Post Finals, in questa strana, maledetta, unica stagione in cui tocca dividerci tra i playoff di NBA e quelli di MLB, i Nets hanno vissuto uno strano settembre, silenzioso e profumato come può esserlo, di solito, un mese di maggio per chi esce al primo turno e si appresta ad una lunga offseason.
C’è un nuovo head coach (nel frattempo, sono saltate altre cinque panchine, poi ditemi che non è in atto una rivoluzione!), tante chiacchiere, interviste, sensazioni, ma pochi fatti concreti.
Chi vi scrive procede a tentoni quanto voi, provando a dare la propria chiave di lettura alle dichiarazioni e ad immaginare un futuro che ancora non c’è, ben nascosto dietro una cortina fumogena al dissiparsi della quale tutti si aspettano di ammirare una contender fatta e finita, con la nuova canotta vintage (nostalgia canaglia…ben venga, a patto di non dimenticare che i colori ufficiali, oggi, sono il bianco e il nero!) e in grande spolvero.
Sarà il caso, allora, prima di entrare nel vivo del ragionamento, ribadire brevemente le nostre posizioni, in modo da non nasconderci dietro un dito quando i fatti ci smentiranno, ma anche di non godere solo a metà quando sommessamente vi diremo “noi lo avevamo detto”.
E vi avverto: in questo numero lo diremo tanto…
1. lo avremo sempre nel cuore, ma è stato un bene, per il futuro della squadra, divorziare da Kenny Atkinson;
2. Steve Nash è, per QI, leadership e link con società e giocatori, una scelta geniale. Una scelta di Sean Marks;
3. la stagione del successo potrebbe essere il 2022, non necessariamente la prossima;
4. due superstar con, intorno, un roster profondo e ricco di talento, con un bel mix di giovani e di veterani, ci sono già: decisamente, non è da tutti;
5. staff tecnico e societario sono di primissimo ordine: poche altre contender potrebbero permettersi un head coach alle prime armi, anche se si chiama Nash! Ne volete la prova? Alzi la mano la franchigia che può vantare un assistant coach che l’abbia appena guidata ai playoff;
6. non c’è alcun bisogno della terza stella, ma di colmare alcune lacune evidenti con un paio di role player.
Lo so bene: sembra un’ode all’ottimismo. Il roster perfetto non esiste ma, per puntare al titolo, sono sufficienti due superstar, talora anche una soltanto, purché ben supportate da gregari e sistema di gioco: queste Finals non ne sono, forse, il perfetto paradigma?
Non è mia consuetudine piegare i fatti alle mie opinioni, ma la sensazione è che il turbinio di interviste rilasciate dai protagonisti bianconeri, al netto del cicaleccio (quando va bene, esagerato, quando va male, del tutto inutile e deleterio) che le ha accompagnate, avvalori ulteriormente le tesi di #stillawake.
Procediamo con ordine e con calma, perché settembre è stato soprattutto il mese di Nash e delle chiacchiere.
Impressioni di settembre.
Inutile girarci intorno: a settembre tutto l’hype intorno ai Nets è sorto da una frase estrapolata da un’intervista a Kyrie divenuta ormai virale:
“…Non mi pare che abbiamo un head coach. Sapete cosa intendo, no? KD potrebbe essere un head coach, io stesso potrei esserlo…”.
Putiferio!
“Ecco il solito Irving, addirittura detronizza Nash prima di cominciare! Disrespectful! Lo spogliatoio sarà ingestibile! Un disastro!”.
Calma e sangue freddo.
È vero che Irving ha il vizietto di farla fuori dal vaso e che è dotato di dialettica e diplomazia quanto un pomodoro verde, tant’è che ha costretto Durant ad intervenire per stemperare in acqua fredda il senso delle parole dell’ex terrapiattista (“…Anche lo stesso Vaughn, naturalmente: si tratta di uno sforzo di collaborazione collettiva”).
Va, però, anche detto che, se ci degnassimo, qualche volta, di andare alla fonte delle notizie e di leggere gli articoli senza fermarci al titolo o alle prime tre righe (solitamente piene di enfasi per attirare il click del lettore), gran parte dello scandalismo intorno a Irving crollerebbe come le mura di Jerico al primo squillo di tromba.
Proprio i puntini di sospensione che precedono e seguono la frase maledetta fanno tutta la differenza del mondo: Irving sta parlando del nuovo modo di intendere il ruolo di HC in NBA: non tanto un commander in chief, né uno stratega del gioco, neppure un tizio che arriva e impone a tutti la propria filosofia senza guardarsi intorno, ma piuttosto e prima di tutto uno psicologo, un leader con vocazione alla collaborazione di gruppo.
Sounds different, doesn’t it? E, in fondo, Nash non aveva detto nulla di diverso, anzi: “…Non sono, né voglio essere, nella posizione di chi arriva e dice ciò che bisogna fare…Sono perfettamente consapevole di non avere nessuna esperienza come HC: ne ho tanta, ma non in quel ruolo…Ho la fortuna di avere un gruppo così profondo e talentuoso che può aiutarmi…Se la società avesse voluto uno stratega, avrebbe guardato altrove…”.
Dov’è, allora, il problema, se coach e star recitano il medesimo mantra?
Piccolo inciso: a proposito della rubrica “noi ve lo avevamo detto”:
Nash ha dichiarato anche di essere in the process da maggio. Leggete un po’ qua cosa vi scrivevamo noi a proposito del mese di maggio…
Focus stats: la difesa (parte seconda).
Nash ha anche detto, scoprendo l’acqua calda: con i giocatori che ci sono nel roster, non c’è tanto da preoccuparsi di fare canestro. Il problema è la difesa.
C’è da focalizzarsi su questo, se si vuole competere per il bersaglio grosso.
Non che la difesa sia un vulnus irreparabile, ma probabilmente ci sono aree difensive in cui occorre crescere, se possibile con i giocatori attuali, altrimenti (idea nostra) ricorrendo al mercato.
Quali sono queste aree? Ancora una volta: noi lo abbiamo già detto (sempre nel profetico numero di maggio), ma cerchiamo qualche dettaglio statistico in più.
In regular season, I Nets sono risultati decimi per defensive rating (109,2), concedendo il 44,6% dal campo e il 35% da 3. Bene, ma non benissimo, anche se il dato andrebbe letto al netto delle gare nella bolla, durante le quali i bianconeri sono risultati la diciottesima difesa su 22 squadre a causa delle troppe assenze.
Dall’arco, i Nets sono terzi per percentuali concesse sui tiri contestati, ma hanno lasciato agli avversari troppe triple wide open (venticinquesimi con ben 17,3 a partita, convertite nel 37,5% dei casi).
Il che vuol dire che la difesa sull’uomo se la cava benone, ma si pecca nelle rotazioni e nei closeout.
Le percentuali realizzative degli avversari tornano a salire vertiginosamente nel midrange e, se lasciare conclusioni in quest’area può anche essere una scelta tattica (terzultimi nella Lega per tiri concessi tra i 10 e i 19 piedi), sovente chi si ha di fronte ne approfitta (ventesimi per percentuali concesse), mentre si torna a difendere bene in prossimità del canestro (ottavi difensivamente nella restricted area).
Come leggere questi dati?
Nello stesso modo in cui lo abbiamo fatto durante l’intera stagione: la difesa sul pick and roll, soprattutto sul palleggiatore, spesso latita, perché si fatica sui blocchi; Allen e Jordan sono due splendidi rim protector, ma spesso non vanno a contestare il tiro dalla media, per scelta o per pigrizia, per cui il palleggiatore ha spazio per crearsi un buon tiro anticipando l’uscita della difesa, mentre incontrerebbe più difficoltà scegliendo di attaccare il ferro.
Il problema sorge quando bisogna difendere il post (Jordan ha stazza da vendere, ma è lento e ha minutaggio limitato), quando c’è da ruotare e/o cambiare (però va detto che Allen ha mostrato progressi sorprendenti nella bolla), sul palleggiatore e soprattutto sui blocchi. Riteniamo che il focus vada posto in queste aree, partendo, innanzitutto, dalla conferma di chi è capace.
Un Temple, ad esempio, al di là di dati statistici non eccelsi, è sicuramente uno dei migliori nella difesa sulla palla e andrebbe confermato (come da noi già detto). A lui vanno necessariamente associate le due rivelazioni assolute della stagione appena conclusa: Luwawu-Cabarrot e Chiozza sono stati i migliori della squadra per defensive rating individuale, percentuali concesse al diretto avversario e (cosa che con Nash, a nostro parere, non guasta mai e non necessariamente scollegata con il rendimento difensivo) per PACE.
Chris Chiozza può aggiungere, a tutto ciò, il più alto Net Rating di squadra e, udite udite, il fatto di essere risultato il miglior giocatore dell’intera Lega per deflections parametrate su 36 minuti di gioco!
Se è vero che il focus è la difesa, come è vero che Nash ha enfatizzato l’importanza di essere analitici per quanto riguarda la valutazione on the floor, difficile credere che non si tenga conto di tutto questo e che da questi uomini non si riparta! Cosa manca, allora?
A nostro avviso sempre un paio di role player: due all-around buoni sulla palla, di cui un lungo dalle gambe rapide che possa guardare le spalle agli altri e uscire in closeout quando Allen ha bisogno di rifiatare.
Pochi correttivi, come abbiamo sempre sostenuto, per garantire quelle aree di weakness sempre evidenziate e coprire le spalle a chi, a canestro, ci sa andare senza difficoltà.
Animali fantastici e dove trovarli.
Piccola ma doverosa premessa: non dimentichiamo mai che Sean Marks è un cacciatore dal fiuto sopraffino per i colpi a sensazione, per cui non ci stupiremmo se, qualora dovesse annusare l’odore del sangue, azzannasse una grossa preda, tuttavia tutti gli indizi (nonché le nostre convinzioni) ci portano verso altre conclusioni.
Il punto è che i Nets hanno una situazione salariale leggermente satura (con buona approssimazione si calcola che, ove i Nets ci dessero ascolto e confermassero tutti, fra due stagioni sforerebbero i 167 milioni di salario solo per i nove giocatori migliori!) per cui esistono poche, possibili piste percorribili: far ricorso alla MLE (stimata intorno ad una max di un triennale da 18 milioni), scommettere sul draft (19a scelta), puntare sul trade market.
Ci sarebbe anche l’opzione sign & trade per qualcuno dei giocatori in scadenza (Harris su tutti, anche di questo vi abbiamo già accennato), ma tenderemmo ad escluderlo: Joe Harris è (almeno a parole) la priorità assoluta per Marks e uno così, francamente, è merce talmente rara che, per privarsene, occorrerebbe incassare il colpo del secolo come contropartita.
Non lo escludiamo a priori, anzi: semplicemente lo reputiamo oggettivamente difficile, così com’è difficile trovare qualcuno all’altezza di Joe “buckets”. Almeno su questo pianeta, s’intende…
Se il draft non dovesse offrire quanto auspicato, la diciannovesima scelta al primo giro sarà potenziale merce di scambio e bisognerà che anche i più conservatori tra gli insider (cioè noi) si rassegnino a veder finire sulla bancarella i pezzi più appetibili: su tutti il nostro pupillo Spencer Dinwiddie, nonostante twitti e parli come il più bianconero della ciurma, nonostante la crescita continua, la leadership in campo e fuori, la baracca guidata da navigato condottiero ogniqualvolta la tempesta infuriasse, le svariate nomination a MIP e SMOY, il titolo conquistato allo Skills Challenge.
O forse proprio per tutto questo. 20,6 punti e 6,8 assist a partita, spesso uscendo dalla panchina, a 12 milioni rappresentano una primizia per il mercato, tanto più perché, proprio nel corso di questa stagione, SD ha saputo alzare ulteriormente l’asticella del proprio rendimento quando richiamato nello starting five… Letteralmente, la chiave del mercato.
Se, invece, contrariamente a quanto abbiamo sempre creduto, Marks dovesse tirar fuori dal cilindro una pesca sorprendente (ricordate Levert, Allen, lo stesso Claxton? Tutti scelti con una chiamata più bassa di quella del prossimo 18 novembre!), sarebbe ossigeno puro per il salary cap: trovare un rookie già pronto ad impattare nella Lega, portando il proprio contributo anche solo nella second unit, sarebbe l’ennesimo colpo di genio del GM.
Due ottimi candidati, come il fuciliere Desmond Bane e, soprattutto, il big man Jalen Smith, ala-centro di stazza e mani entrambe morbide, rim protector, ottimo gioco in post e all’occorrenza, anche capace di aprire il campo con una meccanica di tiro work in progress ma decente, si sono già dichiarati entusiasti di un’eventuale chiamata nell’esercito di Kevin Durant: sarà un caso il fatto che rispondano proprio ai requisiti da noi sopra elencati?
Un ultimo indizio: nel numero scorso di #stillawake ho prospettato l’uso di KD nello spot 4. Nash, evidentemente più preparato (che scoperta!) e più ottimista del sottoscritto sul pronto recupero del fuoriclasse numero 7, ha affermato che Durant è un giocatore totale, capace di giocare tutti i ruoli e in tutti i ruoli intende farlo giocare! Bene, anzi, benissimo!
Questo, però, significa che, se copre tutti i ruoli, in realtà non ne copre per intero nessuno e che occorre riempire le lacune con il supporting cast.
Se, come portatori di palla, c’è abbondanza, così come nel ruolo di tiratori off the ball (TLC, Johnson, Dio voglia Harris), non altrettanto dicasi in ala, dopo la partenza di Chandler per la Cina, per cui non ci stupiremmo di veder salutare qualche guardia e arrivare un lungo all-around (consigli per gli acquisti: uno come Baynes, tanto per dire, sarà UFA…).
E poi non dite che non ve lo avevamo detto!