Che nottata è stata quella appena conclusasi con la vittoria dei Boston Celtics sugli Orlando Magic? E’ stata di certo quella di Nate Robinson, inaspettato protagonista del 2° e decisivo quarto. Quella dei flagrant fouls, fischiati e non. Quella di Paul Pierce, che metaforicamente (nella pratica l’ha fatto il co-owner “Wyc” Grousbeck) alza il secondo trofeo di Campioni della Eastern Conference in 3 anni. E’ stata quella di un sogno infranto, quello fatto da Stan Van Gundy e da tutti i fans dei Magic.
Orlando arriva da una prova orgogliosa, quella di gara 4 e 5. Sa bene che tutto si risolverà in questa partita, anche se la sua eventuale vittoria al Garden allungherebbe la serie alla settima, che poi andrebbe pur sempre vinta, ma a quel punto con i favori del pronostico nuovamente dalla parte dei Magic. La carica che questa volta Orlando porta sul parquet incrociato di Boston non è però quella positiva delle precedenti sfide. Un senso di frustrazione appare evidente fin dai primi minuti di gioco, quando – comprensibilmente – Howard&Co. tornano a confrontarsi con l’enorme difficoltà creatagli dalla fisicità e dall’energia dei Celtics. Boston parte bene ma il punteggio nel primo quarto resta comunque in equilibrio. Rondo (14 punti, 6 assist, e tanto ghiaccio sulla schiena, sdraiato sulla side-line) ne ha da vendere: ruba in difesa, scatena il contropiede biancoverde, conclude in proprio o trova sempre il Pierce o l’Allen di turno sul perimetro. Proprio in occasione di una sua entrata acrobatica finisce malamente al tappeto, costretto ad abbandonare poi il campo. Siamo anche nel momento dove solitamente, nelle rotazioni di Coach Rivers, Pierce va a prendersi qualche minuto di riposo. Per sostituire la sua point-guard Doc inserisce Nate Robinson, a questo punto, per non dover tenere in campo il Capitano a gestire palla insieme ai due Allen. E quello che non t’aspetti…accade! Robinson è caldissimo, infila 2 triple, un bell’arresto e tiro, trova Garnett sul pick’n’roll per la schiacciata del veterano, segna in totale Steve Nash Style un terzo tempo di destro…completamente sbilanciato a sinistra. I Celtics volano a +21: è già finita!
Orlando non ha le armi in questa nottata bostoniana per replicare, come fatto nelle occasioni precedenti (e vincenti). Redick non trova la precisione consueta da fuori e Howard (28 punti, 12 rimbalzi, 4 falli di cui almeno 3 potenziali flagrant non fischiati) in solitario, accumula cifre sempre interessanti, ma non determinanti per la sua squadra. Flash-back: nel primo turno di questi playoffs dei Magic dominanti portavano a casa le partite giocando come una macchina perfetta, un ingranaggio ben oliato e collaudato, e magari il nostro Dwight chiudeva con 4-5 punti. Non può non esserci un legame stretto-stretto tra le due situazioni, agli antipodi, con la formuletta che dice che quando Howard è magari il miglior marcatore dei suoi, Orlando perde. L’ha pensato chiaramente anche Rivers e il suo staff ad inizio serie, e il piano, col senno di poi, non si può certo dire che non abbia funzionato.
Rondo rientra nella ripresa e anche se malconcio sembra in grado di guidare la sua squadra verso la Finale NBA. I Magic azzardano una piccola rimonta, ma non portandosi mai sotto i 10-12 punti di scarto. Quando sembrano poter trovare un minimo di precisione al tiro (6/22 da tre punti) ci pensano 2 triple di Ray Allen e una di Pierce (31 punti, 13 rimbalzi, 5 assist) a riallontanarli verso il baratro dell’eliminazione. Non serve altro ai Celtics per chiudere la gara che scorre tra un tuffo di Garnett e Redick tra le prime file, e un tiraccio a scelta del trio Nelson-Carter-Lewis (rispettivamente 5/14, 6/15 e 3/11 dal campo). Boston è nuovamente in finale. I giocatori festeggiano il minimo necessario, la testa è già là, probabilmente ai Lakers, forse ai Suns.
Orlando esce come una delle delusioni della stagione: insieme ai Cavs erano fin dall’inizio i favoritissimi al ritorno in finale, invece non è bastato alla dirigenza inserire un Vince Carter, confermatosi per quello che è sempre stato in tutta la sua carriera, al posto di Hedo Turkoglu. Howard come detto non sposta quel tanto che basta gli equilibri di una serie a questo livello, quel tanto almeno che può servire ai suoi per vincere, finalmente, un titolo. I “vecchi” Celtics l’hanno capito, e con la forza dell’esperienza volano alle Finals, perchè per i Big Three (ormai diventati Big Four) “one is not enough”, e per le strade intorno al TD Garden c’è una voglia esagerata di appendere il 18° banner, Kobe o Nash permettendo.
Andrea Pontremoli