Non così preannunciata e pronosticata, ma la vittoria esterna che poteva aprire definitivamente la serie c’è stata. Incredibile rimonta negli ultimi minuti di gioco di Dallas e +2 finale che porta tutti in Texas sull’1-1. Per Dallas si tratta della 5^ rimonta conclusasi con una W in questi playoffs, dopo essere entrati nell’ultimo periodo in svantaggio. I Mavericks hanno svolto il loro compito alla perfezione: strappare almeno una vittoria a South Beach era fondamentale visto lo svantaggio del fattore campo. La formula (2-3-2) ora prevede tre appuntamenti all’American Airlines Center e, se necessarie, altre due sfide in Florida. Matematicamente Dallas ha la possibilità, vincendo tutte 3 le gare casalinghe, di arrivare all’anello, e di farlo di fronte al proprio pubblico. Al contrario gli Heat dovranno “imitare” i Mavs e vincere anche solo una volta in terra texana, per giocarsela poi in casa.
Da circa metà stagione, quando si è capito che le cose non potevano cambiare del tutto (aggiustarsi sì, ma non snaturarsi) ripeto/ripetiamo che gli Heat sarebbero nati e morti con la palla in mano a James. Così è stato nelle osannate vittorie contro Boston e poi Chicago, idem per la sconfitta in gara 2. Nel finale LeBron ha bloccato la palla veramente oltre il lecito, ha giocato 1 vs 5 con Wade&C. semplici spettatori non paganti, e sta volta l’ha persa. In vista di gara 3 credo che un dato significativo sul quale Spoelstra dovrà ragionare è il numero di tiri liberi tentati dall’ex-Cavs: 6…totali in due partite! Può quindi andar bene (in un certo senso, non in assoluto) che James gestisca gli ultimi, decisivi palloni (e perchè non lo Wade strepitoso di gara 2???) ma magari cercando di penetrare la difesa di Dallas, non sempre irresistibile e con la certezza di qualche fischio amico sempre dietro l’angolo…o il fischietto, in questo caso. Un altro aspetto da rivedere nell’attacco di Miami è di certo quello dell’esecuzione: in particolare lo stesso James ha portato dei blocchi a volte fallosi, a volte semplicemente…mal portati. Nel finale Kidd, inseguendo Wade proprio sui blocchi, sembrava Tyronn Lue contro Iverson nel 2001. Complimenti per lo sforzo al veteranissimo in maglia #2, ma la complicità dei suoi avversari gli ha di certo reso il compito meno proibitivo.
Proprio la difesa di Dallas si è dimostrata comunque porosa quando schierata a zona per molti minuti, concedendo rimbalzi offensivi (6) che quando gli Heat vanno per catturarli riescono spesso a convertirli in due punti, magari con una roboante schiacciata, che sempre due punti vale, ma che in più dà morale ad un attacco che sta tirando con percentuali non all’altezza di una finalista. Il problema è che Miami a rimbalzo d’attacco ci va poco e mal volentieri, in contrasto quindi con le possibilità di “punti da seconde opportunità” che la difesa allegramente concede. Come previsto prima di gara 2, i miglioramenti i Mavs li hanno fatti nella fase di transizione offensiva, dove nonostante le troppe palle perse da Kidd (5) ha saputo pescare finalmente i tiratori sul perimetro. Soprattutto Stevenson ha approfittato delle “visioni” della sua point-guard (3/5 da dietro l’arco) mentre uno Stojakovic completamente fuori dalla serie, Barea e Terry (per lui comunque 16 punti uscendo dalla panchina) devono ancora aggiustare la mira. Ma Miami non può permettersi di concedere tutti questi tiri, calcolando che in casa Dallas alzerà di certo le sue percentuali, e una gara ai 100 punti allontanerebbe gli Heat dalle ancora consistenti possibilità di titolo.
Andrea Pontremoli