Primo giro di boa per le Finals 2013, e già parecchie indicazioni sono arrivate.
Le prime sono che, almeno fin qui, queste finali non sembrano proprio indimenticabili. A differenza di un’edizione di Playoffs che è stata una delle migliori degli ultimi anni, le finali sono iniziate in maniera non proprio eccitante.
Gara 1 è stata una battaglia, finita praticamente all’ultimo tiro, e che tiro! Più 2 Spurs, palla a Parker, 5 secondi dalla fine e con l’orologio dei 24 secondi in scadenza, il francese in palleggio su un lato scivola, finisce a terra, è sovrastato da Bosh, guarda il canestro, si rialza, giro dorsale intorno al difensore, finta e insacca un tiro che ha dell’incredibile. 1 a 0 Spurs, che sbancano la triple A. Gara 2 e 3 sono invece molto simili, con 2 primi quarti di sostanziale equilibrio e bassi punteggi, poi un terzo in cui a turno una delle due squadre piazza il parziale decisivo, seguito da un ultimo quarto sostanzialmente di garbage time: non proprio il massimo per una serie finale.
All’esito scontato e ai punteggi bassi si somma la sostanziale assenza (almeno in maniera continuativa) dei big 6. I due “super big”, Parker e James sono notevoli in gara uno, hanno dei lampi (anche clamorosi, come LA stoppata di LeBron su Splitter) in gara 2 e sono decisamente più silenziosi in gara 3, azzoppati da percentuali dal campo imbarazzanti per due giocatori che hanno tirato ben sopra il 50% in stagione regolare e nella prima parte dei PO.
Gli altri quattro invece sono decisamente ai minimi storici, limitati chi da età, chi da infortuni. Certo, sono super star, e ognuno di loro ha comunque fatto diverse giocate “pepate”, penso soprattutto alle due fiammate di Ginobili in gara 3, ma nessuno può dire di aver brillato per costanza, nè nella singola gara, nè tra una gara e l’altra.
Difese …
Gara 1 e i primi tempi di gara 2 e 3 sono stati marchiati a fuoco dalle difese; 2 difese organizzate, efficaci, tra le migliori della lega. Tutte e due decisamente cattive, ma in modo diverso; quella dei neroargento è una difesa programmata, fredda, cinica, glaciale. Ti toglie sistematicamente i tuoi punti di forza, ti spegne a poco a poco: killing me softly with defense…
Miami è l’esatto opposto. Chiariamo: non è che non sia una difesa organizzata, pensata, allenata e ben eseguita, in continuo adeguamento. Ma mentre normalmente la difesa di SanAntonio esegue “da 9”, quella di Miami abitualmente esegue “da 7”. Arriva poi un momento in cui qualcuno, tipicamente James, suona la carica, e allora il tasso di aggressività con cui vengono eseguite le medesime azioni di prima sale spasmodicamente, e la difesa diventa per 2, 5, 10 minuti “da 10”. Per questo SanAntonio tende a costruire i propri vantaggi a poco a poco, mentre Miami è più una squadra di parziali.
… e attacchi
Essendo così ben fatte le difese, e così bravi i due allenatori a fare aggiustamenti per provare a sopravvivere allo strangolamento delle difese stesse, alla fine la differenza finisce per farla l’attacco. Vince però non quello che ha studiato meglio a tavolino una contromossa: l’altro coach l’avrebbe prevista. Vince chi quella sera è più benedetto dal classico “fattore C”. Lo so, non è bello sminuire il lavoro (per altro a questi livelli molto serio) delle persone coinvolte. Però non si può negare che se in gara 3 hai Green, Neil e Leonard (non Reggie Miller o Larry Bird!) che complessivamente ti tirano 15 su 23 (oltre il 65%) un po’ di fortuna ci sia. Chiaro, gli Spurs sono bravi a costruire quei tiri, e quindi puoi aspettarti che gli esterni segnino con buone percentuali. Che però 3 esordienti a livello di finale mettano in media 2 tiri su 3 (e con quei volumi complessivi) non è una cosa che puoi aver pianificato in allenamento. Se poi andiamo a vedere che tiri hanno preso, soprattutto Green e Neil, non è nemmeno così vero che erano tutti tiri ben costruiti. Spesso si è trattato di tiri con l’uomo addosso, da almeno mezzo metro dietro la linea da 3, affrettati o allo scadere dei 24 secondi; tradotto: erano brutti tiri, che non avrebbero dovuto prendere, ma che hanno preso e sono entrati. Tutti.
Guardandola dal lato Heat per gara 2, la situazione non è così diversa. Il break c’è stato quando Spoelstra ha avuto il coraggio e la lungimiranza di panchinare Wade e Bosh, e attorniare LeBron con 3 tiratori per gli scarichi e il Birdman a tagliare sulla riga di fondo. Il tutto innescato dal pick & roll in cui LeBron veniva usato come bloccante. Rio stratosferico con 19 punti e grande personalità, e parziale di 33 a 5 per gli Heat. Peccato che, visto in diretta sembrava un esperimento disperato, maturato a seguito dell’orrendo momento offensivo delle due star, più che una mossa lungamente provata in allenamento. E soprattutto, se questa variante tecnica era l’uovo di colombo, com’è che in gara 3, pur riproposta, ha prodotto 0 risultati?
L’impressione quindi è che le due squadre siano veramente vicine come valore, in virtù di 2 difese molto forti, contrapposte ad attacchi non indimenticabili, per via soprattutto della scarsa vena offensiva delle superstar coinvolte. La differenza quindi tende a farla quel fattore X, quella situazione tecnica non prevista e non prevedibile che per quei 10 minuti ti dà un vantaggio, che l’altra squadra non riesce a metabolizzare e a controbattere nell’immediato; ma che non necessariamente è replicabile la partita successiva.
Casi disperati
La situazione dei due “big 3 minori” di Miami sembra in involuzione. Wade è visibilmente al palo dal punto di vista fisico. In gara 3 è andata decisamente meglio, è apparso più tonico, ma anche in questo episodio è arrivato in fondo senza benzina. Il ginocchio è un problema, lo si è visto dopo il curioso intervento calcistico in scivolata (mi sembra di Joseph) in gara 2, e il dover giocare col dolore lo limita fortemente, e lo fa stancare il doppio. A tutti è stato evidente nell’intervista di metà partita di gara 2, quando col fiatone cercava di rispondere a Doris Burke, ma si reggeva a stento in piedi e aveva quello sguardo tipico perso nel vuoto che ho anch’io quando vado a correre. Dopo i primi 4 minuti. Questa menomazione atletica gli rende molto difficile l’andar dentro con la palla, proprio in un momento in cui ha palesemente perso ogni fiducia nel suo tiro da fuori. Da tre, dove qualche stagione fa aveva iniziato a tirare con percentuali almeno decorose, oggi non tira più, e anche sul tiro dai 5 metri, che le difese gli lasciano con molto piacere, è molto esitante, ci pensa sempre su, e anche quando lo prende, spesso sbaglia. Si vede quindi come cerchi di amministrarsi, cercando di essere aggressivo su un numero selezionato di possessi, spesso a inizio partita. Non riesce però ad essere decisivo, e soprattutto non è l’ideale per giocare a fianco a LeBron, essendo incapace di metterla sugli scarichi. La miglior combinazione col N°6 è quando raccoglie lo scarico tagliando sulla linea di fondo. Ma ancora una volta per l’infortunio, non può praticare quest’opzione troppo frequentemente.
Poi c’è il caso Bosh. Il dinoccolato velociraptor, a fronte di miglioramenti difensivi importanti, ha subito un’involuzione drammatica in attacco. Non è mai stato il mago del post basso o il principe del piede perno, però almeno prima gli capitava di avvicinarsi al prefisso telefonico del ferro, o in taglio, o fronteggiando il canestro da 5 metri, ma mettendo la palla a terra e andando in entrata. Oggi esegue solo due giochi: tira sugli scarichi dai 5 metri, oppure gioca il pick & pop e tira dai 5 metri. Credo abbiate ormai capito che a me un lungo che gioca (solo) così fa vomitare, lo trovo privo di senso. Certo, è vero che giocando lì libera spazio in area (sia per il non esserci fisicamente lui, sia perchè si porta via il proprio uomo) per le penetrazioni di Wade e LeBron, però se lo scopo è solo quello, ci sono giocatori che lo potrebbero fare meglio, come dimostrano anche le non confortanti percentuali di realizzazione.
So che potrebbe sembrare una bestialità, ma se tutto quello che gli viene richiesto è segnare dai 5-6-7 metri sugli scarichi, il nostro Bargnani è decisamente meglio. E pare sia in saldo, in questo periodo. O se si vuole qualcuno che oltre che mettere il piazzato conosca anche il significato delle parole “difesa” e “rimbalzo”, Ibaka viene via a molto meno. Credo che il vero valore di un attacco stia nella sua varietà: nessuna soluzione offensiva, nemmeno la migliore, può essere replicata uguale a se stessa per 48 minuti. Quindi un lungo da 20 mln dovrebbe garantirmi sì il tiro dalla media (nella misura in cui serve ad avere il corretto spacing nel mio attacco), ma anche la capacità di giocarmi 10-15 possessi a partita in post basso (che non necessariamente finiscano con un suo tiro, ma anche con uno scarico su raddoppio) garantendo un minimo di pericolosità e la possibilità di mescolare un po’ le carte.
Previsioni
Per quanto visto fin qui, la serie è assolutamente impronosticabile. Se quello che ti fa vincere è imprevedibile e non tecnico, è impossibile ipotizzare un vincitore. Resta l’impressione che SanAntonio stia già giocando al suo meglio, e difficilmente possa fare di più, mentre Miami abbia la possibilità, almeno teorica, di salire di colpi, cosa che la rende ancora la mia favorita.
Gli Spurs possono pensare di ritrovare il miglior Parker, che gli regali almeno 1 partita sopra i 30 punti; d’altro canto però non possono sperare di continuare ad avere quei punti e quelle percentuali dai loro comprimari, così come Duncan e Ginobili possono continuare a regalare lampi di classe cristallina, ma difficilmente possono fare partite da 30 punti vinte da soli. Miami invece aspetta ancora il miglior LeBron, che almeno un trentello, forse anche un quarantello in faretra ce l’ha, e Wade può sempre decidere che magari non una partita intera, ma i 5 minuti finali di una gara tirata ti può fare la differenza.
A proposito di giocatori decisivi: vogliamo parlare di Mike Miller?
Per citare uno dei migliori film di sempre, ovvero “Harry ti Presento Sally”: posso avere anch’io quello che ha ordinato lui?
Vae Victis