Sono due franchigie che, al momento di cui stiamo scrivendo, stanno vivendo due momenti diversi ma così simili tra di loro. Due squadre con nomi altisonanti tra i giocatori e non solo, due grandi metropoli con “Big Market”, due franchigie reduci da una stagione che dire deludente è il minimo.
In quest’analisi di inizio stagione NBA 2022-2023 parliamo delle due principali delusioni rispettivamente di Western ed Eastern Conference: Los Angeles Lakers & Brooklyn Nets.
Il disastro pre-annunciato dei Lakers
Partiamo dai losangelini gialloviola: di certo è abbastanza presto per le sentenze, ma di certo a livello dirigenziale alcune decisioni coraggiose andranno prese nella blasonatissima franchigia californiana, perchè non solo il buongiorno si vede dal mattino, ma a volte si vede pure quello cattivo .
Tutti gli analisti NBA del pianeta avevano scritto che la stagione non partisse sotto i migliori auspici, ma vedere al momento la squadra penultima nella Western Conference con record di 2-8 davanti ai soli pluritankanti Houston Rockets, e soprattutto, ultima a vincere una partita in stagione, partendo con 5 sconfitte su 5, nemmeno il supertifoso Jack Nicholson l’avrebbe predetto su una squadra che contava (e per la verità, spera sempre di riuscirci) di cancellare le frustrazioni della scorsa stagione, conclusasi con la bocciatura nella corsa ai playoff.
Bisogna anche considerare che le 5 sconfitte su 5 partite iniziali sono la peggior partenza di sempre per LeBron James, che eguaglia quella del 2003, quando era rookie e vestiva la canotta dei Cleveland Cavaliers, formazione che puntava a scalare la gloria grazie a The Chosen One.
I flop dopo il 17° titolo nel 2020
Sembra passata quasi un’era geologica dalla conquista del titolo 2020 (campionato concluso nella famosa «bolla» di Orlando, a causa del Covid). Perchè l’anno successivo, nel 2021, I Lakers avevano mancato la riconferma, ma se non altro, sebbene eliminati al primo turno della post-season, potevano dire di aver perso contro i Phoenix Suns, squadra destinata a giocare la finalissima contro i Milwaukee Bucks. Ma è arrivato il più che clamoroso tonfo della scorsa stagione al netto di vari infortuni con la seconda parte stagionale s’era rivelata un disastro, con un afflosciamento inarrestabile che ha comportato la mancata qualificazione perfino ai play-in con un record terribile di 33-49.
Il “problema” Russell Westbrook
Cambiato quindi coach – da Frank Vogel a Darvin Ham – le colpe sono ricadute su Russell Westbrook, considerato l’elefante nella stanza, considerato l’arrivo in estate del suo “nemico” Patrick Beverley (da Utah) e anche Dennis Schroder.
Discusso e discutibile, RW è un regista che ha ormai una carriera infarcita di passi falsi più che di momenti in cui il suo talento può servire a un gruppo. A lungo in bilico, poi alla fine è rimasto. Probabilmente il «punto alfa» di molti problemi è stato proprio lui (contro Portland, in casa, ha sulla coscienza una scellerata scelta nel finale costata la sconfitta) e ora si riparla di cederlo.
Nel derby con i Clippers dello scorso 21 Ottobre, che lo scorso anno hanno battuto i rivali in tutti e quattro i derby e che hanno vinto 32 delle ultime 39 stracittadine (si fa fatica ancora a crederlo!), Westbrook ha infatti preso un tiro in transizione dall’arco per la grande gioia del suo pubblico:
Il tiro che non entra…
Westbrook a parte, c’è un dato statistico da Horror: i Lakers sono ultimi per percentuale da tre punti, il 29.1%, sotto il 30% sono gli unici con gli Oklahoma City Thunder, altra squadra da tempo sull’andante tankante.
Un disastro, anche se siamo appena all’alba del nuovo campionato, salvo modifiche strutturali (leggi interventi sul mercato) rischia di essere un macigno fino alla fine. Gli statistici di Espn hanno certificato questa immensa debolezza del tiro da tre: dopo l’8 su 30 raccolto nel ko in casa dei Denver Nuggets dalla grande distanza, il dato totale nelle triple parla di 33 canestri su 148 tentativi, pari al 22,3%. Il peggiore mai ottenuto da una squadra in un lasso di 4 incontri con almeno 125 tiri effettuati.
Una stagione che rischia di partire già compromessa, considerato che a Westbrook si è inspiegabilmente scelto di affiancare Patrick Beverley (come dicevamo sopra), che è l’ultimo giocatore a cui affidarsi per una regia compassata in una squadra di stelle o presunte tali; sotto canestro Anthony Davis continua ad essere spesso infortunato avendo saltato già due partite delle 9 disputate finora e non ha una riserva che possa proteggerlo da un minutaggio eccessivo. “Brow” ha giocato un totale di 76 partite nelle ultime due stagioni, conclusesi rispettivamente con un’eliminazione al primo turno dei playoff per mano dei Suns e con un anonimo undicesimo posto ad Ovest, nonostante l’acquisizione di due All-NBA – con probabilmente i giorni migliori alle spalle – come Russell Westbrook e Carmelo Anthony.
LeBron James, salvaci tu!
Oltretutto, la squadra è totalmente in mano a LeBron James costretto a fare il centro, il portatore di palla e il finalizzatore nella stessa partita. Di certo non è la via per vincere di squadra, anche se individualmente può puntare al record All-Time di punti in NBA superando un “certo” Kareem Abdul-Jabbar (1.325 i punti da inizio stagione lo separavano).
LeBron, ai Lakers dalla free agency del 2018 quando ritenne concluso il suo secondo mandato da The King di Cleveland e decise quindi di cercare il quarto anello risollevando le sorti della parte più titolata di LA.
Perchè Lakers è sempre stato (era?!) sinonimo di successo dai tempi di Jerry Buss, il proprietario dello Showtime degli anni 80 e del successivo ciclo vincente con Phil Jackson in panchina con Kobe Bryant e Shaquille O’Neal.
Sarà anche colpa di Westbrook (già, ma chi l’ha voluto?), però il male sta evidentemente non solo nella squadra ma anche nella dirigenza, a cominciare da Rob Pelinka, vicepresidente, direttore generale e responsabile delle operazioni di mercato.
La confusione dei Nets
Il proverbio dice: “Se Atene piange, Sparta non ride”. Difatti, se in casa Lakers regna il disastro pre-annunciato, nella costa atlantica a New York, e più precisamente nel distretto di Brooklyn, i Nets sono in totale confusione. Questa sin dalla pre-stagione è stata dichiarata per l’ennesima volta l’annata del “O la va, o la spacca”, e per i Nets si è sempre più avvertito un forte senso di déjà-vu…
L’esonero di Steve Nash
Dopo essere stati eliminati al primo turno dei Playoffs dai Celtics, guidati dall’Head-coach Ime Udoka, alla prima esperienza come capo allenatore, sette mesi dopo, in un vortice di eventi che fanno girare la testa, coach Steve Nash è stato sollevato dall’incarico di head coach e, cosa ancor più incredibile, secondo diverse fonti sarà proprio Udoka a sostituirlo. Ciò che fa pensare è che solamente due mesi dopo aver condotto i Celtics alle NBA Finals, Udoka è stato improvvisamente sospeso a causa di una relazione inappropriata con un membro dello staff dell’organizzazione, ma questa è totalmente un’altra storia.
Protagonisti di un preoccupante avvio di stagione (2-6, attualmente sono 4-7) e avvolti da una più che preoccupante atmosfera critica, infatti, i Nets sono arrivati alla conclusione che il divorzio con coach Steve Nash fosse ormai inevitabile. La scelta del general manager Sean Marks è il punto d’arrivo di un biennio segnato da infortuni, rivoluzioni del roster e delusioni nei playoff. Ed è il prevedibile epilogo di un’offseason tutt’altro che serena, dai postumi dello sweep incassato proprio dai Celtics di Udoka alla divisione delle due stelle della squadra, Kevin Durant e Kyrie Irving. L’estate ha spazzato via sicurezze e confeme al Barclays Center, tranne una: per Nash mantenere il polso della situazione sarebbe stato molto difficile, se non impossibile.
Il caso del “solito” Kyrie Irving
A dare spettacolo a Brooklyn in più ci ha pensato soprattutto quel mattacchione di Kyrie Irving, con un tweet a sostegno di un documentario di stampo antisemita (Hebrews to Negroes: Wake Up Black America) e a favore di una teoria cospirativa guidata dal “Nuovo Ordine Mondiale”, assecondando così le idee del conduttore di “Infowars”, Alex Jones.
Kyrie Irving è quindi ancora una volta in bilico sui margini dei Brooklyn Nets. Lo era già stato nel gennaio 2021, quando si assentò all’improvviso per motivi personali di cui l’organizzazione e i compagni di squadra non erano al corrente; poi durante la scorsa stagione, in cui ha giocato solo un terzo delle partite a causa del suo status anti-vaccinale; e ancora durante l’estate, in cui è sembrato a lungo destinato a un cambio di maglia con soliti atteggiamenti imperscrutabili.
I am an OMNIST and I meant no disrespect to anyone’s religious beliefs. The “Anti-Semitic” label that is being pushed on me is not justified and does not reflect the reality or truth I live in everyday. I embrace and want to learn from all walks of life and religions.
— Hélà (@KyrieIrving) October 29, 2022
Hélà🤞🏾♾
Il suo post di scuse su Instagram (successivo alla sospensione) e la sua donazione da 500.000 dollari (rifiutata) alla Anti-Defamation League non sono servite, il front office ha infatti recapitato a Kyrie una lista di sei condizioni per il suo reintegro in squadra. Un tour di scuse in più tappe, inclusa una decisa condanna delle teorie antisemite e un incontro con i leader della comunità ebraica locale. A questo punto, quindi, i Nets devono chiedersi se valga la pena di puntare davvero su Irving: l’atleta controverso per eccellenza, grazie a un curriculum incredibilmente variegato che va dalle dichiarazioni sul terrapiattismo e su teorie cospirazioniste, al tentativo di sabotare la bolla di Orlando; dal ruolo giocato negli addii di Atkinson e Harden, alla promessa non mantenuta con i Celtics; dalla scelta di non adempiere agli obblighi vaccinali, al video della festa di compleanno della sorella. Insomma, un mattacchione.
Le criticità legate a Kyrie sono soltanto la punta dell’iceberg di una franchigia che da decenni cerca di trovare il proprio equilibrio, senza esserci mai riuscita. Dopo che nel gennaio 2021, in un’enorme operazione a quattro squadre i Nets hanno acquisito James Harden, la permanenza del Barba nella Grande Mela è durata molto poco, fino alla sua fuga a Philadelpia alla scorsa trade deadline. A posteriori, di questa trade si può dire che i Nets abbiano scambiato un malcontento Harden con un enorme punto di domanda, Ben Simmons, che la scorsa stagione non ha mai giocato in maglia Nets.
Bene, ma non Ben Simmons…
Già, Ben Simmons: se tutto si poteva allineare, la versatilità dell’australiano poteva essere una risorsa importante e la sua presenza sul parquet da equilibrarsi alla perfezione nella composizione dei Big Three: la produzione offensiva poteva essere in mano a Irving e KD, togliendogli responsabilità e mitigando il suo rendimento a canestro; lui invece sopperirebbe dall’altro lato del campo, con l’efficacia difensiva che è specialità della casa, potendo anche concentrarsi di più sulla gestione del pallone. Anche qui c’è un “se” abbastanza grosso ed è chiaramente legato alle condizioni della sua schiena.
MA! anche e, soprattutto, il tiro resta un disastro, come contro i Dallas Mavericks di Luka Doncic, quando il suo tentativo in avvicinamento che non trova neanche il ferro, un tiro che, scagliato a meno di tre metri di distanza dal canestro, non arriva neanche vicino al fondo della retina. Ennesima dimostrazione delle incertezze di un giocatore insicuro.
Infatti, quando Simmons chiese ai Philadelphia 76ers di essere scambiato, attorno il suo nome c’era parecchio interesse – si diceva che ben dieci team si fossero mossi per lui – e il suo trade value era indubbiamente più alto di oggi. Oggi, il suo valore di mercato è precipitato. Secondo l’insider Jake Fischer, tra i front office NBA attualmente “non c’è mercato”, con l’interesse nei suoi confronti che pare “evaporato”:
“Non penso che abbia un vero valore di mercato. Parlando con alcuni dirigenti di un team in fase di rebuilding, mentre ero lunedì al Barclays Center, mi è stato detto chiaramente che l’interesse che potevano avere prima dell’inizio della stagione è svanito dopo le prime partite.”
Le motivazioni sono semplici da individuare: la sua completa mancanza di sicurezza e aggressività lo rendono molto esitante in attacco, soprattutto a metà campo.
Ma arriverà veramente Ime Udoka?
La difesa, che attualmente è la 29esima dell’Nba e già nella passata stagione era tra le peggiori dieci, dovrà essere valorizzata al massimo in casa Nets. Anche in attacco, però, il lavoro da fare è parecchio. Nonostante il diffuso talento nel roster e la profondità delle rotazioni, in due anni Brooklyn non ha mai davvero valorizzato il loro supporting cast, limitandosi a raccogliere i frutti degli isolamenti di Durant e Irving. La parola d’ordine di Udoka sarà proprio questa, valorizzare. Ma prima di tutto, dovrà ricomporre e unire, perché la nave su cui è salito non naviga da tempo in acque calme.
Sempre che arrivi Ime Udoka, perchè al momento è tutto da verificare… Quindi, ai posteri l’ardua sentenza.
Il filo che lega Lakers a Nets
Oltre alla delusione di questo inizio stagionale delle due franchigie – con Lakers e Nets che si affronteranno il prossimo 14 Novembre alla Crypto.com Arena in California -, c’è il filo sottilissimo ed invisibile del mercato che lega Los Angeles a Brooklyn: in estate si è parlato tantissimo del possibile scambio Russell Westbrook per Kyrie Irving, come riportato da Chris Haynes di Yahoo Sports.
Brooklyn Nets maintain discussions have only been preliminary at this point, sources say. https://t.co/nKKTFGiMj2
— Chris Haynes (@ChrisBHaynes) July 3, 2022
Review Overview
C’è stato un “tangibile ottimismo” di un accordo trovato nell’off-season. Al momento sono due i punti di discussione tra le squadre: le scelte al Draft da inserire (i Lakers possono usare sia quella del 2027 che quella del 2029) e il tiratore dei Nets da includere nell’accordo, visto che tra i due contratti delle due stelle ci sono 11.5 milioni di differenza (36.5 per Irving, 47 per Westbrook).
Secondo quanto riportava, i Nets potevano includere Joe Harris, a cui sono dovuti 38.6 milioni di dollari nei prossimi due anni, mentre i Lakers preferivano l’inclusione di Seth Curry, il cui contratto da 8.5 milioni è in scadenza nel 2023. I Nets, in ogni caso, non hanno fretta di concludere l’accordo e continueranno a discutere coi Lakers dello scambio Westbrook-Irving.
La domanda è: conviene davvero ai Brooklyn Nets “accollarsi” il contratto del n°0 Lakers in cambio di scelte future, pur avendo in squadra Kevin Durant?
Questo potrebbe bloccare definitivamente una trade che non è mai decollata almeno sinora, e forse, mai decollerà.