Ci siamo dentro fino al collo! Da questa malattia si guarisce solo lasciando che faccia il suo corso, lasciandola sfogare, trattenendo il fiato fino all’ultimo atto. La magia dei playoff, poi, quest’anno ha qualcosa di speciale che si chiama equilibrio, imprevedibilità, come non accadeva da anni. E anche un tocco di sapore in più, quel sapore agrodolce e un po’ piccante di futuro su cui ci soffermeremo più avanti.
C’entra molto l’assenza di LeBron James, catalizzatore di media e tifo come nessun altro. Il 31% di share in meno per le gare del primo turno, ma mai come in questo caso vale l’assioma del torto agli assenti: lo spettacolo non fa difetto, a questi playoff e, benché si siano persi altri prestigiosi protagonisti per strada, il livello del gioco non accenna a calare. Anzi…
E se i valori, sul campo, stanno emergendo in modo inequivocabile, se il risultato finale ha premiato ovunque le favorite con il passaggio del turno, l’andamento delle serie ha avuto parecchio da dire.
Forse, finora, non tanto a Est, ove i quarti di finale sono a malapena cominciati, fatta salva la partenza a sorpresa di Orlando e Brooklyn, quasi sullo slancio dello splendido finale di stagione: dopo le due gare 1 in questione, tuttavia, non c’è più stata storia. Qualche resistenza opposta ancora dalle due rivelazioni dell’anno, poi tutto è stato rimesso a posto, con qualche tensione, qualche rissa e qualche fischio dubbio in crunch time. Ma ci sta: nell’economia del turno di qualificazione, non hanno spostato nulla.
Questo rapidissimo rodaggio ci ha solo detto che Indiana, senza la sua stella Oladipo, e nonostante lo step-up clamoroso di Bogdanovic, è una squadra che rientra nei ranghi e perde lo smalto necessario per andare oltre lo standard e presentarsi davvero competitiva ai playoff.
Che Detroit è arrivata scarica alla fase che conta della stagione, priva dell’unico suo giocatore in grado di girare una partita, ed ha affrontato una squadra fin qui priva di evidenti punti deboli.
Che Brooklyn e Orlando, con le giuste mosse, possono rappresentare davvero le contender dei prossimi cinque anni. Oggi no, oggi sono un frutto gustoso ma ancora acerbo, per sperare di andare avanti.
I playoff, ad Est, iniziano adesso. Bucks-Celtics e Raptors-76ers sono due potenziali finali di Conference, tutte legittime pretendenti alle Finals, poche storie. Milwaukee ci arrivava senza aver neppure intriso le canotte di sudore (complice l’assenza di Griffin fino a gara 4) e, di fatto, non aveva ancora annusato la vera atmosfera playoff. Non so quanto questo ha potuto rappresentare uno svantaggio, ma, certo, i Celtics visti nello sweep ai danni dell’orfana Indiana sono il peggior avversario possibile, come primo assaggio. Infatti hanno inflitto un dura lezioni alla franchigia guidata dal talento greco che dovrà rimboccarsi le maniche ne caso volesse avere la meglio sulla franchigia del Massachussetts.
In teoria, l’altra serie è anche più incerta: Toronto ha un Leonard in formato MVP, ma il gioco è andato un po’ a singhiozzo, parallelo al rendimento di Lowry. Entrambe potenziali ottime difese, entrambe dotate del go-to-guy ma anche di numerose alternative in fase realizzativa, Toronto ha qualcosa di più in uscita dalla panca, ma non è detto che questo possa rappresentare un fattore. D’altro canto, Ibaka può essere un credibile argine allo strapotere di un Embiid non al top della condizione. Continuo a vedere favorite le squadre che hanno il fattore campo in mano, ma l’esperienza dei Celtics e il talento dei Sixers (autori di un voluminoso all-in nella stagione in corso), possono ribaltare i pronostici in men che non si dica.
A nostro avviso, ristretto a quattro il novero delle pretendenti, la Eastern cessa di provare invidia per la Conference cugina e si candida a competere, non solo in termini di spettacolarità. In fondo, la vera novità rispetto alla stagione scorsa, a questo punto della post-season, risiede proprio qui: il passaggio di LBJ sull’altra costa, con tutta la cascata di eventi che ha comportato, ha funto da distillatore della Eastern, filtrando un’élite di quattro sorelle ancor più forti e competitive di prima.
L’ovest non si è smentito, invece, riservando le sfide più affascinanti, con la sola Houston che ha agevolmente tenuto fede a blasone e pronostico, regolando dei Jazz sottotono e apparsi privi di sufficienti frecce al proprio arco, con il terminale offensivo Mitchell pesantemente silenziato. Arriveranno più freschi e anche un tantino più temibili, i diavoli di D’Antoni, alla semifinale più attesa, contro i detentori del titolo. I Warriors hanno sputato sangue contro i sorprendenti Clippers, divenuti, nelle sapienti mani di due marpioni come West e Rivers, una delle franchigie più credibili e attese alla conquista del futuro. Addirittura un capolavoro gara 5, nel secondo successo alla Oracle Arena, un’impresa di cui nessuno avrebbe creduto capaci loro e nessun altro avversario, anche solo dieci giorni fa. Il pick and roll guidato da un Lou Williams stratosferico con il supporto di Harrell, l’asse che ha permesso alla panchina dei velieri di primeggiare in regular season, nonché le spaziature, con l’uomo in angolo cercato e trovato con regolarità e dividendi, hanno dato la sensazione di non trovare risposta nella difesa gialloblu, ostinata nei raddoppi controproducenti. E non dimentichiamo che DMC è “andato”, a causa di un brutto infortunio, prima ancora di cominciare.
Ed a Nuggets-Blazers, che vogliamo raccontare? Personalmente, Jokic e Lillard sono i giocatori che più mi hanno colpito quest’anno e davvero non so per chi parteggiare. Anche qui, le due squadre sono reduci dalle serie più incerte e/o suggestive del primo turno. Un punto a favore di ciascuna, magari non troppo scontato? Lo step-up mentale di Portland meriterebbe un premio dedicato, personalizzato: incredibile la maturità con cui i Blazers hanno chiuso la serie, la sicurezza nei propri mezzi, la fiducia al tiro… proprio le doti che, più o meno con le medesime risorse umane, avevano, invece, fatto difetto a RIP City negli anni andati. E la difesa di Denver, intorno ad un totem come Jokic, non proprio un fulmine nella metà campo amica, eppure…
Già, la difesa. La difesa, azzeccata o fallita, è stata un fattore determinante in questo primo turno. Lasciamo stare per un attimo le serie più scontate. La difesa dai continui matchup lontano dalla palla di Boston, che ha lasciato Indiana all’asciutto e l’ha tenuta su percentuali bassissime nei momenti cruciali delle partite. La difesa azzeccatissima di Houston (ormai più che sconfessato il luogo comune che vuole D’Antoni e Harden indifferenti alla fase difensiva) con Harden, e Capela dietro di lui, che ha annullato il finalizzatore principale dei Jazz (quanto deve crescere, ancora, Mitchell, per assurgere a uomo franchigia?). La (inefficace) difesa sul pick and roll dei Warriors, su cui in buona parte Rivers ha costruito le due w alla Oracle Arena. La sfida all’ultimo sangue tra difese, che ha entusiasmato, tra Popovich e Malone, fino all’ultimo minuto di gara 7, entrambe le squadre costrette a prendere tiri di bassa qualità, la difesa sul pick and roll di Jokic, meno efficace, su cui DeRozan e Aldridge, con Gay, hanno costruito la rimonta Spurs (che dire?Avrebbero meritato anche loro, avrebbe meritato quella leggenda travestita da coach, avrebbe meritato il fiume inatteso di risorse che lasciano intravedere la solita rinascita nel solco della tradizione e delle continuità) dal -17 al -2, rischiando la clamorosa beffa proprio a scapito di quella difesa su cui il tecnico dei Nuggets ha stupito fin dalla regular season, legittimandone la candidatura a COY. Last, but not least, la difesa dei Thunder, stupefacente, a tratti, in regular season e mandata a carte quarantotto dall’esplosione di Dame…
Emblematico, davvero il buzzer di Lillard che ha chiuso la serie in gara 5,cosi come la discussione a distanza con George. Una sfida affascinante tra due modelli di giocatore, due grandissimi cestisti e due differenti concezioni del basket. PG è un atleta completo, fantastico e moderno. Ma il Lillard di questi playoff è un campione proiettato verso il futuro! Ha sbagliato George a difendere lontano dal cilindro di Lillard, lasciandogli spazio fisico e visivo per mettere a bersaglio la tripla quasi dal logo di centrocampo? Oppure, come lui sostiene incurante delle critiche, no, lui aveva le gambe nella posizione giusta, pronte allo scivolamento per chiudere a Dame la penetrazione, vista la distanza di oltre nove metri dal canestro? Per avere tutti gli elementi necessari a farsi un’opinione, occorre ricordare che le percentuali avute da Lillard quest’anno da distanze siderali sono equiparabili a quelle del miglior Steph Curry e si avvicinano in modo ridicolo a quelle di un tiratore medio dai 7,25.
Eppure, a stretto rigor di logica, la ragione pende dalla parte della star di Oklahoma: un tiro da centrocampo non è, non è mai stato un buon tiro. Si faccia, però, caso all’uso dei tempi nel conio dei verbi: è voluto. Quel tiro lì, al futuro prossimo, va declinato diversamente. Ci sono giocatori che hanno ampiamente dimostrato che quel tiro è possibile e, certo, può ulteriormente modificare dinamiche del gioco e concezione della difesa, aprendo ulteriormente il campo, costringendo i lunghi ad essere ancora più rapidi di piedi e gli altri a rotazioni sempre più attente…La Lega, intanto, convinta, come il sottoscritto, che le evoluzioni degli atleti non vadano contrastate solo perché il gioco ne verrebbe “snaturato”, ma assecondate come “evoluzione” darwiniana, inevitabile come una mutazione genetica, la Lega sempre al passo con i tempi sotto la gestione Silver, ha lasciato trapelare l’avvio di un dibattito finora un po’ sottotraccia: quello sul tiro da 4 punti. Una roba, per intenderci, finora vista solo in alcune manifestazioni para-agonistiche a titolo sperimentale o nei divertenti show degli Harlem Globetrotters.
Non sarebbe male iniziare a parlarne seriamente, togliendoci quel sorrisino sarcastico dalla faccia, se non vorremo farci cogliere impreparati dagli eventi, perché il mondo di oggi, e il basket con lui, corre più di quanto le nostre capacità critiche ed analitiche siano capaci di fare: noi stessi, umili analisti e cronisti, rischiamo di cadere nell’ovvio, se non sapremo avviare da subito un ragionamento sul tema.
Continueranno, le difese, a pesare ancora tanto, o forse anche di più? Credo di sì, visto che ormai tutte le squadre rimaste in corsa hanno il potenziale cavallo vincente a trainare la biga in attacco, spesso più di uno. A vantaggio di chi? Bella domanda: tutte splendide le difese dell’est, tutte molto capaci, potenzialmente, ma anche tutte votate a fare un canestro in più dell’avversario, le contender dell’ovest.
Però, ammettetelo: che fascino, la repubblica NBA, dopo la (momentanea) abdicazione del re…