L’occasione è ghiotta: da una parte c’è la possibilità di vedere all’opera quella che sarà una squadra protagonista dei prossimi, imminenti playoffs. Dall’altra una delle meno trasmesse – a ragione… – tra le formazioni del sommerso NBA. Quei Golden State Warriors che ad ondate, in particolari momenti storici, hanno saputo raccogliere adepti e fans, con quell’aria un po’ così, (non perchè siano di Genova) da eterni hippies della California del nord. Autentico mito ad esempio è stata la squadra che guidata dal più visionario tra gli allenatori NBA, Don Nelson, e in campo dal trio Run TMC, al secolo Tim Hardaway, Mitch Richmond e Chris Mullin, ha saputo infrangere più di un cuore tra chi resta convinto che la pallacanestro professionistica americana possa non essere solamente questione di isolamenti su un quarto di campo. I ragazzi, autentici precursori insieme ai Denver Nuggets di Doug Moe, degli attuali New York Knicks per filosofia di gioco, avevano un piano fantastico, ma che non li avrebbe mai portati al successo, vista poi la naturale allergia a tutto quello che succede nella propria metà campo. Ah già, ci sarebbe anche da difendere in questo giochino…
If you don’t play “D”… They don’t play you, recita da sempre un popolare detto, dove come sapete “D” sta per Defense. Quella che vince la partita, mentre l’altra fase del gioco vende i biglietti, bla bla bla Vero nel football, dove si parla di due squadre diverse (quella offensiva e quella difensiva appunto, poi ci sarebbero gli special teams, etc. Ma questa è un’altra storia), ma come si può tutt’oggi credere anche nella pallacanestro al più alto livello mondiale che senza dare importanta, consistenza, organizzazione a quello che fai dietro ci sia anche solo una piccola chance di arrivare all’unica cosa in palio (eh già, nell’NBA non ci sono da conquistare la salvezza o la qualificazione alla coppetta europea di turno, valida per organizzare ugualmente un’ideale parata e festeggiare)? Sarà pazzesco ma dalle parti di Frisco c’è ancora chi ci crede. I Warriors attuali hanno almeno un paio di giocatori nel back-court clamorosi. Ma se Monta Ellis è conosciuto dai più, e da qualche anno, per le sue doti realizzative, viene da chiedersi chi – scaduto il contratto da rookie – vorrà mettere la propria squadra, magari una formazione che punta al famoso titolo in palio, nelle mani di Steph Curry? Il prodigio da Davidson ne mette 35 anche stasera, ma non tutte le squadre si chiamano Warriors e per quanto innamorato di quello che è sicuramente più un tiratore che una point-guard, resto incerto sulle possibilità che in questo ruolo possa guidare un domani una contender.
Il futuro nelle proprie mani – In quelle di Kevin Durant e di Russell Westbrook, ma anche – udite udite – di Harden, Ibaka, Perkins. Sam Presti la squadra per vincere la sta costruendo davvero, essendosi laureato a pieni voti all’università dei San Antonio Spurs, sa da dove partire. E la prima mossa, pensate un po’, fu la cessione di Ray Allen dagli allora Seattle Supersonics ai – da sempre – Boston Celtics. Il ragazzo sapeva quello che stava facendo, e con l’arrivo, proprio dal Massachusetts, di Kendrick Perkins, ha saputo aggiungere in vista della post-season e degli anni a venire, un perno importantissimo soprattutto per la difesa di Coach Brooks. La filosofia si capirà facilmente essere letteralmente opposta a quella tutt’ora in voga nella California del nord di cui sopra, così come dalle parti della Statua della Libertà. Mettere insieme giocatori tanto per fare, per accumulare talento o inserire i giusti pezzi, quelli mancanti e combacianti col resto del puzzle? Sembra scontata la risposta, così non è, non ovunque, ma per fortuna dei calorosissimi e rumorosi tifosi della Oklahoma City Arena, qui è così che si fa.
Il duello – Botta e risposta tra Durant e Ellis in un incredibile finale di partita. Ma la ciliegina sulla torta la metterà Westbrook, realizzando un libero su due dopo essersi guadagnato la lunetta grazie a una tremenda penetrazione “alla” Derrick Rose. Restano 11 secondi sul cronometro, ma l’ennesima tripla di Monta Ellis finisce lunga, sul secondo ferro. L’overtime si chiude quindi con un’altra W, l’ennesima stagionale, per i Thunder. Ma come siamo arrivati fin qui? Semplicemente con un’esaltante alternanza di magie – soprattutto da lontano – dei due top scorers delle rispettive squadre. Nei finali di quarto hanno saputo riconquistare la parità o passare in vantaggio, e soprattutto al termine del quarto periodo Ellis dopo una tripla di Reggie Williams, ruba palla sulla rimessa, step-back nell’angolo e altro canestro pesante per mangiare in un amen il +6 di OKC e mandare tutti al supplementare. Se solo difendessero un pochino questi benedetti Warriors…
Andrea Pontremoli