L’estate porta con sé alcuni punti fermi.
Il caldo, le zanzare, i lavori in corso sulle principali arterie autostradali, e per quanto riguarda il panorama televisivo, le repliche.
Si passa da un palinsesto ad animazione assistita (quello in vigore tutto l’anno), ad uno stato di coma conclamato, che ha la sua porta bandiera in Rete 4, che trasmette a ciclo continuo da 50 anni l’intera saga di Don Camillo (per altro imperdibile, sia chiaro!), fino alle estenuanti repliche di serie TV che ritenevamo estinte insieme all’archeopterix.
Anche gli States ci danno una mano, rinvigorendo i fasti di una delle più amate sit com del passato, l’imperdibile “CASA MIAMI”.
[b]Pronto, c’è Stan?[/b]
In realtà nello specifico non trattasi proprio di replica, ma di remake, anche se molto fedele all’originale.
Partendo ancora una volta dal plot di base un gruppo di all stars che finge di essere una squadra, la vicenda si snoda attorno ad una serie di personaggi, che fra alterne vicende fanno la gioia di tifosi e giornalisti, tra fescennini e siparietti comici.
Uno dei personaggi più riusciti della passata edizione, quella del 2006, per capirci, era la figura caricaturale dell’allenatore. Il suo personaggio si basava sulla commedia dell’equivoco: tutti sapevano che lui non era più l’allenatore in carica, tranne lui, e lui continuava a inventarsi una serie di bugie sempre più articolate per coprire il fatto che fosse stato cacciato in malo modo dalla sua occupazione.
Certo, il viso da comico naturale del precedente interprete, un insuperabile Stan VanGundy, unito a quella voce a metà fra night mare e Speedy Gonzales, l’ha consegnato alla storia come uno dei personaggi più amati dal pubblico. Indimenticabile la scena madre, quella in cui lui sosteneva: “vado, ma l’ho deciso io, perché voglio stare più vicino alla mia famiglia”, mentre Pat il padre padrone gli impacchettava i bagagli ripetendo: “io non so niente!”.
In questo remake, il ruolo che fu di Stan viene affidato ad un attore inesperto, una sorta di Teocoli che imita Fonseca, che di certo non riuscirà a caratterizzare il personaggio come il suo predecessore.
Unica novità il cameo del vecchio Stan, che lo chiama ogni notte fingendo una telefonata anonima: “Eric, la famiglia tutto bene?” Peccato che lo riconoscano sempre.
Chissà perché…
[b]3 dei prossimi 5 anelli[/b]
Scusate, non resistevo.
Passiamo alle cose serie, e andiamo a valutare l‘impatto tecnico di Lebron sui nuovi Heat.
Credo che aspettarsi 3 dei prossimi 5 anelli sia lecito a Southbeach, certo la squadra va completata, e sicuramente i 3 amigos dovranno trovare modi per convivere tecnici, oltre che emotivi, ma mi sembra ci sia tutto quel che serve per entrare nella storia.
Personalmente non sono un fan di Bosh, ma credo che nel suo nuovo ruolo, ovvero giocatore per niente decisivo, ma che fa bel gioco in regular season e mette tanti punti a inizio partita, possa andare. Lebron avrà in mano palla e gestione della squadra, creando per sé e per gli altri (Bosh in primis) per tutta la partita. Il fatto di non avere un playmaker (Chalmers l’opzione più realistica a disposizione) spingerà Spoelstra (pausa comica) a schierare Lebron come point forward, ruolo che probabilmente farà calare la sua media punti, ma lo renderà il vero fulcro della squadra. A Wade invece resteranno gli assoli al sax, chiudere le partite, segnare quando si è in difficoltà, fare la faccia scura quando gli altri mollano.
Gli altri due del quintetto dovrebbero essere appunto Chalmers, e Haslem che, a meno di una demenza senile precoce, dovrebbe accordarsi con la dirigenza per rimanere in Florida. Quindi 3 stelle, più votate all’attacco, ma che riescono a essere almeno decorose in difesa quando serve (la domanda è: in aiuto stopperà di più Wade o Lebron?) più due giocatori di ruolo, disposti a far legna, a difendere, prendere rimbalzi, recuperare palloni. Dalla panchina arriverà una fila di veterani affamati di titoli e disposti a venir giù per poco (quasi sicuro Mike Miller, ma si parla anche di Fisher e Juwan Howard).
Ancora una volta quindi una squadra che se riesce a stare insieme stravince, se no si demolisce da sola. Comunque a prima vista sembra meno instabile dell’arca di Noè del 2006 (e un tantino più forte in difesa, fatto non secondario per una squadra di Riley …).
[b]Lebron ha fatto bene[/b]
Se è abbastanza chiaro che Wade e Bosh hanno fatto buone scelte, e che Miami è stata eccezionale, la posizione più dubbia è quella del Prescelto.
Tra maglie in fiamme, lettere di insulti del suo ex principale, e in generale accuse di codardia da parte di chiunque sia in possesso di un mouse, Lebron ha fatto secondo me la scelta migliore.
Non voglio nemmeno entrare nella discussione del “da soli non si vince, serve una, meglio due stelle per arrivare all’anello”, per non offendere la vostra intelligenza. L’unico che può dire veramente di aver vinto da solo è stato George Mikan, ma quello era un film di fantascienza (Gozzilla contro i Puffi) di cinquant’anni fa, da allora non è stato più possibile.
Il fatto quindi di aver scelto di cercare aiuto nella caccia all’anello spero non scandalizzi nessuno.
Quello che invece mi rendo conto possa provocare reazioni ostili è la scelta del TIPO di aiuto. James, dopo due anni in cui in maniera più o meno palese annaspa quando conta, va a giocare insieme a uno dei due migliori closer della lega. Di più, va a giocare a casa sua. Mi sembra abbastanza chiaro che mentre Lebron si dedicherà a borotalco e foto di gruppo a inizio partita, sarà quell’altro che morderà i polpacci ai suoi per spronarli a vincere, e sarà ancora lui a gestire i palloni importanti.
Questo vuol dire che non sei un grande giocatore?
Direi di no.
Che non puoi essere il giocatore più forte della tua squadra?
Nemmeno.
Andando a prendere due esempi vicini nel tempo e di indiscusso valore, pensate a Shaq a LA o Duncan a SanAntonio: entrambi Allstar, stradominanti, giocatori di riferimento e più dominanti della propria squadra, guidavano i loro alla vittoria con ampi margini nella maggior parte delle partite. Peccato che, al di là di rare eccezioni, nelle partite tirate alla fine la palla finiva in mano a Kobe o a Ginobili, che ti firmavano quelle 5-6 partite l’anno che ti cambiavano una stagione. Eppure penso che nessun si sogni di dire che Shaq non sia stato uno dei centri più grandi di sempre, o Duncan (con buona pace di Malone) la power forward più dominante.
Quello che stride è che la percezione di Lebron è sempre stata un filo alta: il più forte di sempre, il re, il prescelto, il nuovo MJ. Con questa scelta James ha fatto una dichiarazione al mondo:
IO NON SONO IL PRESCELTO!
Sono un giocatore fortissimo, uno dei più dominanti del mio tempo, batterò moltissimi record, vincerò tanto, ma non sarò mai il più forte di ogni epoca.
Per chi credeva (lui compreso) alla storia del prescelto, il colpo è duro.
Personalmente già da un po’ avevo opinione differente sull’ex 23, e quindi io non sono rimasto per niente stupito dalla sua scelta, lo davo a Miami già da diversi mesi, e nella “firma” di Bosh non ho mai visto la fine della campagna acquisti degli Heat, ma il portarsi a casa un bene strumentale all’acquisto vero.
Miami in oltre, a differenza di Cleveland, Chicago e New York, mette a disposizione un allenatore (Riley, off course…) che può permettersi di “trattare male” Lebron, e convincerlo a fare cose che non vuole, a imparare aspetti inesplorati, etc. Non può farlo Byron Scott, non potrebbe Tibodeau (per quanto miglior assistente difensivo, come coach è un rookie), mentre D’antony ha l’autorità per farsi dare retta, ma un sistema di gioco del tutto inadatto a James (che predilige un gioco con la palla spesso nelle sue mani, più che un sistema di passaggi veloci e tanti tiri da fuori). Inoltre l’unico vero giocatore a Roster dei Knicks (il Gallo) gioca nel suo stesso ruolo.
Anche il mio giudizio morale sulla sua scelta è positivo.
Le accuse di tradimento dell’owner dei Cavs sono semplicemente ridicole, mi rendo conto che un tifoso reagisca così, ma un proprietario, quindi un professionista, nella lega dei professionisti per eccellenza, non può farlo. Per di più per iscritto, e sul sito ufficiale della squadra. Lebron ha fatto per Cleveland l’impensabile, è stato Cleveland per 7 anni, in cui ha dato tutto per la causa (ok, se escludiamo le ultime due partite di questi playoffs), in cui ha preso una franchigia inutile e l’ha resa la cosa più cool nel mondo dello sport. Certo, svegliarsi a mezzanotte e scoprire che la carrozza è tornata una zucca non è facile, ma da qui a dire che Lebron li abbia traditi, o che avesse un qualche debito morale a rimanere mi sembra delirante. Anche le spese sostenute dalla società per accontentarlo, firma di free agent, nuovi impianti d’allenamento, etc, mi sembra siano stati ampliamente ripagati dai sette anni di notorietà che altrimenti mai sarebbero arrivati.
La scelta di Miami infine è stata credo una scelta di maturità: al ragazzino 18 enne hanno cucito addosso un ruolo di salvatore della patria che non era il suo, ma chiaramente se hai 18 anni e tutto il mondo ti dice che sei Dio, tu tendi a credergli, e magari anche a comportarti di conseguenza. A 25 anni un Lebron decisamente più maturo e più consapevole di sé, può fare invece una scelta adulta e accettare i suoi limiti.
Può accettare che salvare il mondo da solo fa molto figo, ma alla fine resti solo, e se il mondo non lo salvi ti insultano pure. Forse farlo con alcuni amici (si dice i rapporti personali fra le 3 stelle di Miami siano molto buoni) è più gratificante, e le possibilità di successo sono maggiori.
L’unica cosa che ho trovato veramente stonata e in contrasto con quanto fin qui detto è stata la conferenza stampa dell’annuncio.
2010: The Decision.
La conferenza stampa in prime time su ESPN.
L’ambiente finto-bucolico, con la camicia a quadri elegante ma familiare, i bambini sullo sfondo, il giornalista compiacente, le porte blindate.
Se hai deciso che sei diventato grande, se stai annunciando che non sarai mai più il prescelto, che vai in una squadra di pari, non puoi atteggiarti a Star hollywoodiana in questo modo.
Pensate ad esempio ai Big 3 dei Celtics, che tre anni fa si rifiutavano di comparire in una copertina o rilasciare interviste se non erano presenti tutti e 3.
O pensate ai tifosi dei Cavs e a Dan Gilbert: andarsene, come detto, ci stava, ma usare un po’ di rispetto verso gli ex-tifosi-compagni-società non avrebbe certo stonato: prima avrebbe dovuto, con un incontro riservato, avvisare Gilbert che non sarebbe tornato, e poi in seguito annunciare la sua firma con gli Heat.
Farglielo sapere insieme a tutti gli altri in diretta TV è stato meschino.
Un brutto modo di iniziare una nuova era.
[b]Quel che resta del giorno[/b]
Certo, a Cleveland non sono preoccupati. Tanto il loro Proprietario ha promesso che vinceranno un titolo prima di Lebron.
Sono fortunati se fra due anni avranno ancora in città una squadra professionistica.
Sembra un po’ la Phila del dopo Iverson: una serie di operai strapagati, che avevano un senso come complemento della stella, ma che da soli non hanno nessun senso.
Williams e Jamison come punti di riferimento dell’attacco, Hickson come maggior fonte di speranza per il futuro, un allenatore che non ha mai convinto (Byron Scott) come caronte di questa banda malassortita di giocatori demotivati. E nemmeno abbastanza scarsi e poco orgogliosi da dirigersi subito verso la lotteria.
Qualche soldo da spendere (9mln), ma nessun free agent al mondo disposto a venire a prenderseli. Il risultato più probabile sarà di strapagare un giocatore poco decisivo, pur di convincerlo a venire sul lago.
Si possono dire tante cose sui Cavs del prossimo futuro, ma credo che tutto il portato emotivo sia ben sintetizzato nella foto di questo articolo: il mega pannello pubblicitario di nike-James (siamo tutti testimoni), in cui alla faccia del prescelto si sostituisce l’uomo della strada, gravato dal peso della pochezza della sua condizione (sportiva, per carità!), resa ancora più amara dall’essere stato per qualche anno sul tetto del mondo.
Entrino le zucche …
[b]Il più grande mercato di sempre[/b]
Il primo colpo di mercato, quello di Miami, è effettivamente epocale.
Di lì in giù però c’è un po’ di delusione. Grandissime attese puntualmente frustrate, e se gli Heat hanno effettivamente mutato in maniera indelebile la faccia dell’NBA, per le altre la situazione non è poi cambiata tanto, con tante conferme e spostamenti non decisivi.
Utah perde Boozer, ma il vice (Milsapp) già in casa prenderà il suo posto. I Jazz sono un po’ più deboli, ma probabilmente la loro posizione nel ranking non si sposta molto: Milsapp è un attaccante meno rifinito, ma più potente, sicuramente con più voglia. Come il suo predecessore non è altissimo, e specie contro le torri di LA la cosa si paga. Probabile che entro febbraio uno fra Kirilenko e Okur ( o forse tutti e due) se ne vada.
Toronto perde Bosh per nulla, ma non è detto che sia un male: ora che finalmente il roster è definito e i ruoli di tutti sono chiari, potrebbe perfino non sentire la mancanza del suo numero 4, e confermarsi intorno al 50% di vittorie, con possibile accesso ai playoffs. Se poi si trova un assetto tattico e d’ambiente che ridesti il turco, potrebbe perfino migliorare.
Chicago è una squadra intrigante, coperta in tutti i ruoli e con un’età media decisamente bassa. Boozer si completa bene con Noah dal punto di vista tecnico e caratteriale, ma anche qui mancano decisamente i centimetri in front line. Squadra in ascesa, che lotterà con gli Hawks per essere riconosciuta quarta forza a Est.
A proposito di Hawks, niente da segnalare: Joe Johnson resta, convinto da quello che solo la sua squadra gli poteva dare. No, non è l’affetto o il supporto dei fan.
119 milioni in 6 anni sono uno sproposito per un giocatore senz’altro di talento, ma in termini di aiuto per vincere un anello va nella categoria dei “nice to have”.
Possibile l’arrivo di Shaq a dar manforte a Horford in mezzo all’area.
Shaq, ma ritirarsi no?
Boston conferma i suoi big 3, ai quali aggiunge Jermain O’neal e trattiene anche Rivers in panchina. Per me restano la seconda forza a Est, e come si dice, il titolo dell’est dovrai strapparlo a forza dalle loro mani dopo che sono morti. Peccato l’addio a Sheed.
Chiude il giro dei riconfermati (tralasciando Ginobili, che aveva già esteso prima della fine della stagione) anche Dirk Nowitzki. Per il tedesco secondo me vale il discorso fatto sopra per James: può essere il giocatore più forte della squadra, l’anima, il miglior marcatore, ma non è l’uomo per i tiri che contano. Continua a recitare una parte per cui non ha le caratteristiche, e continuerà a non vincere. Peccato. L’avrei visto bene a Utah con Deron Williams.
E infine (tralascio il discorso Nets, che hanno spazio salariale per comprarsi una squadra intera, ma nemmeno un giocatore della NBDL disposto a giocare per loro) andiamo nella Grande Mela: sono 3 anni che ci parlano del piano A (Lebron), di un piano B (Wade), poi spunta un piano C (Joe Johnson).
Falliti miseramente tutti e 3, ci dirigiamo con ottimismo verso il piano D (teniamo botta fino all’estate prossima, e vediamo di prendere Paul, Anthony, o alla peggio Tony Parker): cosa pensano di essere, i Twolves? L’acquisto più significativo dell’anno della svolta è stato Stoudamire, ala forte di indubbio valore, che odia D’antony ed è ricambiato, che rischia di veder calare le sue cifre in contumacia Nash (l’avete mai visto costruirsi un tiro ricevendo spalle a canestro?), che ha passato 1 mese lo scorso anno a meno di 5 rimbalzi a partita, che ha una solidità fisica quantomeno questionabile.
Beh, sui rimbalzi state tranquilli, abbiamo dato via l’unico rimbalzista della squadra (Lee) in cambio di Randolf, Azubuike e Turiaf. C’è da dire che dare un pluriennale da 16mln a stagione a uno come Lee, etica del lavoro discutibile, doti tecniche modeste e 0 margini di miglioramento, non sarebbe stata necessariamente un’ideona…
Comunque tranquilli, se siamo fortunati riusciamo a portare a casa la gemma di questo mercato, il secondo miglior giocatore ogni epoca uscito da Gonzaga: Luke Ridnauer. Certo, il primo era Stockton, e va bene, purtroppo non sono ancora pervenute tracce del terzo classificato…
Non è detto comunque che sia così male nell’attacco dei Knicks del baffo: non difende niente, ma quello non lo faceva nemmeno Nash, e la palla la sa far girare; certo, sul tiro da fuori e la gestione del pick & roll i più attenti noteranno delle differenze, ma al limite c’è sempre il piano E …
E con questo è davvero tutto.
Tanti cari auguri al povero Spoelstra, e
Vae Victis