“Scollinato” oltre l’All-Star Weekend il calendario NBA va spedito verso la fine della regular season. Ancora presto per ogni verdetto, per quanto, almeno ad Est del Mississippi, si può già delineare una potenziale griglia dei playoffs. Gli Indiana Pacers sembrano poter essere l’unica sostanziale alternativa ai campioni di Miami, che seguono in classifica a brevissima distanza. Sembra un niente, ma arrivare primi o secondi farà tutta la differenza del mondo. Le due favorite allo spot di finalista per la Eastern Conference si potranno incontrare solo nella serie finale che darà – appunto – il lasciapassare per “l’ultimo ballo”, ma che questo avvenga con un’ipotetica gara 7 alla Fieldhouse di Indianapolis o all’ombra delle palme di South Beach verrà deciso in queste ultime settimane.
Lo scorso anno sembrava impossibile fermare la corsa degli Heat verso il repeat, e in effetti il campo ha dimostrato che non era praticabile uno stop alla corazzata di Spoelstra. Quest’anno invece Indiana è una squadra più convinta dei propri mezzi e di arrivare fino in fondo alla corsa per l’anello, magari tagliando l’ultima retìna per la prima volta nella sua storia (da quando la franchigia è passata dalla defunta ABA a The League nel 1976, insieme a Nets, Nuggets e Spurs) dopo la sconfitta del 2000 contro i Lakers di Shaq&Kobe, al primo titolo loro e di PJ in California.
Il resto dell’est è puro contorno. I Toronto Raptors sono una delle poche squadre dell’Atlantic Division con un record positivo, ma non sono certo la risposta al quesito: potenziali rivali delle due capoliste? I Brooklyn Nets invece potrebbero dar fastidio, nell’ottica di una serie di playoffs tirata fino alla 6^ o 7^ gara, insieme ai Bulls. Chicago merita un capito a parte, quindi partiamo con i dipendenti di Mr. Prokhorov.
Partiti male, ma così male che nemmeno i tifosi dei Knicks avrebbero potuto augurarsi, stanno recuperando giocatori infortunati e di conseguenza posizioni nella conference. Ad oggi galleggiano attorno ad un 50% senza infamia né lode, ma che consentirebbe a Jason Kidd, appena trasferitosi dal campo dove ancora dispensava saggezza cestistica (a proposito di New York, indovinare le differenze tra questa e la passata stagione…) a 40 anni, alla panchina dei Nets, di raggiungere il traguardo di Aprile con una posizione nel tabellone della post-season tra la sesta e la terza. Anche qui: posizione più posizione meno…cambia! Evitare prima della semi-finale di conference Indiana e Miami è l’obiettivo numero uno. Ma anche dall’altra parte si augurano lo stesso. Alla fine Pierce, Garnett, D-Williams, Joe J. e gli altri giocano per quelli del famoso ponte, e in una gara decisiva l’esperienza (che ricordiamo non si compra in nessun centro commerciale) potrebbe aiutare a ribaltare un pronostico apparentemente scontato.
Chicago, al pari di Brooklyn, è lì. E onestamente non si capisce come sia possibile. Ad oggi Thibodeau compila un record che recita 33 W e 27 L, sufficiente per il quarto posto. Sorriderebbe Miami, che scanserebbe con chiassosa allegria una battaglia allo United Center contro la difesa dei Bulls. Chicago ha cambiato strategia dopo il nuovo infortunio di Rose, scambiando Deng e preparandosi per il futuro. Ma vai a raccontare a Noah&c. che non è necessario sbucciarsi le ginocchia fino all’ultima sirena che tanto si pensa già all’estate e al possibile All-Star (Carmelo Anthony?) in arrivo. Impossibile! Commoventi quanto ben allenati, i Tori sapranno essere indigesti a molti nei prossimi mesi.
Il rimanente gruppo di squadre, Celtics, Bucks e 76ers in primis, stanno solo aspettando di conoscere il numero di palline che avranno a disposizione nella prossima lottery. Non c’erano altri programmi ad inizio stagione e il copione è stato rispettato. Di queste franchigie forse solo Boston ha mostrato fin da subito che si poteva perdere anche senza farlo apposta, ma comunque lottando e provando a fare bella figura. Merito di coach Stevens che sta assemblando la squadra del futuro. Rondo è rimasto, chiaro segnale di Ainge, anche se in estate tornerà ad essere il nome caldo – magari a partire dalla notte del draft – anche perchè è l’unico player sul quale i verdi possono “monetizzare” portando a casa contratti in scadenza o ulteriori scelte. Il progetto è di 6 anni, in parallelo con la lunghezza del contratto di Stevens, e quindi c’è tempo per rivedere Boston ai vertici di conference e lega. Armatevi di pazienza, Celtics maniacs!
Non mi sono dimenticato di New York. L’arena più famosa del mondo – MSG – non si è stancata di ospitare tifosi che pagano fior di dollari quasi ogni sera, ma questi stessi supporters di inca…volarsi seguendo una squadra che non riesce a trovare una logica e una continuità…sì! Anthony rimane, no dichiara che s’è stufato più di Spike Lee, no è il perno del presente e del futuro…e le ginocchia di Stoudemire? E scambiarlo, brutto? E chi lo piglia con quel contratto? Domande senza risposte, quasi quanto quelle che si è sentito rivolgere recentemente Raymond Felton, arrestato per possesso di arma da fuoco dichiarata (dice) in North Carolina ma illegale nella Grande Mela. E ci mancava solo lui! Dopo la saga di J.R. e le stringhe slacciate questo sembra poter essere troppo anche per il palcoscenico di Broadway. In sostanza e tecnicamente parlando: la squadra continua a non avere punti di riferimento se non quello come detto dell’uomo franchigia da Syracuse, che però in estate probabilmente ringrazierà per i (molti) dollari e saluterà la compagnia, allegra ma non troppo. Chandler è un disperato che in mezzo all’area vede scorazzare qualsiasi avversario col dubbio che i compagni abbiano notato in loro qualche malattia contagiosa del quale non conosceva l’esistenza, o non si spiegherebbe perchè gli stanno così a distanza. Di Stats si sa tutto, e sull’impossibilità di tornare quello di Phoenix – ma c’è ancora chi ne parla? Ma basta… – abbiamo già dato. Allora l’unica costante che rimane è l’ultimo banner affisso all’ampio ma spoglio soffitto del Garden e che continua a recitare 1973.
@a_p_official