Otto contro uno. Una delle immagini più emozionanti dei playoffs NBA è il giovane/vecchio Dikembe Mutombo sdraiato sul parquet in lacrime perchè i suoi Denver Nuggets, da ottava testa di serie, hanno eliminato i Sonics di Kemp e Payton contro ogni pronostico. Qualche anno dopo è arrivata la battaglia campale perpetrata negli anni tra Knicks ed Heat dove un floater di Allan Houston, con annessa corsa per il campo a sfogare la propria rabbia, ha regalato il passaggio del turno ai Knicks contro la top seed, che poi si è tramutata qualche settimana dopo in finale contro gli Spurs. L’ultimo super-upset in ordine temporale è il celeberrimo colpo dell’ex di Don Nelson che, con i Warriors, ha eliminato l’ennesima versione frastornata dei Mavericks con il Barone e Steph Jackson a muovere i fili della sceneggiatura.
Poi arrivano i Memphis Grizzlies che, dopo aver subito tre cappotti consecutivi tra il 2004 e il 2006, non solo hanno vinto la prima partita di playoffs in gara 1, ma hanno anche eliminato i San Antonio Spurs da 61 vittorie in stagione regolare per la felicità di Charles Barkley e del suo bracket. Una serie dalle mille emozioni con triple aperte del pareggio sbagliate, segnate, ribaltamenti di scenario repentini e un uomo solo al comando che veste la maglia 50.
50 Chiara “Rose” Zanini definisce Zach Randolph il piccolo Buddha ed è chiaro che mai soprannome fu più azzeccato per un giocatore “rotondo” in tutte le sue sfaccettature, a partire dallo chassis, per finire ai polpastrelli. 17 punti nel quarto periodo quando i suoi avevano bisogno di una guida che mostrasse la via della redenzione, una qualità di gioco dal post basso degna dei tempi andati e una voglia di dimostrare la propria forza che ha soverchiato anche l’orgoglio di Duncan e Ginobili. Non dimentichiamoci anche alcuni passaggi per i taglianti Allen e Young, dopo che aveva attirato il raddoppio, perchè se il fisico e la verticalità sono quelli di un dopolavoro, la sapienza tecnica è da elite della lega.
“Siamo forti, nessuno ha mai fatto i conti con noi, ma ora siete obbligati a farlo.” Queste le parole del nostro Buddha dopo il match che suonano come una carica e un’avvertimento per Durant e tutta Oklahoma City.
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Unico dubbio che mi viene: per Zaccaria è il contract year e quindi notoriamente motivo di “spinta” per tutti i giocatori alla ricerca di nuovi pluriennali. L’anno prossimo, quando sarà obbligato a riconfermare questa sua splendida stagione, avrà gli stessi stimoli e risultati? Questo probabilmente sarà il definitivo verdetto sulla grandezza di questo giocatore che ha fatto vedere sinora tutto il meglio ed il peggio di sè in carriera: “Zach we believe in you”.
Per saper vincere bisogna saper perdere E’ stato un upset clamoroso, non ci sono dubbi, ma io ero il primo a non nutrire una singola velleità di titolo per gli Spurs e chi ha scambiato con me le classiche chiacchere da bar, può confermare sia questo, che i Thunder in finale di conference. Bando alle valutazioni personali, questi Spurs paradossalmente dovevano andare fuori 4-1 e non dovevano nemmeno mettere a segno 61 vittorie in stagione. E’ una squadra ormai inadatta al gioco fisico e intenso dei playoffs perchè ha un roster mediocre per talento medio e caratteristiche fisiche, poi se i vari Jefferson, McDyess e Bonner ciccano completamente la serie, è ovvio che con Ginobili menomato e Duncan con la spia della riserva accesa, ci si debba affidare a Gary Neal con tutto quello che ne consegue.
La lezione che i ragazzi degli Spurs danno a tutto il mondo sportivo è altrettanto meritevole. Non hanno mai mollato in ogni difficoltà, non si sono mai nascosti dietro agli infortuni e agli acciacchi, hanno provato sino a 5″ dalla fine sul -6 a risorgere, poi una volta arrivata la loro fine, hanno riconosciuto la superiorità degli avversari e lasciato il campo a testa alta. Coach Popovich ha guidato il gruppo con parole di assoluto elogio ai Grizzlies e una conferenza stampa di signorilità inestimabile. (video)
Goodbye Ora si può dire con ufficialità: è finita l’era Tim Duncan. Quattro titoli, classe e intelligenza fuori dalla norma al servizio della squadra e del sistema, primo esempio sul campo nel non risparmiarsi mai e leader senza dire una parola. Quest’anno, però, le sue condizioni e la sua incisività erano chiare sin dall’inizio e spesso ci si è nascosti dietro l’idea di preservarlo per i playoffs. Con il cambio di logica (da difensiva a offensiva) e il sostanziale passaggio di consegne nelle mani di “el contusion” questa squadra si è praticamente snaturata, pur in un modo esemplare. Duncan non può più canalizzare le attenzioni di una difesa, non è più in grado di spazzare i tabelloni e di variare ogni parabola di tiro avversaria nel pitturato. Rimane in campo degnamente solo per la sconfinata intelligenza cestistica di cui dispone, ma ora gli Spurs sono davanti ad una lunga estate caldissima e piena di decisioni.
Simone Mazzola