A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca. E in questo caso?
Per 149 giorni abbiamo sentito ripetere che il sindacato dei giocatori rifiutava le proposte ricevute e che gli altri, i proprietari, ne facevano altrettante, tutte insoddisfacenti. Incontri confermati, altri annullati e continue fumate nere. Poi l’accordo. La fumata bianca nello sgomento generale, l’indifferenza diffusa e una domanda in testa: ma ci stanno prendendo in giro? Nei giornali, in televisione si passava dal sindacato della Chrysler là e della Fiat qua, al sindacato dei giocatori NBA in sciopero. Come dire ad uno con la cinquecento che la sua Ferrari va troppo piano.
Mi ci metto anche io e qualche volta, lo ammetto, ho pensato: se salta tutto, se salta la stagione chi se ne frega.
Eppure 149 giorni dopo qualcosa cambia. Passano i giorni, l’annuncio della fine del lockout e dell’inizio della stagione. L’adrenalina sale, l’attesa cresce, l’emozione della prima palla a due aumenta. Il resto, l’indifferenza, lo sgomento si ritrasforma in fumo, né bianco né nero. A stelle e strisce.
Ma qualcosa di quanto è successo resta. E questi geni cosa si inventano per non perdere la faccia? Fanno partire il secondo business sportivo americano il giorno di Natale. Non un qualsiasi altro giorno. A Natale. Quando le famiglie, sì certo, prima i regali, il pranzo e la festa, ma poi: the show must go on! E c’è qualcuno che al Madison Square Garden scrive alla mamma: “Aspetta a buttare la pasta”. Perchè se qui il massimo lusso a Natale è andare al cinema al pomeriggio, dall’altra parte quasi 20.000 persone vanno a a vedere a mezzogiorno del giorno di Natale uno show che da questa parte non ci sogniamo di vedere, né nei palazzetti né in televisione, né a Natale né mai.
Risultato: le affluenze nei palazzetti parlano da sole. 25 delle prime 32 partite dopo il lockout sono andate esaurite. 99.2% delle arene riempite. Da alcuni raffronti tra le ultime due stagioni e le partite giocate dalle squadre in casa fino ai primi di gennaio , quest’ultime hanno avuto una media di spettatori più elevate rispetto alle medie delle intere stagioni precedenti. Tutte a parte 3: Detroit, Phoenix e Cleveland.
E chi se ne sta a casa? Beh abbuffata a tavola e poi abbuffata televisiva. Televisione nazionale (l’ABC), via cavo (ESPN, TNT) , internet e chi più ne ha più ne metta. Ascolti in aumento, da non crederci. Los Angeles Lakers – Chicago Bulls è stata in termini di percentuale la terza più vista nella storia dell’ABC (11 milioni di telespettatori circa), New York Knicks – Boston Celtics per la TNT è stata la partita più vista di sempre nel giorno di Natale. Golden State Warriors- Los Angeles Clippers sulla ESPN, l’ultima delle 5 partite in programma il 25 dicembre, è stata per la ESPN la partita più vista di sempre in prima serata il giorno di Natale.
Perché se, come è giusto, sbagliando si impara, ecco che i geni hanno imparato dagli errori dell’ultimo lockout 98/99 quando gli ascolti televisivi e l’affluenza nei palazzetti era notevolmente diminuita.
Sono più bravi non c’è dubbio e due indizi fanno una prova. Ma non basta. Perché loro, quelli che hanno messo in piedi questo impero economico, per poi distruggerlo, per tenerlo in vita per 149 giorni, per poi rimetterlo in piedi ancora più forte di prima, non si sono fermati. Iniziative, merchandising, promozioni che farebbero invidia alla miglior azienda sul mercato. Tutto per recuperare la faccia o semplicemente perché così si deve fare. Pacchetti di 500 biglietti a partita a 10 dollari che nella stagione diventeranno 1.000.000, sempre a 10 dollari. Ma non è tutto. Ogni franchigia è stata obbligata a presentare alla Lega un “Back to Business” un piano sui programmi riferiti alle iniziative, alle promozioni. Fin qui tutto bene, potremmo arrivarci anche noi. E la ciliegina sulla torta? L’ NBA valuta le idee di ogni singola franchigia e le migliori le mette sul piatto a disposizione delle altre. Perché la logica è semplice: se bisogna perdere si perde insieme, se si vince anche.
A pensarci bene il dubbio viene. Ma era tutto organizzato? Come, un disastro sportivamente parlando, può trasformarsi in un così grande successo? E’ fondamentale innanzitutto avere chiara una cosa: i principali attori intorno a questo business sono i tifosi. Senza di loro LeBron non sarebbe LeBron, Kobe non sarebbe Kobe e così via. E questo le teste geniali della NBA lo sanno benissimo. Non esisterebbero neanche loro. E prima dell’inizio della stagione lo hanno chiaramente detto, davanti alle telecamere e sui giornali: “Siamo sempre preoccupati del rapporto fra le franchigie e i tifosi” ha detto Chris Granger, il vice presidente esecutivo della NBA dedicato al marketing e al business delle franchigie. Senza troppi giri di parole. Perchè cosa poteva portare il lockout non era preventivabile, in termini economici ma soprattutto di credibilità verso la gente. Le vacanze hanno aiutato e una stagione corta ha obbligato l’NBA a stilare un calendario diverso, più propenso a condensare più partite in casa per la stessa squadra. Una manna dal cielo per pacchetti speciali sui biglietti e tutto quello che coinvolge il marketing.
La flessione arriverà e nessuno si dovrà stupire. Ma quello che sono riusciti a fare questi geni del business ha dell’incredibile. La domanda resta: ma era tutto organizzato per far crescere l’interesse attorno al mondo NBA? Le strade sono due: pensarla bene o male. O ancora più semplicemente non pensarci per niente: godiamocela e basta.
Alla prossima
Riccardo Rocchi