L’estate scorsa le previsioni mie, ma in generale di molti addetti ai lavori, su questa stagione prevedevano 3 contender reali, Lakers, Celtics e Heat, e 2 contender almeno possibili, anche se distanziate dalle prime 3, ovvero Orlando e San Antonio. Per il resto, qualche squadra che poteva far bene, e un po’ di folklore.
Ecco, dopo due turni di PO, 4 di queste 5 sono già fuori, e più o meno tutte a sorpresa e in malo modo.
Così prima di lanciarci nelle finali di conference, vediamo come si sono concluse le 4 serie di semifinale.
Nell’attesa della probabile finale tra Miami e Dallas. Certo, se a un certo punto Wade fa un quarto quarto da 15 punti con rimonta dei suoi, in Texas secondo me perdono il sonno, ma di questo ci occuperemo più avanti …
[b]LA Lakers – Dallas: 0 – 4[/b]
Beh, il risultato che tutti ci aspettavamo, no?
Personalmente trovo che il risultato così netto sia semplicemente episodico (e come tale era del tutto imprevedibile): in fondo, in gara 1 Kobe ha avuto il tiro per vincerla, e 2 o 3 volte in carriera deve essergli anche capitato di metterlo un tiro così, se non ricordo male. Già solo questo avrebbe indirizzato diversamente la serie. O pensate a gara 2, quando a vincitore ormai definito, Artest fa un fallo di pura frustrazione su Barrea, guadagnandosi una bella sospensione per la fondamentale gara 3. In gara 3 quindi, per un misto di stupidità e casualità, i Lakers si trovano senza il difensore che si era mostrato più efficace contro Nowitzki, che puntualmente li fa neri. O pensate a Gasol, che per motivi ancora sconosciuti quest’anno non si è presentato ai playoffs. Sinceramente le sue giocate di fine partita in gara 3 contro gli Hornets mi avevano fatto attribuire la cosa alla consueta indolenza da Lakers, ma le continue ramanzine pubbliche del solitamente distaccato Jackson hanno fatto chiaramente capire che c’era altro. A questo poi si aggiungano dei Mavs in gran forma, fino a diventare oggettivamente irreali in gara 4, quando avrebbero potuto segnare anche tirando dal parcheggio (Terry 9 su 10 da tre!).
Se quindi un risultato così netto era giustamente non prevedibile, personalmente credo di aver sottovalutato nell’analisi di questa serie alcuni dettagli tecnici che in effetti hanno poi avuto il loro peso.
Dallas e i Lakers non si erano mai incontrati in una serie di PO (l’ultimo incontro risale all’84, quindi con altri gruppi di giocatori), ma i match up sono evidentemente sfavorevoli ai Lakers, ovvero i Mavs sono strutturati proprio per colpire i Lakers nei loro pochi punti di debolezza, senza soffrire più di tanto i loro punti di forza.
Partiamo dal Playmaker: i Lakers storicamente soffrono le PG che giocano il pick and roll centrale e che poi sono in grado di segnare; chiedere di Billups (MVP delle finali contro di loro), ma anche Paul nella serie precedente. Il fatto è che i Lakers in quella posizione hanno un difensore scadente, sia esso il venerabile (e fisicamente non freschissimo) Fisher, oppure Kobe, grandissimo difensore quando vuole, ma che tende ad andare in roaming per il campo invece che seguire il suo uomo. Poi hanno dei lunghi (Bynum, Gasol, in passato O’Neal) che un po’ per qualità fisiche, un po’ per predisposizione mentale, un po’ anche per il modo in cui è strutturata la difesa, tendono a non uscire sul P&R. Guarda caso i Mavs in quella posizione hanno un rinato Jason Kidd, e un JJ Barea, che entrambi attaccano proprio in quel modo.
Spostiamoci ora sull’altro grande punto di forza strutturale di LA (escludendo ovviamente il principale, ovvero di avere a roster Bryant …), ovvero la muraglia di lunghi enormi e tattici che hanno con Gasol, Bynum e Odom. Innanzi tutto è bene far notare che questi sono stati i primi PO in cui i Lakers hanno avuto Bynum a pieno servizio, sempre assente per infortunio negli anni passati. Certo, se dall’altra parte ci sono solo lunghi molto … poco lunghi, come Landry e Okafor, oppure degli esterni con poco tiro da fuori e che sono forti a penetrare (Paul), poter schierare insieme le torri gemelle di ‘Drew e del Catalano ovviamente dà un vantaggio incolmabile, sia difensivo che offensivo. Se però vai a vedere gli accoppiamenti con Dallas, ti accorgi che anche loro hanno due lunghi molto alti e ben carrozzati (Chandler e Nowitzki), che quindi non subiscono in difesa i due Lakers, e anche in attacco ne sono penalizzati il giusto: Chandler perché tanto anche normalmente non attacca, a meno di qualche sporadico alley hoop, e quindi per il suo gioco, la forza del difensore fa poca differenza. Per il tedesco invece il discorso è diverso: avere un difensore grosso, con un secondo difensore grosso che può arrivare in aiuto è un problema se vai a giocare sotto. Se però tu normalmente giochi tra i 2 e i 5 metri da canestro, l’aiuto dell’altro lungo non può arrivare mai, e il tuo difensore diretto paga i suoi centimetri in minor rapidità. Infine, l’inedita (per i PO) accoppiata Gasol-Bynum, messa sotto pressione contro avversari che non li soffrono, evidenzia anche i loro problemi: Bynum e molto forte, ed è giovane, quindi non puoi toglierlo. Però, per farlo giocare togli minuti a Odom (che per i Lakers è indispensabile), e costringi Gasol a giocare da 4 ovvero, ormai, fuori ruolo.
Insomma, in tutti questi anni la mancanza di accoppiamenti fra le due squadre ci ha impedito di capire che, forse, la vera bestia nera di questi Lakers sono proprio i Mavericks.
Detto questo, fossi Kupchack, questa estate non farei assolutamente niente, tranne ovviamente sostituire il pensionando Jackson (che tra l’altro conclude nel guano una carriera mirabile. Che ci ripensi?).
I Lakers sono ancora ragionevolmente giovani, e secondo me così come sono (magari con un filo di supponenza in meno, e con un Gasol concentrato in più), sono ancora la squadra da battere.
[b]Miami – Boston: 4 – 1[/b]
Se per i Lakers non vedo in questa sconfitta nessuna sentenza definitiva, l’eliminazione dei C’s segna invece in maniera inequivocabile la fine di questo gruppo. E’ chiaro che, per i contratti in essere, l’anno prossimo ci riproveranno, ma con la loro età che avanza, i Lakers più agguerriti, e Heat, Bulls e Thunder con un anno di esperienza e affiatamento in più, per non parlare della mina vagante di una Dallas eventualmente campionessa in carica, non c’è nessuna speranza di rivincere l’anello. Peccato, perché questo gruppo almeno un secondo titolo l’avrebbe meritato.
La serie contro gli Heat è stata strana. Le prime 3 partite non sono state di nessun aiuto per capire quale squadra fosse più forte: la squadra di casa ha sempre prevalso con ampio margine, ma tutte e tre le partite sono state poco probanti. A Miami un Wade da quasi 40 a partita e oltre il 50% dal campo, combinato con le copie spente di Pierce, Rondo e Garnett ha reso poco indicativo il confronto. Stesso discorso, a ruoli invertiti, a Beantown, quando un Garnett d’altri tempi (28 + 18) ha castigato degli Heat troppo brutti per essere veri. Per poter valutare effettivamente quale delle due squadre è più forte (e sciogliere così il dubbio su cui tutti dibattiamo da mesi), bisognerebbe trovarle tutte e due in buona (o cattiva) serata, e vedere chi riesce a fare il guizzo finale per portare a casa il risultato.
Tutto questo invece non è successo, e dopo queste prime tre partite squilibrate, Rondo si gira il gomito in un contatto di gioco (ho sentito male io, quando l’ho visto) e da allora, al di là di un coraggio da leoni, ha poco altro da offrire alla causa dei suoi, e i risultati si vedono. Via Rondo, Garnett incolore e incapace di ripetere la prestazione di gara tre, restano un Allen decente e un clamoroso Pierce (il Capitano deve farsi perdonare le prime due gare sotto il par) a tenere in piedi le speranze bianco verdi. Questo è sufficiente per portare ai supplementari gara 4 e per essere avanti fino al terzo quarto di gara 5, ma non basta a vincere nessuna delle due partite.
Dare un giudizio su questi Celtics è onestamente difficile. La mossa (ormai ufficialmente definibile come sbagliata) di privarsi di Perkins e Robinson, in cambio di un inesperto e incolore Green non ha pagato, e l’infortunio a Rondo rende ingiudicabile questa stagione (così come due anni fa quella segnata dall’infortunio a Garnett). L’O’Neal maggiore compare solo per dei camei di pochi minuti, chiaramente non in forma per poter giocare. L’altro O’Neal può portare nulla più che chili e centimetri, ma essendo l’unico a roster a offrire questa merce, gli viene dato più spazio del dovuto.
Rondo è il futuro dei Celtics, forse in coabitazione con Green, i Big Three saranno un monumento a loro stessi per un anno o due, ma l’impressione è che il momento dei bianco verdi ai vertici della lega sia tramontato nuovamente.
Riguardo a Miami, non mi dilungo, credo che avremo ancora un mesetto in loro compagnia per approfondire i discorsi. Avendo raggiunto ormai come minimo la finale di conference al loro primo anno insieme, possiamo però già dire che la scommessa di Lebron sembra vinta (o comunque vincibile)…
[b]Chicago – Atlanta: 4 – 2[/b]
In difesa si cambia su ogni blocco. In attacco si va in isolamento per gli esterni (Johnson e Crawford, con rare partecipazioni di Williams e Smith) allo scopo di fargli prendere un tiro con l’uomo in faccia da 5 metri. Tanto sono forti, e spesso li mettono.
Questo in estrema sintesi è ancora il piano tecnico degli Atlanta Hawks, non ostante il cambio di allenatore.
A me sembra un po’ poco, voi cosa dite?
Il talento dei singoli non si discute; la sfiga di un infortunio al tuo miglior difensore sulla palla (Hinrich) proprio alla vigilia della serie con una squadra dove il miglior (unico?) attaccante è il playmaker, nemmeno.
Però ogni volta che vedo giocare Atlanta ho due certezze. La prima è che non vinceranno mai niente. La seconda è che potrebbero sfruttare meglio il loro potenziale.
Pensate soltanto a Josh Smith. Un giocatore di movimento, con una visione di gioco e una abilità di passaggio che in un altro sistema ne farebbe un giocatore determinante, viene usato per aspettare appostato sulla linea da di prendere un tiro (che non sa prendere) da tre su uno scarico. Se ritengo tutto sommato accettabile l’idea di far giocare sempre e solo in isolamento Crawford, perché parte dalla panchina, entra per cambiare il ritmo, e poi comunque perché lo fa bene come nessuno e non sapresti come altro impiegarlo, per Johnson secondo me si potrebbe osare qualcosa di più e inserire le sue soluzioni in un contesto di pallacanestro di squadra, con dei tagli senza palla, delle uscite dai blocchi, dei pick & roll.
Altrimenti, come faceva notare Buffa dopo gara 2, l’allenatore avversario può scommettere contro di loro: nella serata in cui mettono i loro tiri forzati non c’è niente che tu possa fare per batterli. Ma se non snaturi la tua difesa per cercare di inseguirli, ma li inviti a continuare così, la possibilità che per quattro partite su sette prendano quel tipo di tiri con percentuali accettabili è prossima allo 0.
PS: in gara 6 finalmente il buon Booz ha deciso che per i soldi che prende, almeno una gara su 10 poteva sforzarsi a giocarla. E subito ti accorgi come le cose siano più semplici quando Rose non è costretto a fare 40 punti tirando il 60% dal campo. Se Boozer fosse questo a ogni partita (o almeno 2 su 3) i Bulls sarebbero una contender già oggi. Senza credo Miami sia decisamente troppo per loro.
A proposito, avremo la fortuna di assistere a un duello ad altissimo livello fra il meglio delle ali forti MOLLI della lega. Manca solo Alridge per l’en plein: si potrebbe assistere ad un’intera serie di PO senza mai vedere un’ala grande nell’area pitturata!
[b]Oklahoma City – Memphis: 4 – 3[/b]
Non avevo dato molto credito ai Grizzlies. Beh, nessuno l’aveva fatto. E a ragione. Una squadra gestita in maniera agghiacciante dal suo GM, che scambia praticamente alla pari i due fratelli Gasol: certo valutando solo l’ultimo mese, ha fatto un affarone, ma se guardiamo agli ultimi 3 anni e a quanto fatto vedere Pau, è chiaro che parliamo di un’eresia. Dà un sacco di soldi a Rudy Gay, bravo ragazzo con punti nelle mani, ma mai nella vita una stella che ti fa vincere. Comunque, a scanso di equivoci, si infortuna ed esce dall’equazione. Per il resto abbiamo Conley, 3 anni di NBA senza mai convincere, OJ Mayo, già virtualmente scambiato pochi mesi fa, e poi Zaccaria Randolph, esponente di spicco dei JailBlazers, e mangia palloni inconcludente attento solo alle sue statistiche e a sprecare il suo talento. Perfino un pivot persiano, per non farci mancare niente… La storia dice che sono stati ai PO 3 volte, collezionando altrettanti sweeps. Poi però il destino si è messo al lavoro, e all’improvviso la città di Memphis (per sovrabbondanza colpita in questi giorni anche dall’esondazione del Mississipi) scopre di avere una squadra di basket, e le si stringe attorno. I Grizzlies sono una squadra scadente, che vive sulle azioni individuali di Randolph in post basso, che ha poche idee in attacco, che non ha tiratori naturali da tre, e nemmeno penetratori. Ma questo gruppo di reietti e devianti capisce di non essere così male, e di poter capitalizzare gli assist che gli servono gli avversari di giornata. Prima gli Spurs, col loro carico di anni e infortuni, poi i Thunder, con un Westbrook che deve ancora metabolizzare di non essere la stella della squadra, e che per il bene della stessa è meglio far giocare anche gli altri, che non forzare per fare tutto da solo. La vittoria in gara 1 con gli Spurs sembra del tutto episodica, ma da lì in poi è un crescendo di imprese, sorprese, di fiducia ed energia che si autoalimentano e che vengono sapientemente incanalate verso gli avversari di turno. Così, delle partite che sul piano tecnico, strategico, atletico non avrebbero nessuna possibilità di essere giocate dai Grizzlies, sono addirittura vinte. La prova più grande credo resti il canestro da tre con cui Vasquez ha forzato l’ennesimo supplementare in gara 4 contro OKC (la partita più bella di questi PO!): un getto del peso inguardabile, fatto da un giocatore senza alcun raggio di tiro, e che finisce puntualmente in rete.
Ammettiamolo: tutti abbiamo tifato per i Grizzlies, sperando che compiessero l’impresa. Ma in fondo essere arrivati a 3 quarti di gara 7 del secondo turno è già un impresa. Credo che i finali delle due gare 6 di Zibo resteranno negli annali di questo gioco, con un dominio in post basso fatto di tecnica e intelligenza come non si vedeva dai tempi di Duncan.
Questi Grizzlies mi hanno ricordato i Knicks del ’99, altra squadra con l’ottavo seed e nessun credito, col suo miglior giocatore (Ewing) infortunato, e con un deviante (Spreewell) in cerca di riscatto, che hanno invece stupito la lega (loro addirittura raggiunsero la finale, poi persa contro San Antonio).
Memphis però è una meteora. L’anno prossimo tutte le squadre ai PO dell’ovest si riconfermeranno (in dubbio solo Denver e New Orleans, in caso di scambi clamorosi in ottica ricostruzione), e alle porte busseranno Suns, Rockets e Jazz. Anche riagguantando la post season, il click tra questi giocatori, che gli ha conferito questo surplus di energia, non sarà replicabile. L’aggiunta di Gay, che dovrebbe migliorarli, in realtà rimanderà in panchina Mayo (per non privarsi di Allen, fondamentale in difesa), e bisogna vedere se il ragazzo accetterà la cosa, dopo quanto ha fatto vedere in questi PO.
Insomma, Cenerentola torna a pulire i bagni delle sorellastre, ma ci ha regalato un ballo, uno solo, indimenticabile.
Vae Victis
Carlo Torriani