna lo Zio Isaiah, e ci pensa lui.
[b]Miami – Phila: 3 – 1[/b]
Serie dal pronostico sicuro come la Minetti nel listino della Lombardia: troppo alto il divario di talento e atletismo tra le due squadre; l’unico dubbio era su quanto gli Heat avrebbero lasciato giù prima di passare al prossimo turno. La serie è iniziata piuttosto bene: in gara 1 Miami fatica più del dovuto, ma mette in mostra due cose molto interessanti; la prima è la durezza mentale: nel primo quarto dei Sixers senza preoccupazioni infilano nel canestro qualsiasi cosa lancino in aria, doppiando gli avversari al suono della sirena. Gli Heat però non mollano, e soprattutto non si fanno prendere dal panico. Fanno la sola cosa che sanno fare: difendono, e un pezzo alla volta erodono il vantaggio avversario, fino a andare in comodo vantaggio. L’altra cosa buona è la distribuzione dei compiti: non essendo come già abbondantemente detto in grado di collaborare e valorizzarsi a vicenda, almeno le 3 stelle fanno ognuno quello che sa fare meglio: Bosh segna punti (27), James fa giocare, e Wade si risparmia per il finale, dove mette a segno le ultime giocate per la vittoria. Gara due e tre vanno come dovrebbero, ovvero un massacro. I Sixers sono ostaggio del contratto e dell’essere fuori ruolo di Iguodala, di un Brand ormai irriconoscibile e di una serie di giovinastri di belle speranze, che a turno azzeccano una buona partita, ma non danno nessuna continuità. Niente tiro da 3, niente penetrazioni, nessuno che batta il suo uomo. Sarebbero forti in contropiede, ma non sono in grado di generarne, data la totale mancanza di intimidazione in area. Insomma, una cosa è cavarsela in qualche modo con Nets, Warriors e Twolves, un’altra è fare la differenza nei playoffs. In questa seconda ottica, Phila non ha ovviamente un presente, ma non mi sembra avere nemmeno un futuro. Riguardo invece a gara 4, se non fosse che sto in Italia (e anche un po’ che James è un armadio di muscoli da 2,05m per 120 Kg …), sarei andato in campo a prendere a sberle singolarmente tutti gli Heat. Dopo la solita partita svogliata avevano messo in evidente stato confusionale i Sixers con la loro difesa (stoppate numerose come le uova di cioccolato a Pasqua quando hai dei figli piccoli) e avevano ormai portato a casa la serie, poi accade l’imponderabile: Holiday e Williams in due azioni successive mettono due triple con due tiri oltre il limite del buon senso e della decenza, che però per beffa del destino entrano tutte e due a ciuffo. E’ evidente che sia esclusivamente fortuna (se ci riprovassero mille volte, le sbaglierebbero entrambe), ma quando sei così più forte del tuo avversario hai il dovere di metterti al sicuro dai colpi avversi della sorte. Da segnalare anche le due orribili conclusioni in rigorosa solitaria sbagliate nel finale prima da Wade e poi da James.
[b]Orlando – Atlanta: 1 – 3[/b]
Piuttosto 50 punti di Howard, ma nessun tiro facile da tre per gli altri. Con questo mantra, e ipertrofiche dosi di Jamal Crawford dalla panca, gli Hawks stanno portando a termine uno dei colpi più inattesi del primo turno. La stagione di Orlando non è ancora finita, credo che possano vincere abbastanza agilmente gara 5 in casa (anche solo come reazione d’orgoglio), e che un’eventuale settima in casa sarebbe agguantabile, complici anche gli Hawks, con record di gara 7 nei playoffs non proprio immacolato… Il problema vero è la sesta ad Atlanta, rischio enorme per i ragazzi di Van Gundy. Se Orlando uscisse al primo turno, la sua cacciata sarebbe abbastanza inevitabile, anche se non ne capirei bene il vantaggio. Questa squadra probabilmente non è da titolo, ma è stata assemblata per giocare in questo modo: ciò significa che giocando così realizza il massimo del suo potenziale, e per giocare così SVG è il miglior coach che possono trovare: cambiare coach e sistema di gioco porterà solo a peggioramenti, e alla probabile dipartita di Howard per andare a LA, a cercare di dare conforto nella vecchiaia al prode Kobe. Un esempio del fatto che un cambio di gioco sarebbe deleterio, si può avere con Turkoglu. Giocatore decisivo nell’anno della finale, poi per soldi e conflitti con il coach sverna (!?) a Toronto, gioco più lento e meno fantasioso; risultato: una tragggedia. Allora riprova con un gioco più rapido, contropiede, tanto tiro da tre, a Phoenix: peccato che però la palla sia sempre in mano a Nash, e lui come tiratore sugli scarichi sia poco più che modesto. Inaccettabile per quei soldi. Poi torna all’ovile e, pur senza tornare un MVP da finali, ridiventa in pochi giorni un utilissimo elemento del sistema. Sono sicuri a Orlando di voler cambiare?
[b]Western Confernence
SanAntonio – Memphis: 1 – 3[/b]
A una partita dalla fine della regular season erano la squadra col miglior record della lega. Una settimana (giocata) dopo, e parliamo di tramonto dell’impero. Appare oggi difficile pensare che QUESTI Spurs raddrizzino la serie. Un solo segreto dietro a tutto questo: Manu Ginobili. Arrivato inusualmente in forma e riposato a inizio stagione (avendo declinato gli inviti estivi della sua nazionale), l’argentino ha guidato i neroargento dove nessuno si aspettava, infrangendo quasi tutte le ferree regole del Pop. Togli (per l’ultimo infortunio) questo elemento, e ti accorgi che a SanAntonio è rimasto proprio poco, soprattutto in quello che a sorpresa è stato l’elemento trainante della stagione dei Texani, ovvero l’attacco.
L’ufficio di Nonno Duncan, da cui per anni ha spiegato pallacanestro a tutta la lega, oggi non garantisce più molto. Certo, 10-15 punti da nostalgia possono sempre arrivare, ma di certo la gestione di Duncan non richiede più raddoppi sistematici, che liberino giocatori sul perimetro. Parker può segnare, magari anche tanto (come in gara 4), e senza nemmeno bisogno di aiuto da parte dei compagni, ma di certo non può creare per i compagni. L’unico in grado di segnare battendo l’uomo (specie nei finali) e di costruire tiri per gli altri è El Narigon, che però in questa serie fa letteralmente quello che può. Certo, Memphis ha i suoi meriti, soprattutto sotto canestro, con uno Zibo stratosferico, un Gasol solido e un Conley perfino sopra le righe, ma stiamo pur sempre parlando di una squadra di mezza classifica, al suo esordio ai PO (per la maggior parte del roster) e priva del suo miglior giocatore (Rudy Gay).
L’attacco di SanAntonio senza Ginobili tartaglia (91 punti di media, 43% dal campo, 30% da tre), e la difesa non è più quella di un tempo. Riesce a essere sufficiente per 3 quarti, per ritornare molto buona per i 5 minuti finali. Quindi SE arrivano vicini nel punteggio nel finale, SE Ginobili è in una forma accettabile, SE il tiro da tre entra, riescono ancora a vincere…
E se mia nonna avesse le ruote, sarebbe una cariola.
[b]Dallas – Portland: 3 – 2[/b]
Portland sembra la fotocopia dello scorso anno, massacrata di infortuni ed in crisi di identità, ma con tanto orgoglio. Roy infortunato che accelera il ritorno e, pur su una gamba sola, ti vince una partita con atti di eroismo, ma poi alla fine la voglia di vincere non basta contro il destino avverso.
Troppi giocatori nel back court dei Blazers, Miller, Wallace, Mattews, Roy, Fernandez, tutti forti, ma nessuno (con la sola esclusione di Roy, se fosse sano) dominante, e per di più senza una graduatoria chiara tra loro: colpa di McMillan, ma colpa soprattutto degli infortuni. Alridge (MVP della serie, fra le altre cose) a mio parere è una sorta di Bosh dei poveri (o dei ricchi, a ben guardare), ovvero un’incredibile macchina da statistiche individuali che tende a scorrere parallela rispetto ai risultati della squadra, senza intersecarsi mai.
Dallas invece è sempre Dallas. Più forte in difesa grazie all’innesto di Chandler, con un Kidd che si è ritrovato tiratore dopo aver ottenuto la tessera a punti della piscina di Cocoon. La perdita per infortunio di Butler li ha danneggiati fino ad un certo punto, dal momento che se fosse stato disponibile avrebbe di fatto giocato al posto di Marion, che non sta andando affatto male. Il Problema però è il solito sospetto che manchi durezza mentale. Quando (come in gara 4) vieni rimontato da una squadra palesemente inferiore, e non riesci a fare niente per evitarlo, tornano alla mente di tutti i fantasmi della finale del 2006. Ma, cosa ancor più grave, sembra i che i ricordi vengano soprattutto ai giocatori dei Mavs. Nowitzki, dominante nel quarto quarto di gara 1, si è poi andato spegnendo nel prosieguo della serie, e anche se dovessero (come sembra) eliminare i malconci Blazers, non credo possano andare molto oltre.
[b]Oklahoma City – Denver: 3 – 1[/b]
Doveva essere la serie più combattuta e più divertente, mentre sembra che i Thunder siano troppo forti per questi Nuggets. Complice anche un Gallo decisamente spaesato, che ha bucato quasi tutte le partite della serie. A ben guardare non è che sia questa gran sorpresa la disfatta di Denver. In fondo la squadra si è composta per fusione di due nuclei (nessuno dei quali per altro dominante, ma semplicemente buono), e l’indirizzo tecnico è stato all’incirca il “volemose bene”. Ovvero: siamo tutti talentuosi, bravi ragazzi (oddio, forse con l’eccezione di JR), giovani, atletici, allenabili, disponibili, ci impegniamo e non siamo egoisti, oggi tiro io, domani tu. E’ chiaro che questa anarchia tecnica e un po’ utopistica poteva funzionare al meglio solo in un contesto disteso: finale di stagione, nessuna aspettativa, altre squadre spesso con i remi in barca, importanza della singola gara molto ridotta. Ai playoffs invece, quando ogni palla conta e gli avversari hanno tempo di preparare ogni partita contro i tuoi punti deboli, la musica cambia, e il volemose bene diventa un arrembaggio disordinato, in cui ognuno cerca di fare quel che può, e a sfigurare di più sono guarda caso i giocatori che come DNA sono più “di squadra” (il Gallo su tutti, Smith sembra aver sofferto molto meno…). Poi bisogna rendere il giusto omaggio ai Thunder. Il terzetto Durant, Westbrook e Harden è fenomenale, e Ibaka e Perkins sono l’indispensabile contrappunto difensivo ad una squadra con un formidabile attacco, anche se a trazione un po’ troppo posteriore. Qualche anno fa forse questo sarebbe bastato per un anello (si pensi ai Bulls del primo threepeat, non avevano tantissimo di più, come roster), ma oggi la concentrazione dei talenti in poche corazzate (Lakers, Celtics, Heat, Mavs, Knicks …) e soprattutto le difese a zona, che rendono molto meno determinante un giocatore di uno contro uno (fra Durant e il Jordan dei primi anni 90 io non vedo così tante differenze in termini di dominio sulla partita) fanno sì che questo non sia più sufficiente. Non sono sicuro che manchi qualcosa ai Thunder in fatto di roster (a meno forse di qualche punto da sotto, o comunque un mismatch positivo di un lungo, cose ne direste se arrivasse il Mago?). E’ però necessario attendere ancora 1 – 2 anni perché i giocatori acquisiscano familiarità tra loro, col sistema di gioco, e che Durant sviluppi fino in fondo quella cattiveria agonistica che è indispensabile per vincere. Pur senza riconoscere particolari demeriti a Scott Brooks, io farei anche un pensierino ad un nuovo coach, con più carisma e esperienza di playoffs, per far fare ai Thunder l’ultimo salto.
[b]Los Angeles – New Orleans: 2 – 2[/b]
Avrei potuto risparmiarvi tutti questi commenti, e dirvi semplicemente che quest’anno il titolo lo vincono i Lakers. Chi vedesse la situazione della serie potrebbe pensare a una leggera esagerazione. Chi però ha visto gara 3, credo sappia perfettamente di cosa parlo. I Lakers (come ogni anno, ma forse stavolta con maggior arroganza e sicurezza nei loro mezzi) si sono presentati a questa serie in ciabatte.
Non ritengono nessun avversario alla loro altezza, e quindi per pigrizia lo affrontano cercando di vincere con il minimo sforzo.
Hanno la miglior batteria di lunghi dell’intera lega, forse di sempre: Gasol, Bynum, Odom, con la simpatica partecipazione di Artest (che ci ha tenuto a far sapere che, dopo una melina di 8 mesi, per questi PO ci sarebbe anche lui). Non solo sono individualmente molto alti e molto bravi, ma giocano anche insieme come nessun altro. I passaggi tra i lunghi, le rispettive posizioni, i tagli, il modo di servire il taglio in backdoor delle guardie, tutto assolutamente impareggiabile. Nessuna squadra NBA può giocare contro una frontline così. L’anno scorso ci sono riusciti solo i Celtics, ma avevano Perkins e Wallace, quest’anno hanno un certo numero di O’neal in forma questionabile, e il trasparente Krstic. Di certo nulla possono i piccolissimi Okafor e Landry, così come un momento di dolorosa comprensione va al povero Belinelli che deve occuparsi di Artest, pur pesando meno delle catene che quest’ultimo si porta abitualmente al collo. Gasol, invisibile per quasi tutta la serie, ha deciso di infilare le scarpe per giocare 4-5 possessi nel finale di gara 3, quando un Paul in recidiva violazione di ogni legge del buon senso stava per fare ai Lakers un brutto scherzo. Risultato: tornate a casa bambini, che adesso giocano i grandi.
Il tutto ovviamente al netto di Kobe. In una partita di PO ti aspetteresti che il tuo miglior giocatore avesse come unica preoccupazione il tentare di vincerla. Bryant no. Lui … lancia messaggi.
Fa 40 punti tirando tutto quello che tocca per dimostrare agli altri che non si stanno impegnando. Poi non tira mai, per far vedere che può dominare una partita anche in difesa. Poi ne fa 30, perché vuole dimostrare che lui se vuole può anche difendere, ma resta un realizzatore, e quindi le partite preferisce vincerle segnando tanto, ma comunque è disponibile a sacrificarsi e fare tutto ciò che serve per vincere. Scalfaro al confronto era uno che si teneva tutto dentro. Non so se per gara 5 pensa, mentre mette il tiro della vittoria, di mimarci il titolo di un film o di recensire un’opera teatrale. Comunque l’impressione è che la serie con il mirabile Paul lo impegni il giusto.
Come dice qualcuno: … e questa ero soltanto l’anteprima …
Vae victis
Carlo Torriani