MVP! MVP! Dai uniamoci anche noi al coro che dovrebbe alzarsi anche lontano dallo United Center, quello ovviamente dedicato al Most Valuable Player in carica, al secolo Derrick Rose. Ma che giocatore è? Il meno appariscente del momento, insieme all’unico vero “rivale” alla corsa verso la seconda statuetta, K.D. da Oklahoma City, e come lui determinante. Questa la chiave: altro che numeri e statistiche (comunque sontuose). Le dichiarazioni ad effetto, poi, completamente assenti. Ok, sempre “zero tituli” al momento, come un LeBron, come un Barkley ad esempio, che vinse in passato, e altri considerati individualmente grandi ma andati in pensione…ringless! Pare che Rose invece le prove dal gioielliere le stia già facendo da un po’.
La difesa vince le partite – Abusato e vecchissimo detto mutuato dal football, ma dannatamente vero come veri sono questi Bulls. Thibodeau lascerà anche Howard in single-coverage, ma ogni volta che la palla arriva in post basso a Superman è impossibile non notare l’atteggiamento degli altri 4 difensori non impegnati direttamente sul centro di Orlando. Purissima “boxes and elbows” se mai ne avete vista una! Il buon Dwight fa il suo nel 1° quarto, quando per lo meno alterna l’1vs1 ai servizi sui tagli dei compagni. Poi misteriosamente decide di abbassare la testa, e se è vero che nemmeno lo Shaq pre-triangolo vinceva quando il tipo di atteggiamento era lo stesso, figuriamoci l’uomo da Atlanta. Ah, ho detto Atlanta? Barrare tra le possibilissime future destinazioni di Howard, da qui alla deadline del mercato.
Little Baby – Orfano di Garnett, l’ex Big Baby Davis, pur mantenendo la mole che lo contraddistingue, sembra davvero rimpicciolito nel suo stare in campo. Un’ombra del giocatore che nei meccanismi e nelle rotazioni dei Celtics si è rivelato determinante (più volte) per le sorti biancoverdi. Lo vedi vagare per il campo, pestare i piedi a Howard cercando di farsi vedere (sì buona notte, la testa come raccontato poco sopra si era già abbassata, definitivamente) per poi arretrare, occupare uno spot al gomito opposto o sul lato debole, in attesa del…nulla! In difesa soffre Boozer, che non dovrebbe poterlo sovrastare se ne facciamo una questione di centimetri. Ma quei piedi non si muovono più come prima e al momento il parziale relativo alla scambio pre-stagionale dice Ainge 1 – Thorpe 0.
Tra il dire e il fare – O in questo caso: tra la vernice e il tiro da tre…c’è un fantastico mondo, detto “In-between game”. E’ un altro gioco, un mestiere antico che i Bulls costantemente riportano alla luce. Se pensiamo che poi è arrivato anche Rip Hamilton con la sua esperienza di autentico Mastro di questo “gioco nel gioco”, lo andiamo ad aggiungere piacevolmente a Rose, Boozer e soprattutto Deng. Il prossimo capitano della nazionale britannica (ehm) alle prossime Olimpiadi di Londra alterna con equità incursioni al ferro e arresto-e-tiro da dove conta sempre 2, solo che magari il difensore ti aspetta ai limiti dello “smile” e il tiro lo prendi con un buon metro di spazio. Orlando fa esattamente l’opposto. Howard con i piedi sulle tacche più basse, e altri 4 ad aspettare che decida che farsene del pallone, con i loro piedi questa volta ben oltre l’arco del tiro da 3. Zero gioco senza palla, zero tagli a canestro per sfruttare quello che la difesa può concederti, una volta collassata sul centrone dei Magic. Niente.
Dietro a quei baffi – Quelli di Coach Van Gundy, c’è sicuramente un cervello che pensa pallacanestro… 25 ore su 24! Cosa aspetta allora questo che è ritenuto da tutti uno stratega della palla a spicchi, a trovare una soluzione per il “non gioco” dei suoi? Mandiamo Howard altrove! Si ma non per Bynum!!! O saremmo punto e a capo. L’obiettivo è chiaro: avere altri tiratori e possibilmente un lungo che il canestro lo guardi, meglio se da qualche metro di distanza, e magari non tiri l’attuale 42% (!!!) dalla lunetta, come sta facendo Howard. Che per altro ha altre qualità: Davis cade dietro al canestro dopo aver subito fallo e si rialza solo dopo che Dwight ha simulato un massaggio cardiaco per farlo rinvenire. Sorrisi a go-go come se si fosse in vantaggio di 50 al campetto. Al Coach ormai non portano più neppure i sali, o glielo tolgono dallo spogliatoio o a breve un assaggio di defibrillatore (quello vero, purtroppo) toccherà anche a lui.
Questione di DNA – Nel variegato roster dei Chicago Bulls, Coach Thibodeau sà di avere a disposizione uno specialista del tiro, che ha saputo trasformare (come Ray Allen prima di lui, anche se He Got Game è da sempre giocatore molto più completo) in difensore per lo meno accettabile. Kyle Korver canestro l’ha sempre fatto, fin dalla culla, dalla quale guardava mammà metterla con una continuità disarmante nei tornei femminili dell’Iowa. Siccome ci viene ricordato in ogni telecronaca che “Is it a big country…or what?”, il bello è che mamma Korver nemmeno giocava 5vs5 ma…6vs6! Una versione autoctona che conservava dei principi originali del basketball, quelli dei 3 difensori che non possono superare la metà campo, e dei 3 attaccanti. La signora ne mise anche 74, una sera che la mano era evidentemente più calda del solito. Buon sangue non mente, per la felicità di Darwin che da qualche parte osserva compiaciuto.
Andrea Pontremoli