A me l’aspetto strettamente “sportivo” dell’NBA interessa il giusto. Come avrà ormai intuito chi ha letto qualche mio articolo in passato, per me l’NBA è un meraviglioso film, o meglio, per gli amanti del genere, una splendida serie TV ad alto (altissimo) budget. Per chi segue l’NBA solo come un campionato sportivo, hanno senso quei discorsi un po’ stucchevoli tipo: “è meglio il basket d’oltreoceano o quello FIBA? Sono più forti questi o quelli?”. Per chi vuole vedere il miglior TV drama a tema sportivo, non può invece esserci nulla di meglio.
E in fondo, a ben guardare, la Lega offre tutte quelle cose che tanto ci fanno amare una serie TV: la componente action e thrilling è affidata alle scene di gioco, gli effetti speciali a madre natura, ogni stagione ha i suoi cliffhanger alla fine di ogni episodio (con i tiri allo scadere) e il suo season final in crescendo di emozioni. I personaggi principali e i comprimari, i buoni e i cattivi, una spruzzata di belle donne e lusso, le rivalità pluriennali, il tutto in una confezione patinata in HD e con una regia e inquadrature sempre più di alto livello.
Ma come ogni serie TV, quello che veramente fa la differenza sono le storie. Jordan, l’imbattibile, che c’è, vince, si ritira, torna, si ritira, gioca il virus game.
Kobe, il cattivo, antipatico ma figo, prima ragazzo prodigio, poi l’egoista solo contro il mondo (con tanto di processo per stupro, che apre il filone Legal), poi l’uomo maturo che impara a convivere con la squadra, per poi ricadere nel vortice dell’egoismo, il tutto convivendo col dolore di un mare di infortuni.
Fisher, col famoso tiro dei 4 decimi di secondo, o con la miglior partita di playoffs in carriera giocata nella giornata in cui si è diviso fra il campo e il capezzale della figlia malata.
I Lakers, con coach Zen che va a letto con la figlia del proprietario, regala libri “alti” a giocatori analfabeti, e pubblica libri di insulti sul suo miglior giocatore.
I Clips. E qui non c’è bisogno di aggiungere altro.
Ma se parliamo di storie, quella più affascinante resta sempre quella di Cenerentola o, se preferite, quella del sogno americano: uno sconosciuto, senza particolari doti o talenti ad esclusione della sua incrollabile forza di volontà e fiducia in se stesso, raggiunge il successo. A volte è duraturo, a volte è solo un istante, ma credo concorderete che è uno dei momenti migliori dello sport e spesso di un film.
[b]Cinderella man[/b]
Tra le Cinderella Stories, la migliore degli ultimi 10 anni è indubbiamente quella che sta infiammando l’NBA in questa settimana.
Jeremy Lin.
Se lo cercate su google, avrete 1.250.000 risultati. Oggi. Settimana scorsa forse qualcuno di meno…
Americano di origini cinesi, fisico atletico ma niente di indimenticabile, va alla high school a Palo Alto, e gioca così bene che nessuna università della west coast gli offre una borsa di studio per giocare. L’unico posto dove riesce a continuare la sua carriera è Harvard, la prestiogiosa università di Boston da cui sono usciti presidenti, avvocati, economisti, pure quel gran pezzo di … attrice di Natalie Portman. Se però cercate un altro harvardiano che si sia allacciato le scarpe in un palazzetto NBA dovete andare indietro agli anni 50.
Inizia la carriera professionistica dividendosi tra la NBDL e i Golden State Warriors, squadra il cui gioco basato su talento, istinto ed egoismo non lo aiutano a mettere in evidenza le sue doti. L’occhio a mandorla però genera l’interesse dei Warriors, dal momento che l’area di Frisco ospita la più grande comunità cinese fuori dalla Cina. Idolo delle folle nel garbage time, viene rilasciato a fine stagione, e tenta la sorte al mini camp dei Rockets. Tagliato. Lo chiamano allora i Knicks, lui ci crede il giusto, tanto che non cerca nemmeno casa a NY, ma dorme prima in casa del fratello, e quando lì non c’è più posto, si accomoda sul divano del compagno di squadra Ronnie Fields.
[b]NY: where … shit happens[/b]
Ma vediamo un po’ qual’è il contesto che trova.
Perdenti nella corsa a Williams e Paul, orfani di Billups e privi di spazio salariale per via del mutuo aperto per assicurarsi i servizi della loro front line (Anthony, Stoudamire e Chandler), devono un po’ arrangiarsi con quello che c’è.
Ovvero Douglas (qui il lettore può inserire un commento negativo e fino a un massimo di 10 insulti a piacere) e il rookie Iman Shumpert, guardia tiratrice (dove l’accento va messo su “tiratrice”, sempre e comunque) non necessariamente di chiara fama. A completare il roster in point guard arrivano i resti mortali dell’artista precedentemente noto come Mike Bibby, e il nome altisonante del Barone, dal quale però non sai bene cosa aspettarti quando aprirai la scatola.
D’antoni per il suo gioco voleva un play intelligente con buoni fondamentali e molto altruista, una serie di buoni tiratori da tre e passatori, dei lunghi capaci di giocare lontano da canestro. Ecco, da questo punto di vista Dolan non ha fatto proprio un gran lavoro. Personalmente non sono un fan del sistema D’antoni, ma se lo vuoi in panca, almeno dagli i giocatori giusti… E’ come per gli scarponi da sci: sono un attrezzo meraviglioso se devi sciare, ma se devi fare un balletto classico rischiano di inficiare un po’ la tua performance…
Comunque, in un contesto di egoismo rivoltante (e chi abbia pensato nel leggere queste parole al simpatico Melo, non ha necessariamente sbagliato) parte la stagione. A NY, città dove i talebani sono guardati con sospetto perchè considerati gente troppo poco decisa delle proprie idee, dall’arrivo di Chandler l’unico argomento di conversazione è: “ma la finale la vinciamo 4 a 0, o ne lasciamo almeno una a quegli altri?”.
Dopo una settimana con Tony Douglas in cabina di regia, facevi già fatica a trovare le lamette nei supermercati.
Ecco allora che le speranze dei newyorkesi si concentrano sul rookie della provvidenza, Shumpert. Convertito di corsa in un playmaker, il ragazzo offre alla causa indiscutibile atletismo, tanta voglia e faccia tosta, discrete doti di penetratore e una selezione di tiro da minus habens. Grande entusiasmo iniziale, qualche buona partita, poi un precoce rookie wall e il sogno finisce. I newyorkesi, che per non offendere i più piccini chiameremo “amanti incostanti”, mollano allora il nuovo idolo e si mettono ad attendere il ritorno del Barone come gli ebrei il Messia. E’ lui l’unico che può salvare la traballante panchina di Mike.
Poi, l’incredibile. Anthony si rompe, Stoudamire è fuori per motivi personali (la morte del fratello), Douglas è lungodegente (non è che possa sempre andare tutto male, no?), e anche Shumpert si infortuna.
D’antoni guarda la sua panchina, vede Bibby, si ricorda quanto bene ha fatto lo scorso anno a Miami, e chiede ai vice: “c’è nessun altro?”. Si fa avanti il cinese, e la totale assenza di alternative fa propendere per il sì.
[b]If you can make it there, can make it everywhere…[/b]
A questo punto lo sceneggiatore l’ha decisamente fatta fuori dal vaso. Diciamo che le trovate di Gas Gas, la zucca e la fatina erano soluzioni di trama decisamente più verosimili.
Lin mette insieme 5 partite (ovviamente tutte vinte dai suoi), 5 prove da oltre 20 punti, 7 assist, 4 rimbalzi a partita, il tutto con (in media) oltre il 50% dal campo. Certo, le avversarie non erano di prima fascia, ma tra i suoi avversari diretti c’erano fra i migliori del ruolo (Williams, Wall, Jennings, e persino Kobe ha deciso di marcarlo personalmente).
Ma la cosa veramente incredibile, è che queste cifre monstre per chiunque, sono la parte meno significativa dell’apporto del cinese alle vittorie dei Knicks. E’ il mood della squadra che è completamente cambiato. La squadra più egoista della lega, dove i compagni si guardavano in cagnesco e si rubavano tiri e spazi, quasi non si parlavano, e si aspettava solo il licenziamento di D’antoni, nella speranza che il nuovo arrivato (Jackson?) facesse da arbitro fra questi bambini capricciosi, ecco questa squadra diventa una squadra in cui tutti hanno ritrovato il piacere di giocare insieme. L’entusiasmo, l’impegno, l’ottimismo, ma anche la leadership del ragazzo si rivelano subito contagiosi, e in un attimo tutto cambia. Fields, il rookie sensazione durante la prima annata di D’antoni, che di botto nella versione “melizzata” diventa un brocco, in campo solo per drammatica mancanza di alternative, guardacaso appena si torna a giocare un basket di squadra ritorna un giocatore da 20 a partita. Shumpert, non dovendo più essere la mente (pausa comica) della squadra può prendere il suo ruolo, ovvero portare energia e punti immediati dalla panca, mentre Jeffries e Chandler mettono su uno show difensivo di prima grandezza. Tra l’altro il ragazzo di Harvard (dotato di intelligenza decisamente superiore alla media dei cestisti americani) capisce subito che ogni possibilità di successo passa dall’avere dalla sua parte il centro dei Knicks, e oltre che cercarlo continuamente in campo, in ogni intervista non manca di nominarlo come motivo del successo dei Knicks.
I festaggiamenti ad ogni time out, con Lin che si scambia sederate in salto con tutti i compagni sanno di gioia genuina e contagiosa, qualcosa che una settimana fa non avresti mai potuto vedere in questa squadra. Lin è entrato nella testa dei compagni, e il suo solo tornare in campo dà loro la sicurezza necessaria a giocare meglio, anche senza toccare palla.
[b]Valutazione tecnica[/b]
Che a ben guardare non stiamo proprio parlando di un fenomeno. 1,91, fisico e doti atletiche oneste, certo rispetto a me sembra superman, ma nel panorama NBA non è niente degno di nota. Tiro dalla lunga rivedibile, tecnica di palleggio e passaggio assolutamente modesta. Lo paragonano a Nash, ma dal punto di vista dei fondamentali non siamo nemmeno a un decimo del canadese. Quello che però lo accomuna al 13 dei Suns sono la leadership, la sicurezza nel prendere le decisioni e la visione di gioco. Insomma, fa sempre la scelta giusta, ma spesso non ha la competenza tecnica per eseguirla correttamente. Capisce quando è il caso di non interrompere il palleggio, o di splittare un raddoppio, ma la scarsa proprietà in pallaggio gli fa perdere palla. O il passaggio, è sempre quello giusto da fare, ma spesso fatto nel modo sbagliato, e da qui nasce l’alto numero di palle perse.
Però tutti i compagni sanno che lui cercherà di fare la cosa giusta, che tutti loro se gli vanno dietro avranno la loro possibilità (cosa che nella gestione precedente era tutt’altro che certa), e quindi hanno “comprato” il suo sistema.
Il futuro onestamente non è roseo. Prima o poi il Barone sarà pronto a tornare, e il posto in quintetto non si potrà non darglielo. Ma soprattutto torneranno Stat e Melo. Lin a mio parere ha la personalità per provare a fare da arbitro fra i due, bisogna vedere se i due (e soprattutto Anthony) gliene daranno la possibilità, e se non lo faranno, da che parte si schiererà D’antoni. Io sinceramente non la vedo bene. L’impero di Jeremy Primo rischia quindi di chiudersi anzitempo, e non tanto perchè il ragazzo si monti la testa (immortale quando, dopo il clamoroso primo tempo al Garden contro i Lakers lui abbia detto di non essere molto contento della sua performance perchè aveva coinvolto troppo poco i compagni) e mandi tutto a rotoli, ma perchè il contesto non è quello giusto.
[b]Imagine[/b]
Mentre guardavo la suddetta partita coi Lakers (quella in cui ha scritto 36 e oscurato un Bryant decisamente ispirato, per capirci) pensavo al momento in cui Melo e il suo imbarazzante Papillon sarebbero tornati in campo, e a quanto fosse inadatto a giocare con Lin.
Quindi ho iniziato a fantasticare: chi sarebbe il giocatore/stella ideale per giocare a fianco al cinese? Con Stoudamire in fondo potrebbe anche giocarci (pensate al duetto di Stat con Nash a Phoenix, per esempio), ma avrebbe bisogno di un altro, un esterno, capace di tirare da tre, ottimo difensore, buon passatore (sia dal punto di vista della capacità tecnica che del piacere di farlo), che non richieda troppi palloni, ma disposto e capace di prendersi in spalla la squadra nei finali, e mi è venuto in mente un nome solo: Danilo Gallinari.
Certo, direte voi, e come potrebbero mai fare i Knicks a mettere le mani su un giocatore così? …
Chiaramente un anno fa nessuno poteva inserire nella big picture Jeremy Lin, ma provate per un attimo a pensare che lo scambio più scellerato della storia dei Knicks (va beh, scusate, sono i Knicks, bisogna stare attenti a fare affermazioni di questo tipo…) non fosse mai accaduto.
Una squadra con Lin, Fields, il Gallo, Stat e Chandler, con Wilson Chandler e Shumpert a uscire dalla panca, non dico che vincerebbe l’NBA a mani basse, ma potrebbe facilmente essere una contender, oltre che la miglior incarnazione possibile del D’antoni style.
In conclusione, non so se la stella di Lin potrà continuare a brillare a lungo, spero di sì ma temo di no.
Per intento, grazie Jeremy, sei stato la cosa migliore di questa stagione.
E che la Lin-sanity sia con voi.
Vae Victis