Inutile. Ancora una volta i gialloviola si dimostrano più forti delle critiche, più forti dell’incubo, ora scacciato, di quel fortunosissimo tiro di Tim Thomas quattro anni or sono, che aveva condannato LA ad una amarissima uscita di turno: questa volta i Suns rimangono a bocca asciutta e la faccia di Stoudemire a fine gare ricorda molto la stessa che il centro #1 fece dopo quel doppio buzzer beater in game-4. Revenge, direbbero gli americani. Ieri sera così, l’eroe fa di nome Ron Artest, quel guerriero che per molti anni è stato desiderio della franchigia californiana e che tanto è stato voluto per una grinta non comune a tutti i giocatori NBA: l’ala ex Houston ha sempre avuto il merito di non arrendersi mai (se non ai fischi arbitrali) e forse Richardson stanotte ne avrà fatto tesoro, dopo quel rimbalzo strappatogli in faccia e preludio dell’incredibile fade away di Ron Ron a 0.7 secondi dalla sirena. Eppure l’eroe atteso era Kobe, lo stesso del 2006, lo stesso autore, ancora una volta, di dei Playoffs al limite della perfezione, di una serie in cui viaggia ampiamente sopra la soglia dei 30 punti, di quei game winner che durante la stagione l’hanno riportato alla ribalta come il migliore nel chiudere finali tiratissimi, ma che questa volta era ben chiuso, bloccato nell’angolo e costretto ad un tiro con parabola altissima da Hill, che senza la prontezza di Artest sarebbe stata un enorme chance gettata via per evitare di finire sotto dopo il 2-0 iniziale. Ma cosa è successo perchè dal controllo più assoluto Phoenix sia riuscita a ritornare sotto?
I Suns non hanno fatto altro che giocare da Suns, praticando il più classico gioco cestistico “Passa e tira” che però, a differenza delle prime due allo Staples, ha premiato molto riportando fiducia alla squadra di Gentry che facendo il proprio dovere ha potuto ricucire il gap per riportare speranze ai caldissimi tifosi dell’Arizona. Elemento ancor più cruciale è stata l’entrata in gioco di Frye, un tiratore che se acceso difficilmente esaurisce la cartuccia in fretta: ma una squadra di shooter come questa è da prendere comunque sempre con le pinze ed LA, palesemente svogliata, ha ampiamente dimostrato di essere persa, con la testa di certo non atterrata a Phoenix, mettendo a serio rischio una qualificazione alla finale non certo scontata ma neppure troppo complessa. Soffrire con i Thunder ci stava perchè Bryant era in condizioni pietose, perchè i ragazzi di Oklahoma correvano come matti e visto anche il difficile periodo lacustre in quel di Aprile: ora però a Maggio, con di fronte un team neanche lontanamente soddisfatto di aver toccato questa meta; per prendersi la vendetta finale contro i Celtics servono i migliori Lakers e questo ad ampi tratti nessunissimo video o recap l’ha potuto testimoniare: Bynum, la panchina, lo spreco di un Mamba davvero monumentale in entrambe le gare in trasferta, tutti piccoli tasselli che davvero prima di quel tiro di Ron rischiavano di diventare argomento per rosicate estive di giornalisti ed analisti. Ma quel canestro è arrivato…
In una partita brutta, difficile e sofferta è vero, in cui Phoenix parte bene spaventa Los Angeles e crea i presupposti per una serata infernale, ma che alla fine è arrivato. I gialloviola ingranano da fine primo quarto in poi, scappano via sulle ali delle lodevoli prestazioni targate Odom (17+13) e Gasol (21+9) con ovviamente il solito #24 in cabina di regia a dare show nell’ennesima gara vicinissimo alla tripla doppia. L’allungo sul +18 pare la fine per molti, ma la difesa casalinga fa di tutto per riaprire i conti regalando facili tiri e facili penetrazioni con un semplice blocco in punta che mette in crisi playmaker e lunghi, con Drew ancora una volta imputato numero uno per lentezza e perenne spossatezza.
I Suns così, guidati da una panchina lodevole per concretezza, si riportano a contatto nell’arco di pochi minuti rendendo la gara tutta un’altra storia rispetto alla semplice asfaltata prevedibile giusto qualche azione prima: Vujacic cade nel tranello di Dragic cedendo a provocazioni e dimenticandosi di saper anche giocare a pallacanestro, Fisher è impeccabile in fase offensiva e ridà l’ultimo serio vantaggio ai suoi prima di dover però lasciar spazio ad uno stellare Nash da 29 punti che tiene punto a punto la gara a poco meno di due minuti dal termine. Qui Gasol sbaglia tutto il possibile e peggio ancora perde un paio di rimbalzi fondamentali per riottenere il possesso, regalando così una mortifera seconda chance a Richardson che ringrazia e di tabella mette la bomba del 101 pari. Il resto, dicevamo, è storia, forse la giocata di una stagione capace, almeno per ora, di dimenticarsi ogni singolo difetto di Ron uscito fuori durante l’anno: in gara 6, domani sera, si può andare in finale e che ci si creda o meno la play of the night è tutta del bulletto di Queen…
Where amazing happens!
Michele Di Terlizzi