I playoffs 2011 sinceramente non erano stati granchè. Se si eccettua l’incredibile “caso” Grizzlies, la qualità di gioco espressa è stata modesta, e di serie veramente contese non ce ne sono state. Certo, ci sono state sorprese, come le eliminazioni precoci di Celtics, Lakers, Magic, Spurs, ma le serie che hanno portato alla loro eliminazione non sono state necessariamente indimenticabili.
Poi arriva giugno e partono le finali, e fai pace con lo sport più bello del mondo.
Una delle serie finali più belle del ventennio, 6 partite di cui tre concluse all’ultimo tiro, e due comunque con le squadre ancora in equilibrio a pochi minuti dalla fine.
Si è vista una splendida difesa (soprattutto da parte di Miami), e uno splendido attacco (ESCLUSIVAMENTE da parte di Dallas); grandi giocate individuali (Wade, LBJ, Nowitzki) e il grandissimo attacco corale di Dallas, per gli amanti del genere c’è stato anche l’accenno di rissa; ma soprattutto, su tutte le altre, sono emerse le storie di due protagonisti, Lebron e il tedesco, entrambi arrivati al massimo palcoscenico (per la seconda volta) con qualcosa da dimostrare per redimere la loro reputazione. Dirk ci è riuscito, e alla grande, come se il copione della sua serie finale l’avesse letto dal “manuale del perfetto MVP”, mentre James è caduto, e nella maniera più fragorosa possibile. Onestamente l’unica cosa di buono che può arrivare al Re (?) da queste finali è l’esempio di Nowitzki, che dice che anche quando vieni (a ragione) etichettato come un perdente, c’è sempre la possibilità che in te scatti un giorno qualcosa che ti cambi, e ti dia la possibilità di redimerti.
Sinceramente però al momento per lui c’è una sola parola: perdente.
Partiamo adesso con le tradizionali pagelle della serie.
[b]Dallas Mavericks
Jason Kidd: 7,6 pts, 6,3 ast, 4,5 rbs, 42% da tre.[/b] Esperienza, esempio, carisma e tanta, tanta difesa. 38 anni, due finali giocate e perse, Kidd torna alle finali poco più che da role player, ma mette comunque la sua firma (anello ben più meritato rispetto a quello di altre stelle a fine carriera, come Glen Robinson, Mitch Ritchmond, Micheal Finley, o il suo compagno Stojakovic). In attacco fa buoni passaggi a tutti, tranne a Marion, col quale proprio non si capisce. Non è però come regista che lascia il maggior segno (ironia della sorte). La sua mano è ferma nel punire da 3 i raddoppi su Nowitzki, e soprattutto è la pietra angolare della difesa. Spende buona parte della serie a cercare di limitare Wade, che è un fenomeno e segna lo stesso, ma deve sudarsi ogni punto. E questo a dispetto di una disparità di freschezza atletica imbarazzante. [b] Voto: 7
JJ Barea: 8,8 pts, 3 ast, 1,5 to. [/b] L’uomo che non ti aspetti. Arriva in quintetto da gara 4, per una felice intuizione di Carlisle, e per tutta la serie (così come nelle precedenti) è il guastatore dei Mavs. 1,75, non particolarmente veloce, tiro non mortifero. Però è il miglior giocatore di P&R della lega dopo Nash, e riesce a sfruttare il vantaggio preso in questa situazione facendo cose che il difensore medio NBA non si aspetta. Non ha tirato bene (38%), ma ha sempre sbilanciato e imbarazzato la miglior difesa della lega, oltre ad avere messo pesantemente la sua firma su gara 6. Bibby non ha mai avuto il piacere di presentarsi, ma anche Chalmers non ha trovato antidoti al piccolo portoricano. [b]Voto: 7,5
Shawn Marion: 13,6 pts, 6,3 rbs, 50% dal campo. [/b] Prova di grande maturità per Marion, arrivato a Dallas come merce avariata, dopo brevi insignificanti comparsate a Miami e Toronto. Sembrava che, finito il suo impiego tattico da 4 alla corte del canadese, non ci fosse più spazio per lui in questa lega. Anche a Dallas ci arriva per la solita tendenza a strafare con il roster di Cuban, e finisce parcheggiato ben dietro a Caron Butler. Poi l’infortunio del compagno gli riapre le porte del quintetto e The Matrix gioca buoni playoffs, nonchè la finale della vita. Solido, attivo, concreto, efficacie, aggressivo. Sono passati i tempi in cui si lamentava di ricevere pochi palloni, e torna a fare il suo meglio, ovvero raccogliere dalla spazzatura palloni persi, rimbalzi, tagli, e convertirli in punti. In difesa fa un ottimo lavoro su Lebron (anche se riceve un grande aiuto da James stesso). Chissà come sarebbe andata se su LBJ ci fosse stato Butler. Per lui vale il discorso fatto per quasi tutti i giocatori dei Mavs: è un veterano che conosce ormai bene i propri pregi e difetti, e si limita a fare al meglio il compito che Carlisle gli assegna nell’ingranaggio dei Mavs. [b] Voto: 7,5
Tyson Chandler: 9,6 pts, 8,8 rbs, 1,2 blk, 59% dal campo[/b] Vi ricordate quando era una delle torri gemelle di Chicago, inesperto liceale di belle speranze insieme al compagnuccio Eddy Curry? Beh, a oltre 10 anni di distanza possiamo affermare che nessuno dei due era un fenomeno, ma mentre Curry è clamorosamente deragliato, Chandler ha saputo riciclarsi come specialista difensivo. In attacco può solo schiacciare (con frequenza) alley-oop e rimbalzi difensivi, ma in difesa è un principe. L’unica vera addizione di roster ai Mavs, probabilmente era lui il pivot che Cuban cercava disperatamente da 10 anni. Indispensabile, e tutto sommato sorprendentemente lucido, considerando anche il gran numero di minuti che ha dovuto giocare a causa dell’infortunio di Haywood. Il suo arrivo ha reso la difesa di Dallas, se non decisiva, almeno rispettabile, permettendo così ad un attacco sinfonico di portare la squadra all’anello. Solo una domanda: ma gli Hornets non se n’erano liberati perché era irrimediabilmente infortunato e un giocatore finito?[b] Voto: 7
Dirk Nowitzki: 26 pts, 2 ast, 9,6 rbs, 45-46 ai liberi. [/b] La mia professoressa al liceo diceva che se i voti vanno da 0 a 10, bisogna anche avere il coraggio di darli. Credo che giocare meglio di così fosse impossibile. Certo, avendo davanti Anthony non ha dovuto faticare più di tanto in difesa, ma a parte quello ha fatto qualsiasi cosa servisse per vincere. Noto come un perdente fin dal 2006, quando crollò insieme ai suoi contro Miami e Wade, vincitore di un MVP stagionale ritirato in borghese quando i suoi (miglior record della lega) erano già stati eliminati dai raccogliticci Warriors, quest’anno Dirk è riuscito a rimettere insieme i pezzi del suo carattere (sul talento mai nessuno si era sognato di eccepire), e si è trasformato in un clutch player senza precedenti. E tutto questo, a dispetto dei già evocati fantasmi del passato, dei compagni che nelle prime gare lo hanno supportato molto poco, di un dito quasi rotto, dell’influenza in gara 4, e in generale di un periodo al tiro non eccitante. L’ho già detto più volte, in questa lega è difficile che tu abbia di fronte un avversario che non sia forte. O tecnicamente e strategicamente non preparato. Quello che veramente fa la differenza è quanto tu sei convinto di essere più forte (indipendentemente dal fatto che tu lo sia realmente o no), e quanto riesci a convincere i tuoi avversari di esserlo. In questa edizione dei PO tutte le avversarie giocavano con l’incubo della rimonta Mavs. E quella puntualmente arrivava. Soprattutto in lingua tedesca. Voto: 10
Jason Terry: 18 pts, 50% dal campo, 40% da 3. Parte male e Dallas soffre, salvandosi solo grazie alle iniziative personali di un colossale Nowitzki. Quando però il JET inizia a giocare la serie cambia, l’impenetrabile difesa di Miami sembra un colabrodo, e le finali cambiano padrone. Il suo arresto e tiro (anche nella simpatica variante con uomo addosso) è un rebus insolubile per gli Heat, ed è spesso la miccia che accende le furiose rimonte Mavs, che vengono poi completate dal tedesco. Lebron, che è spesso su di lui, non riesce minimamente a impensierirlo. Decisivo. [b]Voto: 8,5[/b]
Giudizio sintetico (e positivo) anche per Stevenson, Cardinal, Mahinmi: ognuno secondo le proprie possibilità, ha portato il suo mattone per la costruzione finale. Degli specialisti, con minutaggi limitati e compiti precisi, ma il successo di una squadra passa anche da qui. Unica nota negativa è per Stojakovic: sembrava essere rinato (dopo anni di anonimato legati a una serie infinita di infortuni) nella serie contro LA, si è ridimensionato contro Memphis, per poi sparire in finale. Ha tirato male, è stato impresentabile in difesa, è uscito quasi subito dalle rotazioni di Carlisle. Vince il titolo che gli era sfuggito a Sacramento, ma vincerlo così non so quanto sia consolante.
[b]Carlisle: voto 8[/b]. All’inizio della serie i due coach si studiano, allenano bene e si scambiano mosse e contromosse. Poi però Carlisle riesce a non far sciogliere emotivamente i suoi (dopo il 2 a 1 e la netta impressione che Miami fosse più forte), e la serie diventa di un solo padrone. E’ lui a operare varianti tecniche (Barea in quintetto, difesa a zona, Cardinal come cambio di Nowitzki e Chandler), mentre Spoelstra si limita a inseguire, se non addirittura a guardare impotente.
[b]Miami Heat
Dwyane Wade: 26,5 pts, 7 rbs, 5 ast, 1,5 bks (!?),1,5 stl, 55% dal campo, 34-49 ai liberi.[/b] Fino a gara 4, il mio titolo per questo pezzo era: “D-Wade: 5 anni e non sentirli”. In effetti sembrava che Wade, abbandonati i panni ecumenici della divisione di responsabilità con i compagni all-star, avesse deciso di fare sul serio, riprendendo esattamente da dove aveva lasciato nelle scorse finali. Poi lui cala, complice l’infortunio all’anca in gara 5, e in gara 6 alla fine molla anche lui, contagiato dalla depressione generale che regnava tra i suoi. Due palle perse malamente nei finali di gara 4 e 6 gli negano la consolazione di poter dire di aver giocato una serie perfetta, ma se alla fine gli Heat non hanno vinto, non è certo colpa sua. In gara 6 si è visto che con James in campo si andava sotto, mentre con Lebron fuori e le sorti della squadra in mano a lui si sono visti la rimonta, e il miglior periodo degli Heat. Il problema è che di sola voglia e aggressività puoi piazzare un parziale, non vincere una serie a 7 gare. Per fare quello ci vuole una squadra e dei compagni forti. Non era questo lo scopo dei Big 3? [b]Voto: 8,5
Mario Chalmers: 11,8 pts, 3,5 ast. [/b]Raggiunge il quintetto solo per gara 6, ma è chiaramente lui il quinto uomo degli Heat. E se lo merita sul campo. Affidabile nelle triple (capolavoro in gara 2), anche in attacco è uno degli ultimi a mollare, sfidando con coraggio i lunghi avversari in penetrazione. Non ha idea dei suoi limiti, e come decision maker è raccapricciante, ma nella squadra di LBJ e Wade, che tendono a gestire loro la palla non è necessariamente una tragedia. Era un esordiente a questo livello, e non se l’è cavata male. Fossi nella dirigenza Heat gli darei fiducia da subito la prossima stagione, le premesse sono ottime, e potrebbe diventare un ottimo complemento agli altri due. In difesa si impegna, ma il risultato contro Barea è quanto meno sospetto. Non che sia stato l’unico a soffrirlo, comunque. [b]Voto: 6,5
Udonis Haslem: 5,1 pts, 5 rbs, 29 min a gara. [/b] Non male per uno che meno di un mese fa era sostanzialmente all’ “alzati e cammina”. Il capitano è tornato, ha fatto un discreto lavoro in difesa su Dirk (poi, “ad impossibilia, nemo tenetur”), è stato sotto media per sfondamenti presi (ma qui dipende anche dalla scarsa propensione alla penetrazione degli avversari) e nel tiro dalla media, ma onestamente ha dato molto più di quanto fosse lecito aspettarsi. Un leone. [b]Voto: 6,5
Chris Bosh: 18,5 pts, 5,5 rbs, 41% dal campo. [/b]Io trovo che un lungo titolare che prende 5 rimbalzi (quanti Wade, 1,90 scarsi, per capirci) e tira col 41% non sia un buon lungo. Se poi i suoi (tanti) punti sono ottenuti quasi esclusivamente col tiro dai 5 metri, sarei per contattare l’Inquisizione. Ma questa è la mia idea. Che Bosh fosse questo tipo di giocatore lo si sapeva, e in fin dei conti non si può dire che abbia tradito le aspettative. In difesa è stato quasi ineccepibile (e comunque ben oltre le sue possibilità), e in attacco ha messo tanti punti a inizio partita, facendo volume, ovvero esattamente il suo ruolo. I tiri più facili di sempre per un all star in una finale (quasi tutti piazzati da libero), ma li devi sempre mettere, e lui l’ha fatto anche quando contava (tiro della vittoria di gara 3). Se nel secondo tempo ha segnato molto meno è anche perché gli hanno dato meno palloni. Certo, se usasse questa estate per impare uno, magari anche 2 movimenti spalle a canestro (che per lui sarebbero i primi) potrebbe aiutare, ma per quest’anno la sua onesta pagnotta l’ha portata a casa. [b] Voto: 6,5
Lebron James: 17,8 pts, 7,2 rbs, 7,1 ast, 49% dal campo, 12-20 ai liberi. [/b]Capiamoci: se queste statistiche le avesse avute Shawn Marion, si sarebbe parlato di MVP silenzioso della finale. Ma parliamo anche di uno che sembra abbia avuto come allenatore di tiro Davide (quello che ha steso Golia con la fionda, per capirci).
Lebron quest’estate è andato in un colorificio, ha comprato pennelli e tempere, e si è dipinto sulla schiena il più grosso bersaglio nella storia dello sport americano. Non doveva arrivare in finale già quest’anno, sia i Celtics che i Lakers erano superiori agli Heat. Ma gli uni e gli altri, per motivi che abbiamo già visto, sono usciti dalla tenzone, e a questo punto Miami si è ritrovata con un match point tanto clamoroso quanto insperato. E allora le attese, che si erano ridimensionate durante la loro altalenante stagione, sono tornate altissime.
Come ho avuto modo di dire, la presunta trasformazione di James in clutch player mi aveva convinto il giusto. L’aver seppellito di triple Celtics e Bulls (e Mavs in gara 1, per altro) nei finali, mi aveva lasciato perplesso, perché il tiro dava l’idea di un tiro sbagliato che aveva avuto fortuna, più che della zampata di un campione. Intendiamoci, non è che il tiro da tre di per sé non possa essere usato da un closer: Miller, o Allen sono sicuramente giocatori da ultimo tiro, ma sono tutto un altro tipo di giocatori. Per James la tripla è una simpatico contorno, non certo il piatto forte. Lui per prendere il tiro decisivo dovrebbe andare al ferro, in post o al più tirare il jumper dai 3 metri: lanciare una preghiera fuori ritmo da otto metri con l’uomo addosso non è una scelta di tiro, è pigrizia. Nelle prime tre partite di finale l’atteggiamento di Lebron è stato border line, ma ancora accettabile: ha riconosciuto di non essere all’altezza di avere sempre la palla in mano a quel livello, e l’ha messa in mano ai compagni (Wade su tutti), facendo dell’ottimo playmaking, una buona difesa, e ritagliandosi comunque anche un suo spazio realizzativo. Insomma, chiaramente un coprotagonista, ma di assoluto livello. Pippen, per capirci. Fosse rimasto questo per tutta la serie, non ho dubbi che Miami (magari in 7) l’avrebbe portata a casa.
Invece, a partire da gara 4, James ha deciso che al basket preferiva il nascondino, ed è scomparso dai radar. Tiri passati, atteggiamento passivo, ha smesso perfino di portare palla, oltre che di finalizzare. Anche la difesa (soprattutto su Terry) è andata in calando, con i risultati che abbiamo visto.
E siccome “quando piove, grandina”, perché negarsi il siparietto del fuori onda in cui, con il compagnuccio Wade, si permette di prendere in giro Nowitzki che gioca (e VINCE, LUI) con l’influenza.
Caro Dott. James, sul tuo talento nessuno ha dubbi, sulla tua durezza mentale, dopo questa prova, nemmeno. Cresci. [b]Voto: 4[/b]
Per quanto riguarda gli altri, in breve: Bibby è un ex giocatore, impresentabile in difesa e ormai poco affidabile come tiratore sugli scarichi. Da dimenticare (nonostante sia stato meraviglioso ai tempi dei Kings). Per Joel Anthony invece discorso diverso: il talento è poco, e si vede, e così i centimetri. Però ci mette tanta voglia, e ormai anche un certo mestiere. Difende su Nowitzki in maniera decorosa, prende rimbalzi, va in aiuto. Spoelstra gli ha giustamente preferito spesso Haslem, ma nei pochi minuti che ha giocato ha fatto il suo lavoro. House ha giocato praticamente solo in gara 6, e indubbiamente ha giocato bene. Troppo poco però per poter dire se un suo impegno più esteso avrebbe avuto altrettanto effetto. Valeva però la pena tentare. Infine Miller, del tutto ininfluente, ma su di lui valgono i discorsi fatti nel pezzo scorso: un tiratore con due(!) mani infortunate, può incidere solo in caso di miracoli. Per questa volta, niente da segnalare. Jones non pervenuto, altra colpa grave di Spoelstra.
[b]Spoelstra.[/b] Ha dalla sua tutte le attenuanti del caso: giovane, esordiente in finale, di poco peso in spogliatoio visto lo scarso pedigree. Però rimane l’impressione che col procedere della serie abbia perso il controllo emotivo e tattico della serie. Miami non aveva attacco, ma non era possibile che l’avesse, a solo 9 mesi dalla sua nascita. Però diverse sue scelte tecniche sono state sospette. Ha cavalcato Bibby senza motivo e senza riscontro, togliendo minuti allo scalpitante Chalmers. Ha escluso dalla rotazione James Jones (e per buona parte della serie anche House), e forse contro zona un tiratore puro avrebbe aiutato. Non è mai andato a 4 piccoli, anche se poteva essere una mossa interessante: Dallas gioca con due lunghi veri (Nowitzki e Chandler), ma sai già che in difesa Chandler non lo paghi se anche lo curi con un piccolo (se poi il “piccolo” è James, a maggior ragione), perché tanto non attacca, mentre in attacco i 4 piccoli ti possono dare più contropiede, allargare il campo, e in generale creare problemi di accoppiamento a Dallas, che a parte il rifugiarsi nella zona, sarebbe probabilmente stata costretta a rinunciare a Chandler e andare con Marion da 4, perdendo però parecchio difensivamente. Ovviamente non c’è garanzia che questo avrebbe funzionato, ma vista la situazione, il provarci poteva essere intelligente. Infine, la gestione di gara due, avanti di 15 nel quarto quarto e poi persa, con un time out chiamato troppo presto e quindi senza la possibilità di fermare il gioco nel finale, non sono stati di certo segnali di una sapiente gestione della gara. Spoelstra è una brava, bravissima persona. Ma se Miami vuole vincere un titolo deve portare in panca qualcuno che possa permettersi di alzare la voce con le 3 stelle (e soprattutto con LBJ) e convincerli a fare ciò che serve per vincere un titolo. [b]Voto: 5[/b]
Sono andato un po’ lungo, ma mi perdonerete, è l’ultimo appuntamento dell’anno, e non sappiamo neanche quando (spero non sia una questione di “se”) la prossima stagione partirà.
Sarà un’estate con pochi scambi, proprio a causa dell’incertezza del lockout, ma sarà il periodo in cui diverse stelle (o presunte tali) dovranno decidere cosa fare da grandi, e tante franchigie capire cosa sarà del loro destino.
SanAntonio (ricostruiamo o no? Probabilmente no, finchè Duncan non si ritira), Orlando (Howard resta o no? E soprattutto, con lui si vince?), LA (che è successo? E come se ne esce?), Chicago (come miglioriamo?), Atlanta (ci basta essere mediocri per sempre?), Memphis (è stato solo un sogno? SI), Boston (Santo Rondo, aiutaci tu?), Utah (avete visto la mia franchigia quasi da titolo? L’avevo lasciata qui un minuto fa…), Miami (e adesso?).
Grazie per quest’annata, e tutti in attesa della prossima, su All-around.
Vae Victis