Torniamo a SouthBeach, dopo averli lasciati a macerare per qualche mese …
Un terzo posto ad Est, con quasi il 70% di vittorie, una difesa che, numeri alla mano, ricorda molto la migliore della lega, 2 giocatori tra i primi 4 realizzatori, non ci si dovrebbe lamentare, almeno per una squadra al suo primo anno di vita.
Poi però vai un po’ più a fondo, e ti accorgi come il brillante record del 70% sia dovuto ad un record quasi perfetto contro le squadre scarse, uno meno lusinghiero verso quelle sopra il 50% di vittorie, e uno del tutto drammatico contro le top 4 di ogni conference (si segnala lo sweep contro i Lakers e 1 vittoria in casa sugli Spurs, per il resto “tragggedia”).
L’indicazione non è proprio positiva, quando hai costruito una squadra con l’unico obiettivo di vincere un (o più) anello. L’unico precedente favorevole è quello fornito dagli stessi Heat nel 2006, quando hanno vinto un titolo dopo essere stati umiliati da tutte le contenders in regular season.
Il Miami Herald, giornale per il quale i maligni potrebbero sospettare un piccolo conflitto di interessi, ci tiene ad evidenziare che quest’anno i Lakers abbiano avuto periodi ben peggiori di prestazioni rispetto agli Heat, ma nessuno li ha crocifissi perché hanno già vinto. Per non parlare di Pierce, ritenuto dai più un inutile ammennicolo fino alla vittoria del titolo 2008.
Tutto vero, per carità, ma devo dire che il mio ottimismo di inizio stagione sulle possibilità di Miami si è parecchio ridimensionato.
Fra i mille motivi di malfunzionamento, mi permetto di evidenziarne due, che sono per me i più significativi.
[b]Figlio di un dio minore[/b]
E’ a tutti evidente che dei tre amigos ce ne sia uno un po’ meno uguale degli altri. Il buon Chris è per talento, fisico, personalità, numeri un gradino sotto gli altri due. Quello che però ci si aspettava è che, sfruttando la maggior libertà dovuta al non poter essere raddoppiato (per non lasciare liberi gli altri due) i suoi numeri potessero crescere, o almeno che a parità di numeri potessero migliorare significativamente le sue percentuali. Insomma, un bancomat da punti, che facesse da contraltare sotto canestro allo strapotere di James e Wade da fuori. Certo, la scelta del giocatore qualche piccolo indizio negativo lo poteva dare, ma direi che la situazione reale si è perfino involuta.
A inizio anno si è provata ad esplorare l’ipotesi post basso: Bosh prendeva posizione sotto canestro (o almeno, il più vicino possibile, visto il fisichino gracile per 13 Kg totali), i compagni gli davano la palla, e a quel punto partiva il panico. Qualche palleggio spalle a canestro di avvicinamento, col risultato di trovarsi più lontano di quando aveva iniziato, poi raccoglie il palleggio, e inizia una serie di penosi accenni di finta, scolastici, non credibili e non creduti, e quindi il drammatico finale, ovvero un tiro in fadeaway che si schiantava puntuale sul ferro, oppure la disperata ricerca di un compagno nei pressi della metà campo a cui riaffidare la palla senza aver costruito niente. Per riassumere, si può dire che Bosh ha gli stessi movimenti in post di Howard (cioè sostanzialmente nessuno …), ma circa un ventesimo della sua potenza. Numeri in picchiata, percentuali da carestia, e in generale attacco della squadra ingolfato. E allora (giustamente, vista la situazione) si è cambiato strategia: qualche taglio a canestro con palla raccolta in movimento, ma soprattutto tanto, tanto pick & pop, ovvero Chris porta un blocco nei pressi del post alto, poi invece di andare verso canestro si allarga sui 5-6 metri, riceve palla e tira da lì. Tornato a fare il suo gioco più congeniale, numeri e statistiche di Bosh sono tornate a salire. Però io una domanda me la porrei. Se vuoi un lungo che in attacco giochi solo il pick & pop per poi tirare (con ottime percentuali) dai 6 metri, hai già Ilgauskas, che è campione mondiale della specialità! Perché dare 20mln all’anno ad un lungo se poi tutto quello che fa è tirare dai 6m? Dai quel ruolo a Mike Miller, e ottieni lo stesso risultato! Certo, a onore del vero bisogna segnalare il notevole (ed inatteso) apporto di Bosh in difesa, che nessuno dei due citati sopra potrebbe garantire. Spero però si sia capito il concetto: non ha senso immobilizzare tutti quei soldi per un lungo che gioca da esterno, a meno che non sia Nowitzki. Il sospetto avanzato da Buffa durante una telecronaca, ovvero che quegli stessi soldi si potrebbero spendere per prendere un play e un pivot veri, magari meno roboanti come nomi, ma più funzionali a supportare il dinamico duo, direi che ha parecchia cittadinanza. Certo, è difficile adesso scaricare Bosh, sia per motivi salariali (chi si accolla quei soldi per un giocatore a questo punto marchiato come perdente?), che politici: già oggi Wade e soprattutto James non sono popolarissimi, se poi ad un anno di distanza dovessero silurare il compagno di merende, sarebbero trattati con lo stesso amore che in questo periodo si riserverebbe ad un dittatore nel nord Africa. Però rimane il fatto che Bosh non è il terzo giusto per questa squadra: con la maggior familiarità la cosa potrà migliorare, e con l’infinito strapotere degli altri due potrebbero anche vincere un titolo lo stesso, ma di certo Bosh è più un handicap che un vantaggio.
[b]Chi è il Re Leone qui?[/b]
La mia idea su Lebron è sempre stata: uno dei più forti di sempre, ma non un giocatore da possessi determinanti. Può dominare una partita nel suo complesso da moltissimi punti di vista, e permetterti quasi sempre di strapazzare gli avversari. Perfino da solo (come dimostrano pietosamente i Cavs in versione Kingless). Se però la partita è tirata, se il problema non è fare 20 canestri in 40 minuti, ma un canestro con un tiro, quel tiro, l’unico che conta veramente e che ti fa vincere, all’ora non solo non è il più forte di sempre, ma non so se lo includerei nei primi venti (avrei detto che mi sentirei più sicuro a prenderlo io, quel tiro, ma non volevo darvi l’impressione di essere immodesto …).
E allora ho trovato una scelta geniale, coraggiosa, umile, razionale, realistica, quella di quest’estate, Lebron che accetta di fare un passo indietro e dire che per vincere ha bisogno di qualcuno che faccia per lui ciò che lui non sa fare. Chi scegliere? La lista non è lunghissima: Kobe, Wade, Durant, Ginobili, Pierce, forse Rose e Williams. Di questi, l’unico raggiungibile, e per altro grande amico del nostro era proprio Wade.
Allora tutti d’accordo: il Re regna per tutta la partita, palla sempre in mano, punti, tantissimi assist (soprattutto per Bosh, il superlungoturbo), e partite vinte di 20 punti. Se però la situazione lo richiede, il buon Wade, fresco e riposato, si prende 10 tiri nell’ultimo quarto, e ti fa vincere il match tirato.
Tutti d’accordo? Quasi.
Quest’anno il record degli Heat nelle partite decise con uno scarto inferiore ai 5 punti è drammatico. Neanche fossero Minnesota. Il già statico (o stitico) attacco degli Heat, quando viene messo alle strette ed è costretto ad andare a punti ad ogni azione, magari senza poter contare sul contropiede, si impantana irrimediabilmente. E qui, tu diresti, la diamo a Dwyane che forza in solitudine e ti fa vincere; è lì per quello! E invece no. Palla a LBJ, che forza, riforza, allontana ad ogni tiro la zona da cui rilascia la palla, e puntualmente sbaglia (mi sembra che quest’anno sia 0/3 nei tiri allo scadere per vincere o pareggiare). Ma non è che fosse un segreto di Fatima: siamo arrivati alla Triade proprio per risolvere questo problema.
Il fatto grave è che dubito che questo venga da una scelta tecnica del coach. Lo sbarbato Spoelstra non dà l’impressione di aver proprio in mano lo spogliatoio, e dubito sinceramente che nell’ultimo time out disegni lo schema che prevede James dagli 8 metri. Dubito per fino che nell’ultimo time out dica qualcosa.
Sono chiaramente i giocatori che si aggiustano fra loro. E qui succede l’imprevedibile. Bosh viene escluso dalla conta già alla prima strofa (Lebron intona: “sotto il ponte di Baracca…” e il povero Chris si trova già eliminato). Avrebbe avuto più probabilità Haslem, ma un infortunio ce l’ha portato via (a proposito, e se torna, che si fa?). Quindi la questione è tra Wade e James. Non è che Dwyane sia esattamente una mammoletta. Un caratterino egocentrico, un agonismo ai limiti del penale, un precedente (quello delle finali) in cui ha dichiaratamente sottratto lo scettro a un O’neal senz’altro in calo, ma tutt’altro che bollito, e questo sul palcoscenico più alto, durante la sua prima esibizione. E ovviamente ha pure vinto. Ecco, uno così scompare davanti a James. Il carisma sovrumano del principe di Akron fa sparire perfino Wade, perfino di fronte all’evidenza di essere più portato di James per quello specifico compito. Wade si fa da parte, aspetta su un lato, gioca (da Wade) solo quando il compagno è in panca. Si chiama sudditanza psicologica: Lebron ha conquistato anche gli Heat, ma questa non è una buona cosa.
Al momento l’impressione è che gli Heat non siano da titolo. E questo al di là del periodo specifico, in cui potrebbero star galoppando una striscia da 8 a 1 o da 0 a 6. I Celtics dell’ultimo titolo avevano una difesa eccezionale (come Miami) e un attacco disorganizzato e poco incisivo (come Miami). Ma dal punto di vista psicologico erano Ubuntu, erano un tutt’uno in cui ognuno conosceva il suo ruolo e lo rispettava. Un unico individuo dalla volontà incrollabile. Questi piangono nello spogliatoio dopo aver buttato via una (l’ennesima) partita.
A voi le conclusioni.
Vae Victis