Metà stagione se n’è andata, tempo di bilanci, visto che non sono ancora fuori tempo massimo mi lancio (col consueto ordine sparso) con i miei.
[b]Troppe partite e troppi infortuni?[/b]
Probabilmente il tema più significativo di quest’inizio di stagione è stata l’assenza più o meno prolungata di molte stelle: per fare qualche nome, parliamo di Shaq, Pierce, Yao, TMC, Paul, Allen, Gasol, Stojakovic, Richardson, Odom, Redd, Kirilenko, Bosh. Insomma, ce n’era abbastanza per un discreto ASG.
Per uno sport che vede nell’Entertainment forse la sua anima più importante, la mancanza delle stelle è peggio di un mondiale di sci senza neve (dev’essere un’annataccia…).
Ecco allora rifarsi vive le puntuali lamentele sul numero esorbitante di partite (82) che vengono giocate in poco più di 5 mesi, causando affaticamento, infortuni, e in generale un abbassamento del livello di gioco, con squadre che palesemente non difendono per almeno 3 quarti di partita.
Trovo sinceramente la discussione un po’ sterile, per diversi motivi: il primo è che le probabilità che Stern cambi qualcosa di così consolidato nella tradizione della lega è pari a quella che gli Hawks vincano l’anello (per altro l’ultima volta che Stern a provato a modificare una tradizione – parlo della nuova palla – non siamo andati benissimo…).
Il secondo motivo è che probabilmente questa fila di infortuni è probabilmente da ascrivere principalmente al grande fattore S: la sfiga.
Sono decenni che l’NBA gioca 82 gare, e in questi anni la situazione è solo migliorata, grazie ad atleti sempre più simili ad androidi (grazie a personale medico e massaggiatori dedicati, oltre ad ogni sorta di sostanza lecita o meno che la ricerca scentifica ha messo a disposizione in questi anni), e ad uno stile di gioco che sta diventando sempre meno fisico (i lunghi giocano sempre più lontano da canestro, si difende a zona, c’è meno contatto). Questo vuol dire che se quest’anno c’è stata un’ecatombe, molto più ad esempio dello scorso anno, è da ricondurre principalmente al grande fattore S, che Murphy ha analizzato così bene con le sue leggi…
Per quanto riguarda invece il livello di gioco, c’è poco da eccepire sulle osservazioni: il problema è noto, e anche ai piani alti dell’Olympic Tower sono piuttosto preoccupati.
Non è detto però che un ridotto numero di partite faccia necessariamente fare la svolta nell’approccio mentale alle partite, con l’aggravante che potrebbero arrivare ai playoffs anche squadre meno forti (è lo stesso motivo per cui una serie a 7 è più probante di una a 3).
Bisogna però tener conto di un aspetto culturale: se nei playoffs (giustamente) conta al 90% vincere, e al 10% fare spettacolo, in regular season il rapporto è probabilmente 60-40. La bella giocata che va nell’Highlight, anche se poi magari perdi la partita, ha un suo valore. In una lega che fa di tutto per valorizzare il bel gesto atletico o tecnico, delle partite con un approccio difensivo più “blando” non sono necessariamente un problema. Basta solo pensare alla Top Ten di NBA Action: ci piace, la guardiamo, la ammiriamo, anche se normalmente non sappiamo se quella partita sia stata vinta o no: è bella e basta.
Sul discorso dovrò tornare più nel dettaglio un’altra volta.
Per oggi vorrei però sottolineare un altro aspetto: se non possiamo ridurre il numero delle partite, possiamo però evitare di vedere quelle brutte.
In America questo non è possibile, le partite si guardano in diretta, e comunque il calendario delle partite che andranno in TV è fissato a inizio anno, anche per il complesso meccanismo dei diritti che poi vanno alle TV locali e quindi cambiare programmazione potrebbe voler dire infrangere accordi di esclusiva.
In Italia però il discorso è diverso: le partite le vediamo spesso in differita, e a trasmetterle sono solo due soggetti. Non avrebbe senso allora che la NBA facesse un accordo con Sky e SI per avere per ogni appuntamento l’opzione su 3 partite, andando poi a trasmettere effettivamente solo la più bella?
Che senso ha vedere un Phila-Cleveland con James fuori per infortunio e dopo le trade di AI e CWebb?
[b]Go West[/b]
Come recitava la nota canzone. Anche perchè a oriente del Missisipi c’è ben poco da vedere quest’anno.
Vediamo cosa fanno le “corazzate” dell’est:
[b]Detroit:[/b] tra i giocatori nessuno può più vedere Saunders (con picchi da allertare le forze dell’ordine per quanto riguarda Penna Bianca), in generale nessuno vuole più vedere Flip “cappellaio matto” Murray, McDyess e Mohammed stanno pubblicamente chiedendo la cessione, mentre il nuovo arrivato, Webber, ce la sta mettendo tutta, ma centra con questi Pistons come il classico gelataio al polo.
Si aggiunga che Billups ha avuto problemi di infortuni e Wallace sta tornando ai bei vecchi tempi del tecnico sistematico e delle partite con poca voglia, per avere il quadro di una squadra che si trova ad un brutto playoff dalla ricostruzione.
[b]Cleveland:[/b] altalenanti sono sempre stati, ma quest’anno siamo più nel campo della schizofrenia. Se James è stato rallentato soprattutto da guai fisici, i suoi compagni sembrano completamente allo sbando. Il peggiore senz’altro Hughes, capace di farci reinnamorare per l’ennesima volta di lui a inizio stagione, per poi farci chiedere ora per quale motivo vada in campo, visto che tanto poi non se ne accorge nessuno. A est c’è posto per tutti, ma questi sono tutt’altro che forti…
[b]Chicago:[/b] questi probabilmente sono i più forti ad est, hanno la miglior difesa, sono i meglio allenati, sono capaci di mettere in difficoltà chiunque (hanno qualche giorno fa interrotto la striscia di Dallas, anche se per farlo hanno avuto bisogno dell’aiuto della peggior serata al tiro in stagione degli “stalloni”). Sono però un Jumpshooting team, e quindi sono condannati ad un rendimento altalenante legato alle serate di tiro da fuori: irresistibili se Gordon e Hinrich hanno la mano calda, del tutto abbordabili quando tirano male. Non ho dimenticato le straordinarie stagioni di Deng e Nocioni: le due ali sono estremamente consistenti (anche perchè sono gli unici due che possono metterla per terra e andare dentro), ma alla fine il loro rendimento non è sufficiente: non avendo assolutamente nulla da sotto (e del resto Big Ben e PJ non sono esattamente Chamberlain e Malone…) ci vuole anche l’apporto degli ondivaghi esterni per vincere le partite.
[b]Miami:[/b] al momento vanno in lotteria. Alla fine non ci andranno, grazie all’autoesclusione per infortuni di Milwuakee, al calo (soprattutto mentale) dei Magic, alle insistenti voci di trades che incombono sulla stagione dei Nets, e in generale al fatto che con il loro record (sotto al 50% di 6 partite) hanno un ritardo di sole 7,5 gare rispetto alla testa della conference, mentre con analogo record a ovest si è a -16,5.
A Miami provano a giocarsi la carta degli infortuni: a parte diversi infortuni minori, la seconda opzione della squadra (O’neal, per chi fosse stato su Marte gli ultimi due anni) ha saltato 35 partite. Peccato che in situazione analoga i Lakers (che hanno dovuto quasi sempre fare a meno di Odom), pur giocando in una conference ben più competitiva hanno un record di 27-17.
E’ evidente che la differenza la fa la voglia, e fin qui in Florida se n’è vista ben poca.
Ometto di parlare dei Magic, che stanno facendo di tutto per distruggere quel po’ di credibilità che si erano costruiti a inizio anno, dei Pacers, che devono ancora assimilare la trade e già ne progettano un’altra (pare Magette per Dunleavy), e dei Wizards, che pur essendo al momento in testa alla eastern confernce (ooooooh: pausa di ammirazione…) non ritengo credibili ad alti livelli. O meglio, Arenas senz’altro lo è, ma sia Jamison che Butler, autori entrambi di un ottima prima parte di stagione, devono ancora provare di essere giocatori da playoffs (anche perchè nelle poche occasioni avute fin qui non è che abbiano mai sfavillato).
Bene, queste erano le squadre forti.
Oddio, diciamo le più forti della conference.
Poi arriva un elenco di nomi da non dormirci la notte.
Specie se sei il loro GM.
Perchè ad est le cose le fanno bene, e se devi essere scarso, devi esserlo fino in fondo.
Le motivazioni vanno dagli infortuni (Milwuakee, Charlotte e Boston), all’essere una franchigia d’espansione (Charlotte), alla totale incapacità del tuo GM (va be’, diciamo totale incapacità per NY e parziale per Boston), al fatto di essere in momento di ricostruzione (Boston, Phila, Atlanta, New York).
Non c’è niente di male a ricostruire, a volte ci vuole coraggio, prendere decisioni impopolari, soffrire. Ma questo va bene e ha un senso nella prospettiva di migliorare: LA ci ha messo 10 anni, ma è tornata in finale dopo l’era Magic, e ancora dopo due anni di tristezza da post kobeshaqjackson ora sta tornando forte. Chicago è ridiventata una contender oggi, dopo aver fatto ridere o piangere per quasi una decade.
Ci sono però squadre che hanno fatto dell’essere in ricostruzione uno stato mentale. Pensate agli Hawks, che non hanno mai vinto niente, e che non sono almeno “accettabili” dai tempi di Dominique Wilkins. O a Boston che sono vent’anni che ricostruisce, a Phila, che dopo l’acuto del 2001 con Iverson è tornata nel torpore del dopo Doctor J (parliamo di uno che ha giocato nell’ABA!!!). Pensate a NY, e al fegato malandato del commissioner: l’ultima squadra con un senso è stata quella della finale con i Rockets (’94!), perchè la squadra del ’99, che pure tutti noi abbiamo amato per il cuore che aveva, è arrivata in finale chiaramente per sbaglio.
E’ chiaro che costruire una squadra non è una scienza esatta, e che durante il processo sia possibile (probabile?) fare errori di valutazione su giocatori e allenatori. Ma ci deve essere dietro un disegno coerente, non si può cambiare strada ogni 2 anni.
Pensiamo ad esempio a Boston: in questi anni hanno mandato via, tra gli altri: Billups, Joe Johnson, Ricky Davis, Antoine Walker e Raef La Frentz; un discreto quintetto, con in panca per sovramercato Payton, Delk, Wesley e Battie. Alcuni di questi giocatori sono arrivati l’uno per l’altro, quindi non avrebbero mai potuto giocare insieme, ma alcuni sono stati sfrattati solo per impazienza: Billups e Johnson sono stati mandati via in cambio di niente, Walker (che è quello che è, ma comuque il gioco lo conosce) cacciato addirittura due volte. Col quintetto di cui sopra (più Pierce) non dico che si vince un titolo, però si combatte almeno per la finale ad est. E invece con i giovani Work in Progress attuali non si và neanche ai playoffs (non ostante per vincere l’atlantic non ci voglia necessariamente Micheal Jordan…).
Analogo giochino si può fare per i Sixers: negli anni se ne sono andati (oltre ovviamente a Iverson!) Hughes, Tim Thomas, Glenn Robinson, Chris Webber, Van Horn: squadra comunque interessante…
Parlare di New York serve il giusto, visto che dalle porte girevoli del Garden negli ultimi 7-8 anni sono passati metà dei giocatori NBA (con una certa predilezione per lunghi incapaci con contratti faraonici e esterni con seri problemi caratteriali), con gli unici due risultati tangibili di peggiorare il record e aumentare il salary cap.
Aspettate, non me lo dite: sono andato lungo anche stavolta…
E ancora non ho parlato delle squadre dell’ovest e dei singoli protagonisti della stagione.
Bene, prometto formalmente a stretto giro di boa di ritornare sul luogo del misfatto per completare l’analisi della prima parte di stagione, mentre ci prepariamo per l’all star game in cui Gilberto parte titolare, e in cui mi permetto già da ora di pronosticarlo per MVP.
Vae Victis