Speranza. Con questo ottimistico stato d’animo mi presento al pomeriggio della Vigilia con 7,50€ in tasca pronto a giocare tutto su i Lakers vincenti nel big match del giorno successivo, un regalo di Natale su cui, devo ammettere, puntavo davvero molto. I ricordi del 2009 erano sì freschi (sconfitta contro i Cavs e protesta del pubblico losangelino), ancor di più la pessima L ottenuta tra le mura amiche martedì sera contro i più che modesti Milwaukee Bucks, ma da quanto si diceva la squadra aveva preso ad allenarsi duro concentrata a quella che in un modo o nell’altro sarebbe comunque stata una partita importante anche nel pazzo ambito della Regular Season. La morale della favola però resta sempre quella e se lo scorso anno ero in qualche modo riuscito a sorbirmi fino all’ultimo secondo la sfida, ieri sera, tra stanchezza e non poca rabbia, a inizio quarto periodo mi è stato inevitabile chiudere baracca e filare a letto, senza peraltro (come dimostrato dalla replica di stamane) perdermi nulla di epico, se non la solita pallacanestro scricchiolante lacustre che dimostra molto semplicemente come la gara sia stata preparata solo da un lato.
LA apre bene il match: i primi tre minuti sembrano promettere bene, ma la risposta Heat è rapida e in poco tempo riesce a creare le giuste basi per un vantaggio da subito controllato e gestito dai ragazzi di coach Spoelstra; il distacco non è esorbitante e anche la fase offensiva ospite trova spesso il ferro nemico, ma i soli 14 punti segnati dai gialloviola nel primo quarto (peggior dato stagionale) sono già un grigio segnale , così come grigia sarà la giornata di Kobe&Gasol, salvaguardati e supportati per i primi 24 minuti da Odom e Brown, salvo poi sprofondare nell’ombra del buio secondo tempo assieme all’intera squadra, che ogni minuto sembra sempre più svanire dal parquet. Ma sorge spontanea una domanda: se Bryant aveva sì difronte una star di assoluto rispetto come Wade da fronteggiare in entrambe le metacampo, quale crudele sorte a Gasol? La risposta è semplice Bosh e Ilgauskas, due lunghi che il #16 catalano in un’ordinaria giornata si sarebbe bevuto in un solo sorso e che invece a Natale, comunque inspiegabilmente, si trova a subire fin dalle prime giocate (di classe?!) di Chris e i tiri dalla lunga di Zydrunas, incapace con un terrificante 0-7 iniziale di ribattere in attacco dei veri e propri rigori a meno di un metro dal tabellone, ennesimo sentore di una serata in cui non manca certo il fisico o le gambe ma bensì la testa. Con una fase offensiva relegata spesso agli isolamenti in post medio-basso, tra passaggi telefonati alla lunga prevedibili da una difesa ben adeguata alle soluzioni dei Lakers e che ben raddoppia e chiude le linee di passaggio, LA si è trovata davanti una truppa ben più motivata, in grado di soffocare la spinta del pubblico spegnendo i cardini fondamentali del gioco di Jackson, che poco ha avuto da ciascuno dei suoi, tutti indistintamente fantasmi del loro smisurato talento. Gli 80 punti finali, ennesima fiacca prova di stagione, sono frutto sì dell’ombra di Bryant e Gasol, ma anche del nervosismo di Artest, della totale nullità di Blake, di alcune scelte sulle rotazioni poco sensate da parte di Phil (Bynum su tutte), di un team insomma che alla stregua di 365 giorni prima pareva in campo solamente in gita: Miami ha il pregio di essersi fatta un viaggio di oltre 2700 miglia per dimostrare al mondo NBA la crescita del gruppo, i progressi della chimica tra Wade e James, che insomma il progetto pare ingranare sempre meglio, alla scalata del primo posto assoluto, lo stesso che i Lakers continuano a veder dal basso alla ricerca di una striscia convincente di W che possa risollevare animi e record. In un contesto dall’intensità pre-seasoniana, ogni frazione di gioco è stata gestita da Miami facendo girare a vuoto la difesa casalinga, che a sprazzi è riuscita bene a coprire le penetrazioni con una zona molto simile alla box, salvo poi crollare sulle continue e micidiali penetrazioni di Wade che da buon Flash brucia a ripetizione Brown e Kobe anche senza supporto di blocchi alti: il team della Florida vola così sull’onda delle due proprie stars, ricevendo però, a differenza dei gelidi esterni lacustri, buoni contributi dall’arco da parte di Mario Chamlers, oltre all’infermabile LeBron e il suo ottimo 5/6 from downtown.
Concluderei insomma (e non solo io) che in California bisognerebbe cominciare a giocare concentrati anche in stagione regolare, soprattutto se l’avversario è quella Miami tanto decantata dai media come unica in grado di detronizzare i Lakers: le partite si vincono in difesa diceva qualcuno tempo fa, ma quando il lavoro di Barnes e RonRon su James è così inefficace, quando Bryant non riesce mai a tenere il numero 3 degli Heat, quando Gasol concede a Bosh la bellezza di 18 punti nei soli primi due quarti e quando lo stesso Odom, l’uomo della differenza, ci mette sì molta grinta, ma anche parecchie sbavature, è assolutamente comprensibile la sconfitta di ieri notte. La sberla di 16 punti è quanto più di meritato per l’atteggiamento avuto nell’arco del match, ma nonostante sia stata ottima la partita difensiva preparata dagli Heat (Spoelstra ogni tanto si fa notare anche lui), la somiglianza coi vecchi Cavs + Wade è molto evidente, con unico schema fatto di palla ad uno dei due e resto dell’azione calibrata sul comportamento degli avversari; vedremo però se in primavera ci saranno sempre wide-open come quelli concessi ieri dai confusi Lakers…stay tuned.
Buon 2011 a tutti!! (e non scommettete più come il sottoscritto)
Michele Di Terlizzi