Philadelphia-Denver è stata semplicemente “una delle 82”, con due squadre che nei primi 10′ di partita hanno tirato 9-9 da tre punti (7 Denver, 2 Phila) e che non hanno approcciato il match con difese insormontabili. Nonostante la serataccia di Anthony, gli spunti non sono mancati. Quando in un pick and roll c’è JR con Birdman, oltre ai tatuaggi fuori scala, c’è sempre qualcosa da dire.
A scuola da Chauncey. Big shot è intramontabile e il suo gioco a quattro ruote motrici gli permette di fare cose che ad altri playmaker sono interdette nel solo pensiero. Contro i Sixers ha aperto il match con 11 punti consecutivi, decidendo che il ragazzino Jrue Holiday fosse perlomeno da svezzare. Chauncey si è messo in proprio nei primi possessi mostrando tutto il suo campionario dal perimetro e non disdegnando una conclusione in post basso dopo spin, finta, passo e tiro davanti ad Holiday che è saltato come un tappo di Berlucchi a capodanno. Billups ha messo in scena, con la sua solita sobrietà, un dominio quasi imbarazzante, chiudendo il primo tempo a 22 punti e la partita a 27. Di positivo c’è che Holiday, nonostante la scoppola presa nella propria metà campo, non ha mai perso lucidità nella gestione dell’attacco, il che depone a favore di un giovane già sufficientemente smaliziato sul campo.
A forever Young bench mob. La partita di Thaddeus Young è da incorniciare, perchè il ragazzo ha sciorinato tutto il suo campionario di movimenti, offensivi e difensivi. Ha preso indistintamente Anthony e Smith in difesa, dando loro non pochi grattacapi. Mentre in attacco ha fatto valere i centimetri vicino a canestro se marcato da giocatori piccoli, oppure il suo buonissimo jump shot, se marcato da lunghi stanziali. Se trovasse la continuità di rendimento non mi stupirei di vederlo alzare il sixth man of the year tra qualche anno. Oltre al futuro awarder, dalla panchina dei Sixers si alzano anche giocatori del calibro di Lou Williams che, in 45 partite, ha tirato ben 219 liberi, neanche a dirlo miglior prestazione della lega tra le riserve. Assieme a lui ci sono l’ondivago Speights e Turner che si sta ritagliando sempre più spazio.
Turn (er) the light on. Bisogna spendere due parole per una seconda scelta assoluta che forse non è stato perfettamente scoutizzato dai più. Il ragazzo da Ohio State non è, e probabilmente, non sarà mai nè un realizzatore puro, nè una stella di prima grandezza NBA. Se però consideriamo le cose che fa sul campo, allora potremmo avere un’idea diversa del cosiddetto package che il ragazzo porta alla partita. E’ un insospettabile passatore e sono suoi i due assists schiacciati per terra più belli di serata che hanno servito due rimorchi per altrettanti “and-one”. Può prendere tanti rimbalzi in pochi minuti (quasi 5 in 24′ per l’esattezza), ma soprattutto unitamente a questo condurre il contropiede. In un paio di casi ha strappato la carambola, aperto il contropiede con slalom nel traffico per poi servire i vari Iguodala e Young sulle corsie laterali. Dategli il tempo di lavorare per un jumper affidabile, cosa che ora non ha nemmeno lontanamente sia per meccanica che per efficacia, e poi parleremo diversamente di un giocatore a tuttotondo.
JR Swish. Questo ragazzo ha un talento che a volte risulta quasi fastidioso. Può segnare ogni volta che vuole e nel modo che preferisce. Semplicemente non si spreca a leggere la difesa, se ha deciso che segnerà con un crossover, virata e fade away, lo farà indipendetemente da cosa gli capiti davanti. Lui è il classico genio di Picasso con la sregolatezza dell’elettrocardiogramma di un tachicardico, poi se consideriamo anche che tira i liberi da un passo più indietro della linea, abbiamo pronto il remake di Nick the Quick versione Mavs che tirava i liberi dal gomito. D’altra parte tra geni incompresi ci si capisce no?
Simone Mazzola