Largomento non è proprio nuovo.
Credo che chiunque abbia già scritto un pezzo in proposito, ma essendo alla fine la filosofia su cui basare il proprio approccio al gioco, ed essendo da sempre argomento di dibattito, mi permetto di dare anche il mio parere in proposito.
Per chi non lavesse ancora capito, largomento è: per vincere è più importante la difesa o lattacco?
Phoenix o Chicago? Toronto o San Antonio? DAntoni o Larry Brown?
Il bel gioco (che normalmente è naturale conseguenza di un gioco che punta soprattutto a vincere le partite in fase offensiva) è solo fine a se stesso o può farti vincere un anello?
[b]L’età dell’oro[/b]
In epoche mitologiche del gioco esistevano solo i Celtics.
13 titoli vinti in 15 anni, e un dominio assoluto, tecnico e mentale, sugli avversari.
Il loro faro, Bill Russell, è stato probabilmente il più forte difensore nella storia di questo gioco.
I Celtics vincevano intimidendo gli avversari, levando loro ogni possibilità di costruire il proprio gioco, divorandoli sul campo. Non ho dimenticato la presenza di Cousy (uno dei migliori attaccanti dellepoca, nonché autore della celebre frase che dà il nome a questa rubrica), è chiaro che quella formazione non era scarsa in attacco, però indubbiamente non era quello il suo punto di forza.
In ogni caso in quel periodo non cera molto spazio per la dialettica o le sfumature: lunica regola era che alla fine dellanno il titolo andava a tutte quelle squadre che recavano la scritta Boston sulle uniformi. Per tutti gli altri, pregasi riprovare
[b]L’era moderna[/b]
Più di recente, quando già si può parlare di qualcosa di vissuto in prima persona, la guerra fra attacco e difesa è stata riproposta da due grandi stelle e due grandi squadre: per tutti gli anni 80 Bird e Magic si sono sfidati con le rispettive franchigie, obbligandoci tutti a scegliere uno dei due.
Il nero di Hollywood, con un sorriso irresistibile, lo sguardo complice, sempre elegante e con movimenti da prestigiatore, oppure lirlandese coi baffi, quasi paffuto, sempre arruffato e con camicie da boscaiolo, che non salta e non corre ma ha dei fondamentali da favola.
Non era solo uno scontro tra personaggi, tra stelle, ma anche tra due filosofie di gioco:
per i Lakers si trattava di segnare sempre un punto in più degli avversari, con un gioco in velocità, con tanto contropiede, con tiri presi nei primi 10 secondi dellazione, con una fenomenale circolazione di palla (certo, se hai un play sopra i due metri che si chiama Magic, questaspetto del gioco tende a venire più naturale), con una serie di realizzatori di primo livello.
Boston invece aveva atleti più modesti, un approccio da modesti operai (anche se poteva vantare talenti eccezionali come McHale, The Chief, o lo stesso Bird), che ne facevano sempre una questione di intensità, nella convinzione che, se anche non fossero riusciti a mettere a tabellone tanti punti, sarebbe comunque riusciti a farne segnare agli avversari uno di meno.
Gli anelli assegnati in quegli anni sembrerebbero indicare che sia una strada che laltra possono portare alla vittoria finale. Facendone solo un fatto di numeri, si può addirittura sostenere che ai Lakers (e quindi alla teoria offensivista) sia andata complessivamente meglio.
Vorrei però mettere alcuni asterischi sotto i risultati ottenuti da LA.
Il primo GROSSO asterisco giocava con il 32 in gialloviola: passano gli anni, ma il playmaker di Michigan State si ostina orgogliosamente e beffardamente a restare unico e inimitabile, per certi versi ancora più di Bird (cosa non facile da ammettere per un Birdista convinto). Un play con quel corpo, quelle mani e quella testa probabilmente non lo vedremo mai più.
Laltra cosa è il periodo storico, specie in confronto allattuale.
Allepoca nellNBA militavano molte meno squadre (se non sbaglio 22), e questo impattava in due modi: essendoci bisogno complessivamente di meno giocatori, cera più selezione, e in generale meno fretta: non era necessario portarsi in casa un liceale, o un europeo semisconosciuto, solo per poterlo avere subito, anche se magari evidentemente non pronto. Questo comportava che nelle squadre di allora i giocatori avevano avuto più tempo per lavorare sui fondamentali prima di arrivare tra i pro, e quindi il tasso tecnico era più elevato (se devi segnare tanto, avere in squadra giocatori tutti capaci di segnare e di farlo in tanti modi diversi può essere interessante).
Laltro aspetto è che il talento disponibile era diviso tra meno squadre: oggi una squadra con due stelle può considerarsi molto fortunata; negli anni 80 i Lakers potevano schierare Magic, Jabar, Worthy, Scott, Green, McAdoo, etc.
Oggi quindi è praticamente impossibile mettere insieme una squadra con così tanto talento.
[b]Oggi[/b]
Dagli anni 80 in poi, tutte le squadre campione avevano una spiccata identità difensiva: i Pistons (sia nella versione Bad Boys, che Larry Boys) e gli Spurs erano squadre che hanno costruito i loro successi soprattutto in difesa, mentre le altre, Chicago 1 e 2 (ma sempre Michael Boys), Houston (soprattutto il primo anno), i Lakers e Miami, erano tutte squadre con attacchi tuttaltro che scintillanti, capaci di svolgere alla meglio il compito offensivo grazie alle loro 2 stelle, con gli altri 10 del roster impegnati a ridurre i danni in difesa.
Facciamo lesempio più eclatante, che si può poi con semplici analogie applicare anche agli altri: pensando ai Bulls di MJ, pensiamo immediatamente alle migliaia di highlights di canestri mozzafiato di Jordan, ma i Tori erano essenzialmente una squadra difensiva.
Chicago era strutturata in modo da poter vincere sempre una partita agli 80/90 punti (se necessario anche con 50 punti del 23), ma del tutto inadeguata per vincere una gara ai 120. In pratica la squadra lottava compatta per 3 quarti per tenere basso il punteggio, per poi permettere nel finale a MJ di mettere gli ultimi canestri della partita per vincere. Si trattava di arrivare a contatto a 5 minuti dalla fine, e poi gestire al meglio (grazie alla maggior esperienza, alla maggior fiducia nei propri mezzi, e ovviamente al fatto di avere a roster His Airness) gli ultimi 10 possessi della partita.
Non ci sarebbero stati abbastanza tiri, ma nemmeno abbastanza realizzatori, per farne 120 (ma anche solo 100) ogni sera.
[b]La Regola[/b]
Gli ultimi 15 campionati sembrano quindi indicare (in maniera più o meno lampante, a seconda dellanno) che è la difesa che vince la partita: con il punteggio basso, un po di specialisti che mettono qualche punto sugli scarichi, due stelle che ti danno il grosso dei (pochi) punti, e in generale dei veterani in grado di giocare desperienza i finali tirati, si vincono i titoli.
In questi anni abbiamo assistito alla nascita e al crollo di tanti ambasciatori dellattacco, più o meno fortunati nella rincorsa allanello, che però non sono mai riusciti a fare lultimo passo. Qualche esempio?
I Warriors di Don Nelson (non gli attuali, che pur essendo decisamente offensivisti, sono di caratura complessiva piuttosto bassa), quelli del Run TMC. Già a fine anni 80 Nellie aveva gettato le basi per la small ball, ovvero un gioco basato sul corri e tira, con una squadra piccola e orientata allattacco, basata principalmente sui tre esterni Tim Hardway, Mitch Ritchmond e Chris Mullin (TMC le iniziali dei 3 nomi, appunto): inafferrabili in stagione, stupendi da vedere, mai passato un turno di play offs. Bene.
I Suns di Barkley: anche qui small ball, con un 4 (Barkley appunto) che era tale più per il peso, che non per le capacità offensive (di fatto un 3 ben carrozzato), più Kevin Johnson, e lapriscatole Majerle. Meglio dei Warriors, finale contro i Bulls nel 93, poi il solito MJ che manda tutti a casa.
I Kings dal 2000 al 2004. Forse i più forti di tutti. A parte Christie, che in difesa ci dava dentro di brutto, e il solito Divac, con la borsa dei trucchi e i flops da oscar, tutti gli altri osservavano (per altro con interesse molto limitato) lo sviluppo delle azioni offensive degli avversari. Certo, quando si andava dallaltra parte erano a mio parere la squadra più forte degli ultimi 20 anni, ma anche qui titoli pochi
Poi il caso più clamoroso: negli stassi anni, Dallas. Con in squadra il tedesco, il canadese e Finley quando ancora era un all star. Ogni anno proclamati con maggioranza bulgara il miglior attaco della lega, uno spettacolo per gli occhi, ambizioni tuttaltro che celate di anello.
Risultato: i Mavs sono andati in finale.
Già. Ma non erano QUEI Mavs. Avevano due stelle in meno (e un Josh Howard in più, a onor del vero), ma soprattutto una diversa propensione difensiva: lattacco era sempre fra i migliori della lega, anche se non più il migliore (senzaltro dietro a Phoenix e Detroit), ma Lle General Johnson aveva compiuto il miracolo, con alcune modifiche del roster, ma soprattutto dando agli Stalloni delle regole difensive e, ancor più importante, una mentalità difensiva. Lanello non è arrivato, complice anche una recita da Oscar dellalieno di Marquette, ma questanno i Mavs ci riprovano, da favoriti, e quello che li rende (per quel che si è visto fin qui) ancora più forti dellanno passato è, oltre allesperienza, lessere saliti ancora di livello in fase difensiva, divenendo oggi una delle prime tre difese della lega.
I fatti sembrano quindi testimoniare che senza una difesa almeno a livello delle prime 6-7 della lega non si vince, anche se si ha un attacco 5 stelle lusso.
Eppure nellNBA il Phoenix Style crea sempre più consensi, e tante squadre si stanno convertendo al corri e tira.
Per citare le più eclatanti: Toronto, Seattle, Golden State, Menphis, Atlanta, lanno scorso Minnesota, per certi versi Sacramento.
Gli ingredienti sono più o meno gli stessi: quintetti piccoli, ricerca ossessiva del contropiede, ampio ricorso al tiro da fuori (anche da parte dei finti lunghi, come ad esempio Bargnani, o Lewis, Marion, etc), tiri nei primi secondi dellazione, grande enfasi sullattacco e diciamo poca sulla difesa.
I risultati: ottimi per Phoenix, buoni per Toronto, pessimi per gli altri.
Oddio, pessimi, bisogna sempre vedere qual è lo scopo.
Prendiamo ad esempio i Grizzlies: hanno giocato per 3 anni un basket inguardabile agli ordini di Brown e Fratello. Difesa, difesa e difesa, con regole precise e ossessionanti, partite noiose e bassi punteggi. Il risultato sono state tre partecipazione consecutive ai playoffs di una squadra che onestamente non apparteneva alla postseason, almeno per quanto riguarda il talento complessivo a disposizione.
Questanno lassenza di Gasol per infortunio a inizio stagione ha fatto saltare la panchina di Fratello: la spia della mancanza di talento era sul rosso cronico, e il gioco fisico e noioso dei Grizzlies, tollerato a fatica quando si vinceva, è diventato insopportabile di fronte a una fila di sconfitte.
Cacciato Fratello, dentro Barone, via con lattacco a briglie sciolte: Menphis corre, segna, consacra come sommo realizzatore Mike Miller, e i giocatori non fanno che celebrare la deposizione del tiranno, e la ritrovata possibilità di esprimersi.
Che bello.
Peccato solo che tutta questa ventata di libertà, non ostante il rientro dello spagnolo, non abbia prodotto nessun miglioramento del record, che continua ad inchiodare i Grizzlies al fondo della Western.
Morale: se sei disperato e non hai nessun traguardo di rilievo, la politica offensivista paga, perché ti permette di rendere le partite godibili per il pubblico, cosa tuttaltro che secondaria in una lega come lNBA.
Però bisogna essere chiari e avere il coraggio di ammettere la situazione. Dire che il semplice fatto di correre rende migliori le squadre dal punto di vista delle vittorie in campo, mi sembra un po azzardato.
Eppure gli emuli dei Suns aumentano ogni anno, e lo stesso Peterson ci dice una sera si e una no che le squadre farebbero meglio a giocare come Phoenix. Tutte.
Laltra sera ho sentito che Houston trarrebbe un grande vantaggio dal correre di più.
HOUSTON! Vediamo un attimo il quintetto;
Yao: non può correre per problemi di coordinazione legati allaltezza.
Howard: non può correre per raggiunti limiti di età.
TMC: non può correre (almeno non ad ogni azione) per i noti problemi alla schiena (oltre che per latteggiamento sonnacchioso, che gli è valso il meritato soprannome di Big Sleep.
Battier: potrebbe anche correre, ma non è certo un atleta prodigioso, e comunque questo non è uno dei punti di forza del suo gioco.
Alston: volete veramente far prendere con continuità delle decisioni in contropiede a un playmaker da playground?
Tutto questo senza contare che buona parte dellefficacia difensiva dei Rockets (quello sì un loro punto di forza) deriva dal rallentare il gioco e ridurre (scientemente) il numero di possessi complessivi della partita.
Gli altri spesso invitati a correre sono i Cavs. Bene. Vorrei solo sapere, in una partita ai 120 punti, chi sono gli altri realizzatori oltre a Lebron per mettere a tabellone quei punti.
Ci dobbiamo preparare per il grande ritorno di Damon Jones?…
[b]Leccezione?[/b]
Ogni regola ha la sua eccezione.
Non so se sia vero, ma se lo è, leccezione sono sicuramente i Suns.
Questo perché, come ho già avuto modo di dire, i Suns sono qualcosa di diverso. Individuare la chiave del loro successo nel tirare tanto e in fretta sarebbe riduttivo.
Il gioco dei Suns non è qualcosa di furioso e istintivo. Al contrario, ogni fase del loro gioco (compresa quella difensiva) è scientificamente studiata per aumentare il ritmo del gioco. Non è vero che loro non difendono mai. Loro non difendono per niente su quei tipi di tiro che vogliono che tu prenda, mentre sono almeno accettabili a difendere nelle altre situazioni.
Hanno creato qualcosa di nuovo di diverso, di inimitabile. Così inimitabile che non riescono a imitarlonemmeno loro!
Negli ultimi tre anni le (fortunatamente) poche partite senza Nash hanno dimostrato come questo stile di gioco sia impraticabile senza il canadese.
La fluidità dellattacco nasce dalle rotazioni difensive che si verificano per arginare il terribile pick&roll di Nash con Stoudamire o Diaw: unesecuzione perfetta, che richiama alla mente i bei tempi di Stockton e Malone, gli escutori del P&R per eccellenza. Se non cè questo gioco ad innestare lattacco, allora ti rendi conto di come i Suns siano una squadra di ottimi tiratori sugli scarichi, ma con nessuno che possa battere luomo dal palleggio. Anche i movimenti senza palla non sono granchè (provate a pensare a cosa fa Rip Hamilton senza palla, e ditemi se cè un solo giocatore dei Suns che potete accostargli). E la tanto celebrata propensione a correre e ad andare in contropiede, ti accorgi che comunque è applicabile solo in un numero limitato di possessi a partita. Poi devi sfangarla in qualche modo anche in tutti gli altri (15 punti a partita in meno senza il canadese)
I Suns quindi sono speciali, e nel panorama moderno dellNBA sono gli unici a poter pensare di vincere un titolo con la forza dellattacco.
Ce la faranno?
Secondo me no, comunque, e vi spiego perché con la mia personale (e discutibilissima!):
[b]Pillola di saggezza[/b]
Perché la difesa fa vincere di più dellattacco?
Al di là di tutto il resto, il motivo secondo me è questo.
Cè sempre un momento (di un quarto, di una partita, di una serie) in cui sei costretto a vincere per andare avanti. Devi vincere per forza in quel preciso momento, indipendentemente da tutte le condizioni al contorno: indipendentemente da quanto sono forti gli avversari, dallessere in casa o in trasferta, dagli infortuni, dalla fortuna, dallarbitraggio.
Ogni squadra che vuole vincere lanello sa che ci sarà prima poi un momento in cui dovrà salire di colpi e prevalere sullavversario non ostante TUTTO.
Una squadra la cui forza risiede soprattutto nellattacco, può A COMANDO attaccare meglio? Può impegnarsi di più e quindi segnare di più?
I soliti più attenti avranno già capito che la mia risposta è no. E il motivo sono le serate di tiro. Un attacco che voglia essere inarrestabile deve per forza essere bilanciato. Distribuito fra tiri da sotto (movimenti in post o penetrazioni) e tiri da fuori. Questo perché lattacco deve mettere la difesa in condizione di dover fare una scelta, di concedere qualcosa, e approfittarne: una squadra che vada sempre dentro, o che tiri sempre da fuori è arginabile. Peccato però che sul tiro da fuori non si possa sempre contare. Chiunque abbia giocato o seguito del basket, sa che a volte, anche per i migliori tiratori, ci sono semplicemente quelle serate.
Quelle in cui la palla non entra, non cè un motivo, era sempre entrata, eppure sbagli il primo tiro, il secondo, il terzo poi cominci a innervosirti, e ogni tiro successivo è peggio, e tu ti ostini
Sto dicendo stupidaggini? Provate a chiedere a New york, quando in gara sette delle finali del 94 John Starks, la seconda (spesso prima) opzione dellattacco ha fatto 2 su 19. Stiamo parlando di un giocatore che in un annata di grazia (ha anche partecipato allASG) ha portato sulle spalle i suoi fino a gara 6. Poi quel 2/19. Ha sbagliato a continuare a tirare? No, onestamente non aveva altri modi di far male alle difese, essendo fondamentalmente un tiratore. Ha sbagliato Riley a non sostituirlo? E per cambiarlo con chi, Greg Anthony?
La verità è che quel tiro da fuori che gli aveva permesso di arrivare fin lì semplicemente quella sera non cè stato. Peccato che fosse lunica sera che contasse veramente.
Con la difesa è diverso. Posso decidere che da quel preciso momento mi impegno di più, corro di più, in generale ci metto più intensità.
Per dire una cosa da ingegnere (attenzione ai paroloni), in difesa lefficacia cresce linearmente con limpegno (ovvero, banalmente, più mi impegno, più ottengo risultati), mentre in attacco il legame non è così diretto (posso anche impegnarmi molto di più, e non avere grossi riscontri perché sono in una pessima serata nel tiro da fuori).
Questa credo che alla fine sia la grossa differenza: quando cè da fare la differenza, in difesa ho tutte le leve per provare a cambiare il risultato. In attacco posso controllarlo spesso, ma non sempre, e magari devo guardare impotente proprio in gara 7 delle finali
Vae Victis
PS (del tifoso): Do you feel some Heat?