All’US Airways Center di Phoenix si affrontano i padroni di casa, reduci dalla sconfitta dopo un triplo overtime sul campo dei Lakers, ed i Raptors di Andrea Bargnani, nel bel mezzo di un road trip di cinque gare ed alla ricerca di un finale di stagione quantomeno dignitoso. Curiosamente si affrontano due delle quattro squadre (Lakers e Nets le altre) ad aver dato vita a partite finite dopo tre O.T. in questa stagione, oltre che la terza (Suns) e quinta (Raptors) peggior difesa della lega. Ci si aspetta quindi una partita da ritmi alti, con i Suns “costretti” a vincere per mantenere intatti i sogni di post season, anche se non dai contenuti tecnici di altissimo livello.
I quintetti per i due team sono quelli “classici”: i Suns partono con Nash in cabina di regia, Vince Carter e Grant Hill sul perimetro e Channing Frye e Robin Lopez sotto canestro. Triano risponde con Calderon DeRozan, James ed Amir Johnson con Bargnani in mezzo all’area. La partenza, com’era lecito aspettarsi è all’insegna dei ritmi alti e delle difese allegre. In attacco i Raptors vivono delle iniziative di Bargnani e DeRozan: l’italiano ha molto variato il proprio approccio, cercando molto di più il gioco in post, concludendo in fade away o in semigancio, o cercando il jumper dopo la finta, movimento che gli permette anche di lucrare falli, vista la tendenza di molti difensori made in USA a saltare sulla prima finta e la sua capacità di prendersi un contatto evidenziandone la fallosità. Il mago è ormai uno scorer di razza: non sono solo i 22 punti di media abbondanti ad attestarlo, e nemmeno le esplosioni fragorose come i 35 contro i Nets o i 38 contro gli Heat, quanto la capacità ormai stabile di segnare in qualsiasi contesto e contro quasi ogni avversario. Interessante è l’insistente utilizzo del giro e tiro cadendo indietro dalle tacche, visto e considerato che parliamo di un 2.13 con braccia commisurate alla stazza, che lo rendono virtualmente incontestabile. Certamente così come c’è da constatare una crescita in attacco a livelli da all star c’è da appurare una regressione preoccupante a rimbalzo ed in difesa. Che il contesto Raptors non favorisca la voglia di sbattersi di uno che già di suo non è nè un truce difensore nè un folle cacciatore di rimbalzi è lapalissiano, che però Bargnani debba e possa fare di più è altrettanto evidente. Non sono poche le azioni in cui i tempi di rotazione, soprattutto sugli aiuti, sono completamente sbagliati, o in cui, vistosi battuto dal proprio uomo gliela da sù, rinunciando letteralmente a difendere. A rimbalzo spesso non ci prova neppure, limitandosi al tagliafuori o facendosi saltare addosso da gente con più fame. Ribadiamo, il contesto di squadra, palesemente un progetto, tra l’altro abbastanza inintellegibile considerando le scelte di Triano e l’attuale insicurezza a livello societario (Colangelo va o resta?) non aiutano certo l’applicazione e l’abnegazione e spesso si ha la sensazione che alcuni Raptors giochino per ingrassare le statistiche (come DeRozan o Sonny Weems) ed altri giochino solo in una metà del campo (Bargnani), ma il prossimo step per l’ex Benetton è quello di passare da scorer di alto livello a giocatore di alto livello. Non una cosa semplice, ovviamente.
Sta di fatto che la partita corre via veloce, con i Raptors costantemente avanti, grazie ad una buonissima serata al tiro ed i Suns a rincorrere ed a dosare uomini e forze: Nash giocherà in sostanza solo il secondo tempo, ben sostituito dal nuovo arrivo Aaron Brooks. Phoenix, già sulle ginocchia a causa della maratona di Los Angeles chiusasi poco più di 20 ore prima della palla a due con i Raptors si trova peraltro con rotazioni ridotte: durante la partita si infortunano prima Grant Hill, problemi influenzali, e poi Mickael Pietrus, ginocchio destro girato. Coach Gentry è quindi costretto ad affidarsi alle seconde linee, ed a qualche scelta coraggiosa, come quella di giocare quasi l’intero secondo tempo a zona 2-3, sfidando i Raptors a colpire dalla lunga e quella di giocare gli ultimi minuti di partita con l’assetto piccolo, con Nash, Brooks e Dudley sul perimetro e Frye e Gortat sotto. Saranno proprio le seconde linee a guidare la rimonta dei Suns, che rincorrono sin dall’inizio e finiscono anche a meno dodici. Come spesso accade però i quarti finali sono fatali ai Raptors: la squadra si disunisce, le rotazioni di Triano diventano fumose, l’attacco s’inceppa. Tant’è che i Suns prima rientrano, a fine terzo quarto, rivanno sotto, ad inizio del quarto periodo, ma alla fine riescono a sfangarla, approfittando del suicidio Raptors. Quella di Phoenix è la classica partita che fai fatica a spiegarti come i Raptors abbiano fatto a perdere: avanti sin dal primo quarto, scavano un discreto solco nel terzo periodo, nel quarto resistono alla rimonta e si tengono avanti…poi però si spegne la luce, l’attacco diventa asfittico, la difesa continua a far acqua da tutte le parti ed inevitabilmente la squadra affonda: anche quì: 6-0 guidato dall’ex Barbosa a 5 minuti dalla fine ed ospiti avanti di 6 sul 103-97. Da lì in poi il buio con un parziale subito di 17-3 in 5 minuti e partita andata in malora. Aldilà di tutto quando sarà il momento non sarà possibile ignorare tutto ciò quando si andrà a valutare l’operato di Triano.
La firma sulla vittoria dei padroni di casa è, tanto per cambiare, di Steve Nash, giocatore per il quale gli aggettivi sono abbondantemente finiti da un pezzo: Capitan Canada inchioda 5 punti vitali nel finale, oltre ai liberi della staffa, oltre agli assist con cui alimenta Gortat, che buona parte del prossimo, presumibilmente ricco, contratto dovrà devolverla al fondo Nash aiuta gli amici a gonfiare le cifre. Il bi-MVP della lega, nonostante gli anni passino, il fisico sia sempre più pieno di acciacchi ed i compagni tendano a peggiorare, continua ad insegnare pallacanestro, soprattutto quando si tratta di procurare un buon tiro ad un compagno. L’augurio, nonostante lui stesso in prima persona ha ribadito il fatto di non avere voglia di andarsene a cercare un titolo elemosinando un posto nel roster di una contender (unica eccezzione: Dallas, per provare a vincere con l’amico fraterno Nowitzki) è di vederlo giocare per qualcosa d’importante. Chapeau, mr. Nash, ancora una volta.
Enrico Amabile