Alla fine è un po’ come con “The Rocky Horror Picture Show”: le repliche vanno avanti da anni, ma non è che per forza l’adrenalina generata nei fortunati spettatori della versione originale sia la stessa di quelli di oggi. Così i Celtics. Gli attori protagonisti sono sempre gli stessi tre, anzi due al momento, con Paul Pierce ancora ai box, mentre le comparse cambiano, senza saper tenere il roster al livello di quello vincente del 2008. Lì House e Posey fecero la differenza, al momento quelli presenti nella rosa 2011/2012 non sembrano ancora pronti, Brandon Bass a parte che pare un buon sostituto di Big Baby Davis. La mano di Ainge è sempre pronta sul pulsante, come in un quiz di Gerry Scotti, attento a far scattare appena possibile lo scambio che possa cambiare i destini dei biancoverdi.
Thank God for… Ray Allen! Quando finalmente Rondo smette di rompere da solo i giochi offensivi dei suoi, aiutando al contrario ad aumentare il ritmo dell’attacco, riecco come Allen torni ad essere un attaccante straordinario. Semina ancora avversari lungo la linea di fondo e controllando misteriosamente il corpo, una volta effettuato il salto dopo l’arresto, fa di conseguenza frusciare la retina, ancora e ancora. L’anno è stato giustamente definito come “l’ultimo”. Che poi la short season faccia bene o male a Boston e alle giunture dei suoi vecchi guerrieri, questo è tutto da dimostrare: meno partite (66 in 124 giorni…tanto per gradire) ma un calendario terribile. Non sono spariti i viaggi tra una partita e l’altra, anzi,e i back-to-back sono diventati in molti casi… back-to-back-to-back! Reggeranno Garnett & C. provando così ad arrivare primi in quella che come detto è sicuramente la loro ultima corsa?
The Big One – LeBron James nel primo episodio della stagione ci aveva mostrato una maturazione tattica legata finalmente all’aver capito che portare i suoi chili e centimetri nei pressi del canestro, partendo dal post basso, può essere una delle notizie più brutte tra quelle da comunicare ai propri avversari. Lo stesso James però sembra essersene già dimenticato nella seconda gara contro i Celtics, lasciando aperti e validi tutti i discorsi sulla sua non ancora raggiunta maturità cestistica. E’ – anche – per questo che accantonato da sempre Bosh in questo senso, resta Dwyane Wade il vero “Big One” dei Miami Heat. Il plus/minus con lui in campo e fuori è imbarazzante. In difesa stoppa e recupera, tiene di fisico e gioca d’agilità. In attacco fa tutto quallo che serve alla sua squadra per arrivare a punti. Era rimasto il “baluardo” del post-titolo 2006, Pat Riley ha ricostruito in tutta fretta attorno alla stella da Marquette circondandolo con gli altri “dos amigos”, ma al centro di tutto, nel presente e nel futuro degli Heat, brilla ancora il n° 3.
Good catch, Pat! – Norris Cole si sta dimostrando una grandissima scelta da parte di chi tira i fili nella cabina di regia di Miami. Grandissima intensità difensiva, nessuna paura e pare tanta considerazione nei suoi confronti da parte di chi conta davvero nello spogliatoio degli Heat. Prende uno sfondamento recuperando Rondo in contropiede in una delle azioni decisive dell’ultimo quarto, e poi mette le triple che tengono a distanza i Celtics, che grazie alla zona e al proprio immenso cuore arrivano fino a un possesso di distanza. Quel che manca a James e compagni evidentemente va cercato sul mercato con scambi e free-agents, ma anno dopo anno può arrivare anche dal draft, e la scelta di Cole è qui a dimostrarlo.
Andrea Pontremoli