Marks aveva preannunciato pubblicamente l’intenzione di ben figurare e competere, nella bolla di Orlando, com’è nella cultura dei Nets da quando c’è lui ai posti di comando, consapevole di avere, anche volendo, ben poche chance di lottery (visto il vantaggio già accumulato e la pochezza degli avversari diretti), ma anche di avere a disposizione un roster malridotto.
Ci ha, pertanto, pure provato a dare profondità e stazza a ciò che restava della squadra, come richiesto da coach Vaughn.
Il fatto è che, come i nostri lettori hanno ormai imparato da un pezzo, la sfiga ci vede benissimo e ha sempre gli occhi puntati al di qua del ponte: a tutti gli infortuni, le rinunce e i casi di infezione da coronavirus di cui vi avevamo ragguagliato nel numero precedente, si è aggiunta anche la positività di Prince…Restava il solo Allen come lungo vero, decisamente troppo poco per presentarsi in abiti appena decenti al gran gala di Orlando!
Ecco, allora, il massiccio ricorso al mercato di riparazione, messo a disposizione dalla Lega per riempire le rose deplete dalla pandemia e dagli infortuni; ecco, nell’ordine, arrivare l’esperienza e la classe di Jamal Crawford, la stazza di Donta Hall, il genio e la sregolatezza, soprattutto, di Michael Beasley.
Anzi, no: Beasley non fa a tempo a mettere piede nella Bubble City, che subito viene testato positivo, quindi ancora salti mortali per assicurare qualche chilo e centimetro in più ad una squadra di nani, ed ecco il ritorno di Lance Thomas, dopo la chiamata a tempo, ad inizio stagione, per sopperire allo stop di Chandler…Una frenetica corsa contro il tempo, insomma, per approfittare degli ultimi saldi e mettere insieme un vestitino appena decente. E per fortuna che han potuto trovare conferma anche i two-way contract, Jeremiah Martin e, soprattutto, Chris Chiozza, altrimenti la dea bendata, sotto le mentite spoglie della pandemia, avrebbe davvero fatto strame di ogni sforzo!
Non le migliori premesse, insomma, per rendere proficuo il soggiorno a Bubble City per la truppa di Jacque Vaughn, che continua a far fatica a tenere insieme una squadra apparentemente senza senso per sbilanciamento tra esterni e lunghi e drasticamente ridimensionata dalle assenze e dalle poche pretese dei sostituti.
Diciamocela tutta: Levert predica in un deserto fatto di guardie, tutto il peso delle scazzottate sotto i ferri sulle spalle di un giovanotto di belle speranze come Allen, un backup center pescato dal mazzo della G-League, come Hall, e un ruolo di ala forte tutto da inventare.
Jamal Crawford è un personaggio-cult della Lega e, onestamente, è un onore vederlo vestire la canotta bianconera, ma è anche un quarantenne che non giocava da tempo immemore. Il suo nome sarà sufficiente, già da solo, a meritarsi rispetto da parte delle difese avversarie e saprà certo dare un contributo dalla panchina, ma le premesse per un ruolo di secondo piano ci sono tutte…Ne parliamo al futuro prossimo perché, mentre scriviamo, J-crossover ha fatto appena a tempo a rimettere (brillantemente) piede sul parquet che si è infortunato, forse a causa della condizione fisica approssimativa e del conseguente ritardo nel condizionamento atletico.
Lance Thomas è un onesto journey-man di quelli che ad Atkinson son sempre piaciuti poco, ma che Vaughn potrebbe anche riuscire a valorizzare: discreto factotum, onesto mestierante, ormai veterano, sufficientemente incline tanto alle sportellate, quanto ad aprire il campo. Anche lui fermo dall’età della pietra, tanto che, nella sua prima apparizione a Brooklyn, non vide il campo nemmeno per un istante. Tanto è diversa la mentalità del nuovo coach ad interim che, invece, Thomas ha perfino avuto l‘onore del quintetto titolare, nelle prime due uscite ufficiali! I risultati, tuttavia, non sono stati dei migliori…Ci torneremo nel corso dell’analisi tecnica.
Donta Hall è un ripiego, ma, almeno sulla carta, un ripiego di lusso: nel numero precedente auspicavamo, per un reparto tanto bisognoso di rinforzi, una scelta Tyler Johnson-style: un rincalzo di sicuro spessore e, nel contempo, un candidato ad una possibile conferma. Marks ha scelto (non sapremo mai se fosse la sua prima opzione o se sia stato un piano B), di puntare su un atleta abbastanza simile a Jarrett Allen e con un curriculum brillante, sì, ma quasi esclusivamente realizzato nella Lega di sviluppo: non esattamente la stessa cosa. Eppure Hall ha letteralmente straripato in G-League, entrando in tutti i migliori quintetti stagionali, tanto da guadagnarsi un decadale con Detroit proprio alla vigilia del lockdown. Non darei affatto per scontato, alla lunga, un ruolo da comparsa per questo ragazzone prodotto di Alabama e undrafted l’estate scorsa, anche perché non sempre sarà possibile andare small ogni qual volta Allen prenderà fiato o si graverà di falli… Qualche numero, a dire il vero, lo avrebbe anche mostrato, se non altro per la gran voglia di fare, ma è presto per giudicare, avendo avuto solo garbage time come banco di prova…
Cronaca tecnica. Dopo aver assistito, in ciabatte ma con un filo di sgomento, alla debacle contro i Pelicans, nell’amichevole d’esordio (ma mancava pure Harris…), dopo aver ripreso fiato e speranza contro gli Spurs, entusiasti di rivedere Levert dominante, o quasi, grazie anche al rientro di Joe Harris e alla discreta forma di Allen, dopo aver navigato a vista tra luci e ombre nell’ultimo scrimmage contro i Jazz, le perplessità, al tirar delle somme, erano un tantino eccedenti, rispetto alle speranze.
Levert è una garanzia, ma dava la sensazione di muoversi sempre più a suo agio at the point e sempre meno off the ball e non è semplice capire se sia trattato solo di una nostra percezione visiva o se, in caso contrario, la sua tendenza ad accentrare il gioco sia frutto del suo progressivo sviluppo da 1 e non, invece, il suo modo di “sentire” la responsabilità di avere la squadra sulle spalle. Harris ha una lucidità una spanna sopra la media, ma mostrava una condizione ancora approssimativa e un usage ancora inferiore al dovuto. Allen era talmente solo da risultare inamovibile, ma la sua volubilità psicologica e la tendenza ad incamerare falli fin dal primo quarto preoccupavano.
Ed ho lasciato per ultime le considerazioni sullo spot 4 perché davvero le più pelose: schierare Luwawu-Cabarrot da ala grande, durante tutte le gare amichevoli, davvero ha prodotto molto poco, tra mismatch difensivi e scarsa produttività in attacco. Tanto è vero che, alla prima ufficiale, dopo aver parlato ripetutamente di smallball, Vaughn gli ha preferito Lance Thomas, un talento che splende meno della mia abat jour a mezzogiorno e che non giocava una partita ufficiale da quando ancora non mi spuntava la barba, ma almeno un 4 vero. TLC ne ha guadagnato in modo esponenziale, producendo un finale di partita off the bench da 24 punti in 21 minuti contro i Magic (unica nota lieta nella cacofonia della gara d’esordio), per poi divenire, messo in campo in modo più razionale, un terminale offensivo di tutto rispetto. Vero è, però, che il ruolo di 4 rimane drammaticamente scoperto perché la abat jour di Thomas, dopo aver brillato in apertura con un tiro da 4, si è spenta inesorabilmente (e, nelle due uscite successive, ha messo insieme la miseria di 24’).
Mi sbilancio: l’assenza di Chandler per rinuncia è la più pesante e latrice di rimpianti tra tutte quelle lamentate dai Nets in questo strano finale di stagione.
Nella prima uscita ufficiale i Nets hanno toccato il fondo e, di fronte al facile allungo di Orlando, il linguaggio del corpo trasmetteva chiari segnali di sconforto e sfiducia. I Magic hanno strappato il velo, peraltro piuttosto sottile, alla signora realtà, scoperchiando, sul volto dei Nets, un gigantesco “vorrei, ma non posso” e mettendo a nudo la pochezza dell’attuale roster bianconero: difesa scarsa e undersized, attacco Levert-dipendente, drammatica mancanza di alternative, scelte fino a quel punto quantomeno opinabili.
Ne cito qualcuna:
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scarso impiego di Temple, il cui apporto è, invece, sempre prezioso in termini di circolazione e leadership;
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precoce rinuncia a Levert da PG e ripiego su Johnson, finora apparso inadeguato (meriterebbe più spazio in uscita dai blocchi e meno pretese di costruzione del gioco). Vero è che Clifford ha difeso il pick and roll proprio cercando di mettere Levert fuori gioco, perfino azzardando una sorta di box & one nel secondo quarto e lasciando Vucevic in attesa, a sporcare la linea di passaggio per Allen e pronto a scivolare in corridoio; ma è vero anche che, lontano dalla palla, il numero 22 non ha reso, anzi ha finito per sembrare un giocatore “normale”, non più in grado di fare la differenza;
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Allen è parso un pesce fuor d’acqua soprattutto sui cambi difensivi sul perimetro (una delle chiavi dello strappo decisivo dei Magic), ma anche in attacco, dopo un ottimo primo quarto, perdendo drammaticamente il confronto con Vucevic quanto a uso dei blocchi lontano dalla palla: che fine ha fatto il suo senso della posizione, che fine ha fatto il suo intelligente raddoppio in post, visti subito prima del lockdown?
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Kurucs ha mostrato flash interessanti, come da noi preventivato nel numero precedente, dimostrando la sua capacità di rendersi utile e sparigliare le difese schierato da stretch five, ma sembrava irrimediabilmente destinato alla second unit: ci siamo domandati, a più riprese, se non fosse il caso di rispolverarlo anche come 4, almeno in condizioni tattiche favorevoli.
La gara con i Wizards, pur non entusiasmando, ha fornito alcune risposte alle nostre perplessità: Temple ha continuato a vedere il canestro come la cruna di un ago, ma non ha perso la fiducia, difende e ha sempre i movimenti giusti per la squadra; Kurucs è andato troppo spesso fuori giri, ma lo abbiamo visto in campo al fianco di Allen e la squadra ne ha giovato (+/- positivo); Chiozza è uscito dalla panca e lo ha fatto alla grande, risultando un fattore quando schierato con lo smallball: a tratti, davvero un bel vedere; Levert ha trovato una dimensione anche lontano dalla palla, soprattutto schierato in post, dove ha fatto davvero ciò che ha voluto contro un pur positivo Troy Brown Jr.
Ha acquisito una tale fiducia ed un tale controllo, da saper, poi, palla in mano, fare a pezzi l’avversario in un ultimo quarto dominante. Harris ha tirato fuori una prova-monstre delle sue, determinante anche in chiave difensiva: questi Nets non possono, semplicemente, fare a meno di lui, pena la mancanza di variazioni sul tema, monocorde, dell’asse Levert-Allen. Resta il dramma della difesa (Bryant ha passeggiato, contro Allen), restano i limiti tecnici, ma, a conti fatti, non si poteva chiedere molto di più.
E di più, invece, abbiamo visto (ci stiamo ancora stropicciando gli occhi!), contro i dominatori della Conference, i Bucks: lasciati a riposo poco più che precauzionale tutti i migliori, i Nets sembravano carne da macello, contro Antetokounmpo e soci. Sembrava la stessa strategia che abbiamo visto adottare da Atkinson contro Milwaukee negli anni passati: riposo per i migliori e si va incontro al proprio destino…Invece Vaughn ha avuto il fegato di mandare in campo l’ennesimo starting five nuovo di zecca, scegliendo smallball e difesa a zona per lunghi tratti di gara e conducendo quasi dall’inizio alla fine.
Vero, i Bucks sono comodamente primi, con pochi stimoli e hanno tenuto in panchina il greco e gli altri titolari per tutta la ripresa, ma resta una gara giocata in modo impeccabile, sporcando palloni e passaggi, in difesa, tirando rapidamente e con fiducia, in attacco, e mostrando la faccia feroce. Abbiamo visto Donta Hall fare a sportellate con Antetokounpo e spingerlo via come un navigato trash talker e Justin Anderson addirittura schiacciargli in faccia…
Personalità e cuore da vendere, per una squadra che non finisce mai di stupire e di trovare soluzioni nuove spremendo davvero sangue dalle rape. Peccato, davvero, che Crawford abbia spiegato pallacanestro per pochi minuti, prima di fermarsi per uno stiramento tendineo (forse era ancora troppo presto, per tornare in ritmo partita…), ma se, come sembra, anche Temple sta tornando sui suoi livelli, siamo certi che potremo ancora divertirci un po’, prima di salutare Bubble City…
Tre sensazioni, in chiusura. Si, la chiudiamo qui, perché ci piace l’idea di rimandare al prossimo numero il resoconto definitivo dell’esperienza in Bubble City, sperando che sia la più lunga e positiva possibile.
La bolla di Orlando, lo sapevamo dal principio, era e resta una gara a due (a meno che, nella prossima sfida con Orlando, i Nets non compiano un altro miracolo), tra i Nets e i Wizards, a chi riesce a sfigurare meno: lo scontro diretto ha praticamente messo in ghiacciaia la qualificazione dei Nets ai playoff e non era scontato, nelle condizioni date. Obiettivamente, erano le due squadre presentatesi con meno qualità e più rappezzate alla ripresa della regular season: sapranno, i capitolini, fare il miracolo e strappare il passi ai bianconeri? Difficile, lo era già in partenza, ma dopo lo scontro diretto appare quasi impossibile, anche perché, diciamocela tutta: rinunciare alla lottery per farsi cucire un cappotto dai Bucks, con le temperature agostane, non credo faccia gola a nessuno. Tant’è che i Wizards continuano a perderle tutte, rendendo pressoché indolore la batosta subita, mentre chiudiamo l’articolo, nella seconda del back-to-back ad opera dei Celtics…
In questo strano e irripetibile finale di stagione, chi ci sembra si stia giocando di più a Disneyworld pare proprio Vaughn: alla luce di quanto visto finora, le parole di Marks (“Jacque non verrà giudicato in base a vittorie e sconfitte”), appaiono sibilline e lasciano intendere che il GM fosse conscio di presentarsi alla guerra armato di uno stuzzicadenti. Rinnoviamo l’idea già espressa nel numero di giugno: Bubble City ci pare destinata a testare l’inventiva, le capacità di adattamento e di cambiare in corsa da parte dell’interim coach.
Su questo, Vaughn ripone le sue (secondo noi, ancora poche) chance di un rinnovo da capo allenatore. Se così fosse, va detto che alcune buone idee stanno venendo fuori, eccome: le gerarchie cominciano a delinearsi, vengono fatte scelte anche coraggiose (vedasi la decisione di tenere fuori tutti i migliori nell’improba sfida ai Bucks), il gioco sembra finalmente prendere forma. La sensazione è quella di volersela giocare sempre, con ogni mezzo possibile. Nel prossimo numero tireremo le somme di un’annata nata sotto una buona stella (anzi, due) ma cresciuta balorda e chiusa portando a casa, probabilmente, un sei politico, però davvero con questi chiari di luna ci si può aspettare di tutto… Stay tuned!
Marco Calvarese
Edito by Frank Bertoni