Prendete una squadra che ha raggiunto i playoff senza troppi patemi. Aggiungete due superstar tra le più forti della Lega, confermate tutti i suoi giocatori più forti, completatela con tre role players in grado di far compiere il salto di qualità anche alla second unit e di rafforzare gli argini difensivi. Giudichereste negativamente la sua offseason o pensereste ad una franchigia che ha compiuto il definitivo salto di qualità verso la ristretta cerchia delle contender?
Come dite? La seconda delle due? La pensiamo come voi. Allora perché i Brooklyn Nets, che ritroveranno Irving e Durant sul campo, hanno esteso il contratto di Joe Harris, non hanno ceduto alle tentazioni di trade di grido per difendere il proprio young core (Levert, Allen, Dinwiddie) e hanno fatto aggiunte mirate e praticamente a costo zero, non figurano tra le platoniche vincitrici del mercato?
I Nets hanno già la terza star (e lo ribadiamo con vigore: Caris Levert!), hanno in Harris la priorità di mercato, hanno bisogno di due o tre pedine al posto giusto e nulla più! Noi lo avevamo detto: la nostra idea era drasticamente conservativa (confermare tutti!) e, da “Marksisti” convinti, non ci aspettavamo stravolgimenti di un giocattolo così intrigante da parte dello stesso artigiano che lo aveva costruito con tanta pazienza e maestria. Noi avevamo provato a mettervi in guardia: l’anno dell’assalto al cielo avrebbe comodamente potuto essere il 2022 e un sapiente costruttore di sogni come Marks difficilmente avrebbe sacrificato il futuro, che è precisamente la materia di cui sono fatti i sogni, per farne fiches da gettare tutte insieme sul tavolo verde.
Eppure non vi siete fidati, o meglio, non avete resistito: al primo, corposo rumor riguardante un’altra superstar evidentemente intenzionata a sbarcare a Brooklyn, avete rotto gli argini, pronti a stracciarvi le vesti e a dar fondo a presente (tutto il nucleo portante della squadra) e futuro (le scelte da qui alla prossima era geologica) pur di completare il trio delle meraviglie. Ma succede che la NBA in carne ed ossa non è la NBA2K e che Marks non è Billy King! E allora, alla fine della giostra, di fronte all’ulteriore potenziamento di Lakers, Clippers e Bucks, molti hanno storto il naso, immemori di dove fossero i Nets solo un paio di anni or sono, come se avessero partecipato ad un aperitivo in un attico di Manhattan e poi fossero finiti a cena dal paninaro sotto casa. Il paninaro, però, vi sta offrendo una porchetta che vale, secondo ESPN, il terzo posto nel ranking: niente male, per un ripiego, am I wrong?
Non abbiamo la presunzione di gettarvi la croce addosso: l’astice con la barba faceva gola anche a noi, come ne farebbe a chiunque ami il gioco del basket e in…barba agli snob e ai soloni della pallacanestro che fu. E vi facciamo notare che il Gran Casinò non ha chiuso i battenti: c’è tempo, ancora, per giocare altre buone mani al tavolo verde e non è detto che qualcuno non rilanci grosso. Sean Marks ha un poderoso coltello impugnato dal lato giusto e aspetta sornione la preda giusta: non è detto che passi, potrebbe occorrere tempo, ma il tempo, adesso, gioca solo a suo favore.
Low risk, high reward
Quel geniaccio di Marks, con un patrimonio alle spalle ma un budget risicatissimo, ha raschiato il fondo del barile e firmato cambiali, pur di trattenere un uomo semplicemente insostituibile (tanto più sotto la guida del duo Nash-D’Antoni) come Joe Harris, l’uomo chiamato canestro, semplicemente il miglior cecchino al mondo (fuoco a volontà su chi scrive: non vi temo!). Quattro anni, 75 milioni. Troppo? Lo abbiamo pensato un po’ tutti, ma questo è il mercato, bellezza: se non ti piace, c’è lo sport dilettantistico, nobilissimo ma un tantino meno nutriente per l’occhio; altrimenti, è tutto racchiuso nella legge della domanda e dell’offerta: se vuoi il meglio e la concorrenza è forte, alza la posta, sic et simpliciter!
Poi, come si conviene a qualsiasi franchigia che abbia due stelle al massimo del loro splendore nel proprio firmamento, è caccia al miglior complemento a prezzo di saldi. Questa è la Lega, signori…e Marks non ha fatto altro che portare a termine il lavoro nel miglior modo immaginabile, rinunciando (dolorosamente) a Temple e piazzando un paio di scambi tutti (opinione nostra) a proprio vantaggio per realizzare un clamoroso balzo in avanti nel parco dei comprimari e portare praticamente a costo zero in bianconero uno sminatore come Bruce Brown, un fuciliere come Landry Shamet e un corazziere come Jeff Green (laddove due anni fa c’era il GOAT Jared Dudley e lo scorso anno il pivello Kurucs: più capelli in testa io che punti nelle mani loro due messi insieme).
Se il bottino vi pare magro…
…Avete una visione da NBA2K!
A noi sembra che si sia intervenuto esattamente come da noi preventivato nei numeri precedenti: aggiungendo le pedine che occorrevano e dove occorrevano (difesa, stretch four, profondità), senza stravolgimenti, senza rinunciare né alla cultura di squadra costruita in questi anni, né alle scelte future, senza bruciare i ponti che la lunga marcia verso l’anello pone di fronte ai Nets, né fare terra bruciata dello straordinario gruppo nato dal nulla e capace di intraprendere e portare avanti quella stessa marcia fin qui.
Non finisce mica qui!
Ci dicono qualcosa, in termini tecnici, le scelte di mercato fin qui compiute? Si: che la cultura dei Nets non è in discussione. Tiratori, veterani, role player in rampa. Un occhio al presente e uno al futuro. Gli uomini, prima degli schemi. Il talento non è mai abbastanza, come lo stesso Marks ha tenuto a dichiarare.
Poi, però, il leone sornione ha ruggito anche altre parole, sibilline ma fortemente allusive: ha tenuto, cioè, a sottolineare di non volere un roster sbilanciato (intanto, però, ha acquistato altre guardie, cui si sono aggiunti perfino la conferma di Chiozza e l’arrivo di Okobo, valido rincalzo, dai Suns) ed ha affermato di essere pronto ad ascoltare tutte le esigenze di Dinwiddie glissando sul suo possibile ruolo tecnico (in una squadra gonfia di esterni e di portatori di palla) e lasciando il cerino in mano a Nash. Se tanto mi dà tanto, il GM ha accumulato fiches e sta aspettando sornione che la domanda scenda, forte di una squadra già pronta a competere così com’è, per tornare a sedersi al tavolo verde e puntare a uno scambio di peso.
Non necessariamente subito, non necessariamente per la terza superstar, ma forse per restituire equilibrio alla sua squadra e puntellarla, proprio alla luce dell’ulteriore rafforzamento dei campioni (Schroder, Harrell), dei Clippers (Ibaka), dei Bucks (Holiday) e chi più ne ha, più ne metta. Al tavolo da gioco, poi, non è detto che la posta si alzi, né che si vinca sempre la partita, ma certo il giocatore professionista non si tirerà indietro e la giocherà fino in fondo.
D’altro canto, la stella con la barba è sempre lì, innegabile convitato di pietra, ferma sulle sue posizioni: è a Houston, ma ha saltato le prime sedute del training camp e si allena per fatti suoi, ha rifiutato una vagonata di dollari per tenersi le mani libere, è sulla cresta dell’onda e punta al titolo, sa che ad Est la strada verso le Finals, almeno sulla carta, è meno impervia, non vede l’ora di giocare col suo amico KD, ricostruendo la coppia che fece faville a inizio carriera in quel di OKC.
Ora, a meno di non voler considerare Marks uno sprovveduto o un semplice tifoso, il problema è il prezzo: “the chef” ha ancora due anni di contratto texano, ovvio che i Rockets cerchino di capitalizzare il più possibile; altrettanto ovvio che Marks storca il naso e affermi pubblicamente che lui è soddisfatto della sua squadra: si dichiara “servito” per “vedere” le carte dell’avversario. È sempre la famosa legge della domanda e dell’offerta di cui sopra.
Il punto, adesso, è che il convitato di pietra, pur avendo un forte potere contrattuale e di “moral suasion”, è preso un po’ nel mezzo: i suoi attuali datori di lavoro, fallite le lusinghe economiche, stanno provando a costruirgli intorno un gruppo di suo gradimento, il nuovo coach gli ha conferito piena libertà di movimento prima ancora di vederlo sul parquet…ma hanno dalla loro il contratto in vigore, che va rispettato. I Nets, dal canto loro, non hanno fretta e, soprattutto, interesse a forzare la mano: vien facile pensare che il fuoriclasse griffato 13 finisca per tornare controvoglia all’ovile e per iniziare la stagione ancora in biancorosso. Poi si vedrà, ma non crediate che il leone abbia rinfoderato gli artigli…
Back to reality
Detto questo, però, è con il roster attuale che Nash e collaboratori dovranno a stretto giro fare i conti e farli anche rapidamente quadrare. La stagione è alle porte e l’apertura sarà al fulmicotone: Warriors nell’opening night, Celtics nel Christmas Day, ovvero il passato di KD e quello di Irving, mica una passeggiata! Il training camp è già in corso, la pre-season è praticamente arrivata e siamo tutti ansiosi di vedere quale idea di gioco coltivi Nash.
Intanto Levert si è proposto off the ball: dichiarazione intelligente e, probabilmente, ponderata sui primi confronti con lo staff tecnico. Non avevamo forse parlato di lui come del possibile Draymond Green bianconero? Dinwiddie ha chiarito che lui non vuole andare da nessuna parte, fornendo una motivazione anche piuttosto convincente (“non conosco nessuno che prenda meno del suo valore di mercato per restare in una squadra, per poi desiderare di essere scambiato”), e si è offerto come jolly, disponibile a ricoprire qualsiasi ruolo.
Noi diciamo, non da oggi, che la chiave tecnica della prossima stagione sarà il ruolo di Durant, ma quella dei successi ottenibili sul campo saranno il ruolo e il rendimento di Levert. Tutte le fonti descrivono Irving e Durant in grande spolvero e sul loro potenziale devastante c’è poco da discutere. Personalmente, il rendimento di Harris lo considero un dogma. Sotto canestro, checché se ne dica, per me Jordan resta un assegno circolare solo da passare all’incasso e Allen, già cresciuto a dismisura nella bolla, è sotto l’ala protettiva di Stoudemire: noi abbiamo sempre sostenuto che fosse il gioco in low post, e non il tiro da tre, il grosso limite di Jarrett e ora lo immaginiamo a scuola da uno dei migliori maestri in materia! Se solo riuscisse a far suoi certi movimenti, ci sarebbe da divertirsi…
Steve Nash!
Un esordiente assoluto ma ha personalità da vendere e uno staff alle spalle senza pari. L’ago della bilancia, signori, sarà Caris Levert: se avrà lavorato bene sulla chimica con le star, sulla fiducia nel suo tiro dalla lunga distanza e (lo ribadiamo) nei suoi movimenti in post medio-alto, ci saranno, ai nastri di partenza, uno starting five in cui tutti saranno in grado di far canestro e farne fare (o qualcuno sottovaluta le qualità di Harris come facilitatore e quelle dei due centri come passatori?) e una second unit profonda e di qualità che, voglio ripetermi, ha realizzato un upgrade entusiasmante.
Forse non da subito, viste le tante novità previste sul fronte tecnico, ma vi aspetto alla prova dei fatti per ribadirvi ancora una volta che…noi ve l’avevamo detto!
Marco Calvarese
edito by Frank Bertoni