Fine anno peggiore, per i Brooklyn Nets, non avrebbe potuto esserci. Non tanto in termini di risultati ottenuti sul campo (benché alcune sconfitte siano come ferite sotto sale), quanto per via dei dubbi che si insinuano strisciando sotto pelle, minando la fiducia nell’anno che verrà.
Vero, una notizia positiva, rovistando nell’archivio sanitario, c’è: il rientro di Levert sembra essere alle porte e dio solo sa quanto sia importante una simile alternativa in termini di ritmo, cambio di passo, idee, profondità, attacco e difesa. Ma la montagna sacra delle aspettative, vegliando al freddo fuori dalla porta dell’infermeria, ha partorito un topolino e, in cambio, preteso altri sacrifici: persi per strada anche Nwaba, finora il più prezioso dei rincalzi (altro tendine d’Achille, altra stagione finita…), e Claxton (non sapremmo quantificare la sua rilevanza ma, in una pattuglia di reduci, ogni nuovo caduto è una disgrazia), i bianconeri sono ormai alla conta e costretti a raschiare il barile di Long Island per portare un numero appena legale di uomini in panchina (il dignitoso Luwawu-Cabarrot). Forse mai come in questo passaggio storico, i Nets hanno sentito freddo a causa della coperta troppo corta.
La cronaca sarà molto breve, perché bussa con urgenza l’analisi e ci preme darle la precedenza.
Mentre scriviamo, i Nets chiudono dicembre con un bilancio 6-7 nemmeno disprezzabile, se consideriamo il calendario di media difficoltà, il mini-tour ad Ovest e, soprattutto, le rotazioni ai minimi termini. Pesa inevitabilmente, sul giudizio complessivo, il trittico di sconfitte a fine anno, l’ultima a Minneapolis davvero bruciante ed evitabilissima, con i primi segni di cedimento anche psicologico da parte di una rotazione stremata…
Dicevamo di Nwaba: si è fatto male a San Antonio nel momento in cui le sue iniezioni di energia su ambo i lati del campo iniziavano a far parlare di sé (8,3 ppg tirando col 40,9% dall’arco!), suscitando clamore e rispedendo, con il ritorno di Chandler, il buon Shumpert nel limbo dei free agent. Tanto prezioso, cioè, il suo contributo uscendo dal pino, da cancellare un simile veterano e restituire a Marks piena fiducia nella sua idea estiva di second unit (Marks ama molto le sue idee ed è dura fargliele cambiare). Da allora, per rendere l’idea, 4 sconfitte, compresa la rimonta subita dagli Spurs, e l’evidenza di una panchina ridotta a osso da spolpare, nonostante la buona volontà di Pinson e soci, ad opera dell’avversario di turno. Il beniamino Claxton, altro folletto non disprezzabile per dar respiro ai soliti noti, ha alzato bandiera bianca a ruota, per cui cambiare ritmo e assicurare intensità nelle fasi interlocutorie della partita è divenuta chimera. Ci torneremo.
A dicembre i Nets hanno saputo tanto battere Nuggets e Sixers, quanto crollare miseramente sotto i colpi di Hornets, Knicks e T-Wolves, vittime delle alterne fasi di rendimento proprie e altrui, abili a restare a galla in relativa scioltezza ma incapaci di innestare le marce alte sia in prospettiva stagionale, sia nell’arco della singola partita, rafforzando l’intuizione che avevamo colto fin da metà novembre: privi dei 45 punti e dei 10 assist a partita garantiti da Irving e Levert, i Nets devono dimostrare di valere più della mediocrità ad ogni allacciata di scarpe e ogni vittoria, da lì in poi, sarebbe stata una conquista. Avere le rotazioni ulteriormente accorciate, nonostante il contributo tangibile (più difensivo che altro) del rientrante Chandler, stressa ulteriormente il concetto, nonché la pazienza e la reattività di Atkinson, chiamato agli straordinari. I Nets restano una squadra difficilmente decrittabile, capaci di clamorosi comeback (vedi il trionfo di Atlanta o il losing effort di Houston) come di tonfi fragorosi, ma con sempre meno frecce al proprio arco per invertire l’inerzia sfavorevole. Non aspettiamoci miracoli da un Levert che sappiamo aver bisogno di tempo per recuperare i propri standard di rendimento, ma è chiaro che il suo rientro ha la fragranza del pane appena sfornato per le narici affamate dei tifosi. Sarà il leit motiv del mese prossimo, scommettiamo?
Bollettino medico. Mentre scriviamo come detto, Levert è sufficientemente vicino all’ennesimo esordio da augurarci che, mentre leggerete, sia già accaduto. Presente migliore sotto l’albero ancora addobbato in salotto, non potrebbe esserci. Mistero sulle condizioni del rookie Claxton (ma pare sia prossimo al rientro anche lui), ben poco da dire, purtroppo su KD e su Nwaba, accomunati da un destino cinico e baro. Irving fa, ormai capitolo a sé: se i Nets fossero un romanzo (e #stillawake li ha sempre raccontati come fossero tali: la sceneggiatura non ha mai fatto difetto, del resto…), sarebbe il capitolo più corposo, conosciuto, discusso e controverso. Le due settimane di stop sono divenute 4, poi 5, infine incalcolabili, l’impingement di spalla una probabile borsite scapolo-toracica, i problemi fisici, secondo le solite malelingue, una foglia di fico per problemi caratteriali se non addirittura psichiatrici. Il nostro mensile può piacere o meno per contenuti e stile, ma il suo redattore vi si dedica sempre usando l’etica come faro e attingendo da fonti attendibili, reclamando, in cambio, solo un attestato di competenza e serietà: preferiamo, pertanto, glissare educatamente, laddove il bollettino medico inciampa pericolosamente sul crinale del pettegolezzo e della maldicenza. Nessuna squadra al mondo può rinunciare a Irving senza accusare il colpo, hai voglia a fare step-up: torna presto Kyrie!
Dinwiddie. Come il mese scorso, anche in questo numero non vorremmo dilungarci su un argomento caldo, ma che abbiamo già sviscerato: dopotutto, il Natale è alle spalle e con lui il tempo degli osannah… Però è troppo al centro dei riflettori e noi troppo sul pezzo, per lasciar correre. Dinwiddie è il supereroe di Brooklyn, e merita la convocazione per l’ASG. Punto e potremmo chiuderla qui. Il supereroe non è il leader assoluto, bensì colui che, quando tutto sembra precipitare, indossa maschera e costume e risolve la situazione. C’è qualcun altro, nella Lega, pronto quanto lui per recitare questo ruolo? In attesa di risposte, un supereroe lo vedreste, con vestagliona di flanella e peroni ghiacciata, a guardare la kermesse di febbraio dalla poltrona? Noi no e, se saprà mantenere il passo dicembrino ancora per un po’ (26+7), sarà difficile negargli la canotta dell’Est. Impossibile fermarsi al singolo fotogramma per spiegare quanto fondamentale sia stato Spencer dal 15 di novembre in poi. Occorrerebbe vedere ogni singola partita e possibilmente in diretta, perché (Celentano docet) è vero che l’emozione non ha voce, ma ha il suo volto e può solo essere vissuta nell’interezza del tempo reale. Per paradosso, forse, la migliore idea della sua centralità, negli ingranaggi dell’orologio bianconero, più che le fotografie, ce la possono trasmettere i negativi: l’orribile derby di Santo Stefano, in cui Miller ha disegnato una difesa tale da prosciugare il gioco dei Nets alla sorgente, impedendo il pick and roll, e il risultato è stata un’abulia offensiva che neppure nel dicembre 2015; e i numeri della sua prestazione peggiore: 17+11 a Houston… #voteforDin!
Il dicembre tecnico. Qual è l’identità di gioco di Atkinson? La point guard scambia e gioca a due con il centro in post alto, due giocatori schierati in angolo, Harris si muove verso la palla cercando l’uso dei blocchi per liberarsi e ricevere per il mortifero catch and shoot oppure mettere palla a terra e far ripartire l’azione. Tutti sono chiamati a far girare la palla, ad essere pronti per ricevere lo scarico e a fare, di volta in volta, la scelta migliore; però tutto, ma proprio tutto, nasce dai giochi a due: ad una analisi statistica delle scelte offensive dei Nets, questi figurano nelle primissime posizioni per uso del pick and roll per arrivare alla conclusione, sul podio per percentuale di tiri ad opera del palleggiante, addirittura primi per efficienza realizzativa quando a chiudere l’azione è il rollante. Gli altri sarebbero chiamati a mettere a frutto questa prerogativa punendo gli inevitabili movimenti in chiusura da parte delle difese.
Messa così, sembrerebbe facile contendere ai Mavs la palma di miglior attacco; le cose, invece, stanno andando un tantino diversamente: 27esimi per percentuali dal campo ed efficienza realizzativa, addirittura ultimi, nel mese in questione, per percentuali dai 7,25! Una inversione di tendenza che conosce molti padri, dagli infortuni (Irving su tutti, certo, ma anche Nwaba, l’unico ad avere oltre il 40% dall’arco a dicembre, insieme a Joe Harris) alla qualità dei lunghi avversari (non sono tutti Jokic negli scivolamenti!), agli adattamenti delle difese (Miller esemplare nel derby, sembrava il miglior Thibodeau!). Ci sta e fa parte del gioco: era evidente che il calendario dicembrino fosse più complicato di quello precedente e, in campo, scendono sempre anche gli avversari. A quel punto la chiave risiede nella versatilità: nella capacità, cioè, di “intellegere” la nuova situazione e mettere in campo alternative e risorse. Ovvero tutto ciò che ai Nets è mancato o che hanno prodotto solo a singhiozzo: troppo spesso costretti ad affondare di venti, prima di vedere scelte differenti da parte del coach (e non sempre l’avversario si chiama Atlanta e riesci a sfangarla), troppo discontinui, in questo fine 2019, i pur preziosi Temple e Prince (del resto spremuti come limoni per assicurare continuità di rendimento, con il primo costretto anche a fare le veci di SD in regia, quando questo va a rifiatare), troppo povera di punti e personalità la panchina (Pinson, Cabarrot, il redivivo forzato Kurucs, l’ancora offensivamente impalpabile Chandler, con il solo Jordan sontuosamente sugli scudi), volenterosa, a tratti sorprendente, ma davvero poca roba per l’NBA in questo momento, soprattutto in termini di punti, idee e ritmo. I Nets, oggi come oggi, sono una squadra di sei giocatori e qualche frame: inevitabile che subentri anche stanchezza psico-fisica. Se mai nozze furono celebrate con i fichi secchi, questo accadde a Brooklyn!
La stanchezza fisica e mentale, quella che non ti fa arrivare a prendere la giusta decisione o che te la fa prendere con una frazione di secondo di ritardo (che nessuno ti perdona nella NBA del 2020), l’abbiamo vista, forse in modo subliminale, drogati dall’adrenalina del match, nei tanti tiri buoni non presi: non dimentichiamo mai che solo Harris è un tiratore di razza (di quelli, per intenderci, che continuano a sparare quando vedono un buon tiro, anche nelle serate-no). Tutti gli altri “sentono” il momento ed esitano, e l’esitazione è la madre degli errori su tiri aperti, magari ti porta a mettere palla a terra e cercare di costruire da capo il gioco, ma questo significa abbassare ulteriormente il PACE e infilarsi in aree intasate. Si rinuncia troppo sovente a tiri buoni per finire a forzare in area (primi assoluti per percentuale di punti realizzati nel pitturato, ma con percentuali modeste: 27esimi).
Le sia pur alterne fortune bianconere risiedono soprattutto nella crescita del frontcourt, a rimbalzo (per fortuna anche offensivo: quarti, il che significa tirare tante volte, anche se con basse percentuali) e nella difesa (terzi per defensive rating!), soprattutto del pitturato: a dicembre i Nets si sono classificati secondi assoluti per percentuali avversarie in area. La lunga striscia di doppie doppie realizzate da Allen e il contributo, finalmente su ambo i lati del campo, di DeAndre Jordan dalla panchina hanno senz’altro rappresentato il più positivo dei miracoli dicembrini, il primo fattore di crescita sul fronte difensivo. Intorno alla staffetta dei due centri è stato più facile registrare anche la tenuta perimetrale e le rotazioni: la difesa è stata, in ultima analisi, l’arma inusuale ma efficace che ha garantito la sostanziale tenuta dei Nets, pur decimati. Anche qui useremo il negativo come incidente probatorio: tagliato Shumpert e perso disgraziatamente Nwaba (due difensori preziosi), nelle ultime gare del mese anche la tenuta da questa parte del campo ha ceduto, col risultato di un record 1-4 nelle ultime 5 viaggiando a una media di 111 punti subiti, contro i 104 scarsi del resto del mese.
Breaking news! Proprio mentre chiudiamo l’articolo, Shams Charania twitta il taglio di Nwaba ad opera dei Nets: si libera dunque, uno spot nel roster e vedremo se verrà rapidamente riempito o se Marks aspetterà la trade deadline per cambiare qualcosa. Certo, è un segnale e il preludio di qualche mossa, indispensabile per togliere un po’ di minuti e responsabilità dalle spalle di Dinwiddie e Temple (soprattutto). La possibilità di allungare le rotazioni, col rientro di Levert, Claxton e, a questo punto, il ricorso al mercato, nonché il ritorno agognato di Irving, sono precisamente l’alito della speranza che i Nets ripongono nel primo mese del nuovo decennio. Per ora i bianconeri hanno il fiato corto e la strada in salita. Il prossimo numero di #stillawake vi racconterà se la ciurma di Atkinson avrà scollinato, lasciandosi il peggio alle spalle. Stay tuned!