Cosa manca ai Boston Celtics per poter competere e avere ancora un lumicino di speranza nella corsa alla finale di Conference contro i Miami Heat? La squadra di Doc Rivers anche stanotte non è mai stata in grado di prendere in mano le redini della partita, avvicinandosi solamente ma venendo sempre respinta da James & C.
Il nuovo LeBron – Come in gara 1, ma ancor più decisivo. Che James abbia capito cosa va fatto per arrivare all’anello? Sembra di sì, e gara 2 lo conferma. Quando è necessario lasciare il palcoscenico a Wade, lo fa. Quando la gara torna in bilico, come nel finale del 3° quarto, l’ex Re di Cleveland si mette in proprio, col tiro da fuori come con le penetrazioni che – per devastante forza fisica ed agilità, se parametrati al tonnellaggio – restano tutt’ora non contrastabili dalla difesa dei Celtics. Avesse giocato così tutto l’anno si sarebbe meritato un titolo di MVP che nelle ultime ore è andato giustamente a Derrick Rose. Ma ci sarà tempo per raccogliere altri premi individuali, ora quello che conta è solo arrivare in finale e conquistare “l’ultima meta”.
Siamo alla fine? – I Boston Celtics e il loro progetto dei Big Three, poi diventati Four con la “promozione” di Rondo, è iniziato nell’estate del 2007, quella che ha preceduto la trasferta romana e la cavalcata verso il banner n° 17. Conosciamo tutti la storia. Come le grandi squadre del passato (escludendo quelle sempre vincenti, come gli stessi Celtics degli anni ’60 e i Bulls di Jordan, quando è stato in campo fin dalla prima palla a due della stagione) hanno vissuto annate sempre ai primi posti della stagione regolare, per poi confermarsi squadra di vertice nei playoffs nonostante le sconfitte. Un titolo (2008), una finale di conference l’anno dopo, le Finals perse nell’ultima annata 2009-2010 contro i rivali di sempre, i Los Angeles Lakers. Un ruolino di marcia simile a quello della Boston targata Bird, Parish e McHale. Solo che lì, quando il sipario è definitivamente calato, si contavano 3 anelli (’81, ’84 e ’86), qui siamo fermi a uno. Denny Ainge, architetto della squadra, spesso criticato per poi venir messo sull’altare dopo il titolo di 3 anni fa, osservava stanotte la partita, poche file sopra la panchina dei suoi. Nel bene e nel male questa squadra l’ha costruita lui, e poi disfata. Sarò ripetitivo ma quante volte, questa notte, i Celtics sono sembrati piccoli (perchè lo sono!) e in difficoltà sia a rimbalzo sia nel riempire la propria area contro le penetrazioni avversarie? Perkins continua e continuerà a lottare per l’anello, ma ad altro indirizzo (nel frattempo Oklahoma City si è portata sull’1-1 nella propria serie contro la sorprendente Memphis), mentre sulla costa est Allen e Pierce non riescono ad essere decisivi e KG è davvero troppo solo sotto il canestro.
Coming next – Sabato si torna in campo, al TD Garden di Boston. I Celtics sono già con le spalle al muro, non essendo riusciti a strappare una vittoria in trasferta che gli avrebbe permesso di ribaltare il fattore campo. Gli Heat invece continuano a seguire il “programma” annunciato da Wade in vista della serie: vincere “semplicemente” le gare casalinghe. A cosa servirebbe altrimenti aver maturato un record migliore durante la regular season? A poco altro… Al di là della situazione, a livello di risultati, decisamente positiva per Miami, sono i dubbi della vigilia ad essere stati spazzati via. Quella maledizione, se così vogliamo chiamarla, che sembrava attanagliare i giocatori di coach Spoelstra nelle gare stagionali contro i biancoverdi. Miami invece sta giocando davvero concentrata, con la testa sull’obiettivo, in ogni singolo attacco e in ogni azione difensiva. E’ arrivata finalmente quella costanza che mancando durante l’annata ha reso la stagione 2010-2011 più che altalenante. Ora non più!
Andrea Pontremoli