Ebbene sì, parliamo di All Star weekend.
Lo so, sono un po’ in ritardo e ne avrete già letto in tutte le salse per tutta la settimana; ma del resto NMTPG esce il venerdì, e fare un pezzo sull’ASG venerdì scorso poteva essere problematico…
Oddio, a pensarci bene non è così vero. In fondo negli anni l’ASG è diventato sempre più una cerimonia che si perpetua sempre uguale nel tempo, con una quantità inquietante di somiglianze con il Festival di SanRemo.
Il festival del Basket
Come per l’odiato (da me, almeno) Festival della canzone, il tema dell’evento è abbastanza marginale o comunque secondario rispetto all’evento stesso: SanRemo non ha niente a che fare con le canzoni (e sfido chiunque a ricordarsi almeno 3 nomi e soprattutto 3 canzoni dei vincitori degli ultimi 10 anni); e in modo analogo la pallacanestro è importante, ma ormai ridotta a coprotagonista nell’all star weekend.
E’ importante chi canta l’inno, chi canta nell’intervallo, lo show di presentazione dei giocatori, le feste a latere organizzate dai giocatori, le celebrità in tribuna, le voci sul mercato, la sfilata delle postazioni dei giornalisti internazionali, i twits, per non parlare di tutta quella serie di giochi e giochini di relativa attinenza col basket delle stelle, che vengono celebrati venerdì e sabato.
Anche per i giocatori è ormai più importante esserci, che quello che fanno in campo una volta lì. Per le Star affermate è importante continuare a essere convocati per testimoniare il loro status, per tutti gli altri è il punto di arrivo massimo per avere un po’ di visibilità; poco importa se poi magari giochi 5 minuti, non tocchi una palla e rischi il trilione: quello che resta nel retrocranio di tutti è che sei un All Star.
Poi ci sono quelli, alla Duncan, o alla Popovich, che sono prigionieri dell’ASG, ovvero vorrebbero essere in tutt’altro posto, schifano questa competizione finta, ininfluente, in cui non si difende, si gioca come decerebrati cercando solo lo spettacolo, si fatica e si rischia pure di infortunarsi. Però non possono evitarselo, e quindi li vedi lì, con la faccia che hai tu quando ti ricordi l’ultimo giorno di pagare il canone rai (bell’invenzione, tra l’altro!), e arrivi in posta e scopri che è il giorno in cui i pensionati ritirano le pensioni…
Come dicevo, all’ASG è importante chi c’è, e quest’anno devo dire che credo nessuno si possa lamentare: complici anche alcuni infortuni che hanno fatto spazio ad altri giocatori, i 24 convocati erano quelli da convocare. Si può discutere dell’esclusione di Marc Gasol o del Gallo, ma si tratta più di sfumature e gusti personali, che di palesi ingiustizie.
E non dimentichiamo un’altra fondamentale somiglianza col festival, che si sta affermando ultimamente: tutti lo guardano, ma fa figo dire che lo snobbi perchè troppo “nazional-popolare”. I palati fini tendono a dire che il livello è troppo basso, che lo spettacolo non è divertente, che quella sera “c’avevo Judo” (per citare Elio e restare in tema Festival), o dovevano finire quell’interessantissimo saggio sull’”epistemologia e l’avanzamento discontinuo delle teorie scientifiche”. Poi tanto ci si trova tutti lì. Personalmente devo confessare di non aver visto quasi niente di dei primi due giorni dell’evento, ma per una curiosa scelta “editoriale” di Sky: ero via, e ho registrato le repliche del giorno dopo degli eventi, e quando poi le ho guardate ho notato con piacere che mancavano i primi 10 minuti del rookie game (o come diavolo si chiama adesso), tutto lo skill challange (!?), buona parte della gara di tiro a squadre, tutto il primo round della gara del tiro da 3, e anche lo slam dunk contest aveva subito corposi tagli. Probabilmente bisognava lasciare spazio nella programmazione diurna alle eliminatorie del fondamentale torneo di calcetto a 5 organizzato dal sindacato ferrovieri in pensione. Per noi amanti del basket resta lo spazio fra le 3 e le 5 di notte, quello in cui l’utenza media sugli altri canali può segliere tra il porno, le aste d’arte e le lezioni di matematica avanzata. Per dire.
Chi sostenesse che non mi sono perso molto ha indubbiamente ragione (vedi sotto), ma mi piacerebbe poterlo scegliere io cosa guardare e quando mandare avanti veloce…
Dimmi come mai …
…ci si ostina a fare l’AS Friday e Saturday? Entrati ormai da anni a far parte della liturgia dell’evento, dilatati temporalmente oltre i limiti del lecito, sono ormai un trascinarsi “come due vecchi comici, che non ridono più, che non inventano più, che sono lì a rassicurare il pubblico” (citazione questa volta da Jovanotti, ma del resto la febbre sanremese nazionale è ancora calda…). Per quanto riguarda il rookie game, credo che non ci siano più terapie da tentare, il paziente è in coma irreversibile, e il continuo cambio di modalità (team Chuk e Shaq, punti nella gara complessiva est-ovest, etc) si configura più che altro come accanimento terapeutico. I primo e secondo anno con talento sufficiente da giustificare l’interesse per questa partita sono normalmente ben meno di 20, e la crescente immaturità di questi ragazzi somma allo scarso talento degli interpreti anche l’incapacità di interpretare correttamente l’approccio mentale a questa gara. Trovo infine inspiegabile il fatto che Stern non abbia ancora istituito multe pesanti per evitare gli orribili 2 minuti finali di schiacciata libera. Diciamocelo: è stato bello in passato, ma oggi il rookie game lede l’immagine dell’NBA, quindi forse non è intelligentissimo metterlo ad apertura di un evento tipicamente marketing come l’AS weekend. O no?
Shooting Stars e Skills Challenge invece non hanno nemmero una motivazione storica o tradizionale da esibire: sono stati inventati dal nulla qualche hanno fa, hanno fatto schifo fin dal primo istante e, se possibile, sono perfino peggiorati per il fatto che i giocatori non li vogliono (giustamente!) fare, e quindi ti trovi tra i partecipanti delle mezze figure: togliamoli, e credo che nessuno piangerà.
Il tiro da 3 è l’unico momento salvabile, sia come tipo di evento, che come suspense, che come formato della competizione. Essendo poi una gara considerata “tecnica”, anche le stelle non considerano disdicevole parteciparvi almeno una volta in carriera, e quindi anche la frequentazione in media non è male. Certo, vedere Bonner in finale è qualcosa che fa male al basket tutto, ma l’upset può sempre capitare, e sparargli nelle gambe dagli spalti può essere considerato poco sportivo. Meno male che Kyrie (eleison) Irving ha messo tutto a posso regolando il rosso e evitando l’incidente diplomatico.
Infine il piatto più atteso dell’AS Saturday: la gara delle schiacciate. Detto e ridetto: ci sono precisi limiti fisici che impediscono di andare oltre un certo limite, quindi alzare il livello di spettacolo oltre l’attuale è impossibile, così come il far vedere qualcosa di nuovo. Per qualche anno si è ovviato a questo problema con la creatività: andiamo dal salto della macchina, allo spegnimento della candela sul ferro, ai 2 canestri affiancati, alla schiacciata al buio con palla fluorescente. Credo però che anche questa strada abbia esalato l’ultimo respiro con Jeremy Evans che schiaccia saltando un dipinto realizzato da lui stesso in cui c’è lui che esegue quella schiacciata. Oltre non mi spingerei, perchè rischiamo il ridicolo e lo stucchevole.
L’unica soluzione rimasta per infondere nuova vita a questa competizione è richiamare le stelle: si dice tutti gli anni, ma non si fa mai, essenzialmente perchè le stelle, considerando la schiacciata una prestazione di basso livello tecnico, non vogliono rovinarsi l’immagine. Chiariamo subito che dal punto di vista atletico e di creatività difficilmente le stelle potrebbero fare meglio: Jeremy Evans è atleticamente superiore a LeBron James (almeno ai fini della gara delle schiacciate), e ha senz’altro più tempo per esercitarsi e pensare a qualcosa di specifico per la gara. D’altro canto però una gara con LeBron, Kobe, Griffin, Durant, Westbrook e Rose avrebbe un appeal decisamente superiore. E questo perchè, come per i film, un volto noto per il pubblico vale più di una buona sceneggiatura. E’ lo stesso principio delle partite di calcio della nazionale cantanti: non le guardi perchè si vede del bel calcio, ma perchè ti danno l’occasione di vedere volti noti in un contesto diverso dal solito. Di conseguenza, per lo slam dunk contest, il mio suggerimento è “stelle o morte!”.
Evergreen
“Per fortuna il momento buono arriva sempre”, come diceva la pubblicità della nutella nel giurassico.
Mentre le altre competizioni invecchiano e diventano la caricatura di se stesse, l’ASG non viene intaccato dal passare del tempo. Certo, ci sono annate migliori e annate peggiori, ma non si tocca mai il fondo, e c’è sempre di che divertirsi. Quest’anno il livello è stato medio, la partita è stata abbastanza combattuta, e l’intensità in campo buona. L’ovest ha vinto stanto in testa dall’inizio, ma il divario fra le 2 squadre è sempre stato contenuto. Come faceva giustamente notare Buffa, il più a suo agio di tutti in questo contesto è Chris Paul, che nei suoi Clippers è abituato a giocare un basket del tutto destrutturato e improvvisato tipo quello dell’ASG: per lui infatti un meritato premio di MVP, grazie a 20 punti, 15 assist e 4 rubate. Per il resto si segnalano i 30 punti di Durant (scoring leader), che non riesce a non mettere punti a referto nemmeno quando dorme, Anthony, migliore ad Est per punti e rimbalzi (26 e 12) e un ecumenico Bryant, che ormai è sempre più convinto di essere la reincarnazione di Magic, e compensa i soli 9 punti con gli 8 assist. Ma probabilmente il pensiero che lo farà addormentare col sorriso nelle prossime notti è il ricordo delle due stoppate rifilate James nel finale della gara: quella sorta di treno in corsa sarà anche il futuro della lega, ma nel presente Kobe vuole dimostrare di esserci ancora. A dispetto di una stagione gialloviola imbarazzante (prima volta in 15 apparizioni all’ASG che ci arriva con un record di squadra negativo).
Menzione d’onore
Per l’angolo comico vorrei sottolineare le impareggiabili prestazioni dei vestiti dei giocatori NBA a questa kermesse: soprattutto nel venerdì e sabato il gessato d’ordinanza (nel vero senso della parola, nel senso che Stern ha regolamentato anni fa come i giocatori devono vestirsi durante le manifastazioni ufficiali NBA) viene accontonato, e si scatena la gara al vestito più appariscente. Diciamo che il buon gusto non regna proprio sovrano, fra un Wade che sotto la giacca ha una maglia leopardata, a Westbrook, giacca e cravatta e sotto pantalone mimetico e scarpa gialla, a Melo, con la sua maglietta a righe da gondoliere veneziano. Ma l’MVP va anche qui a Chris Paul, che probabilmente si è sentito responsabilizzato dal suo ruolo di capitano dell’ovest e ha voluto dare quel qualcosa in più: un completo abbinato (giacca e maglietta) nero, caratterizzato dalla parte superiore in pelle e il sotto in cotone, o forse alcantara: praticamente sembrava un sedile di un auto sportiva. Vai Chris, che sei solo!
Vae Victis