Alla crisi non sembra esserci fine in casa Olimpia Milano. Quantomeno non si vede un moto convinto di rifiuto alla condizione attuale di mediocrità, tecnica ed emotiva insieme. Solo una passiva accettazione di una realtà che sembra ripetersi uguale a se stessa negli anni, salvo qualche lampo individuale isolato.
Questa versione di Milano è piatta come in passato, per letture del gioco e per capacità di adeguare il proprio piano-partita iniziale rispetto a quanto sta accadendo sul parquet. Non riesce a imporre, continuamente rincorre un avversario che si presenta al Mediolanum Forum con le idee ben chiare su cosa fare e dove colpire.
Oggi contro il Khimki niente di estremamente complesso, partendo dalla consueta consegna della squadra, chiavi in mano, ad Alexey Shved. Chiara la conseguente scelta difensiva milanese: raddoppio sistematico nel tentativo di costringerlo a dare via il pallone, possibilmente poco dopo i primi secondi del possesso.
Peccato che tutta la difesa collassi con eccessiva facilità sul lato della palla, concedendo praterie lontano dalla stessa. Gioco da ragazzi, per il fenomeno russo, ribaltare per mettere in ritmo i compagni già nel primo quarto. Ovvero il contrario rispetto a ciò che qualsiasi avversario vorrebbe contro il collettivo di Kurtinaitis.
Il primo a raccogliere la sua chiamata alle armi è Jonas Jerebko, attore protagonista ben più di quanto possa risultare dalla pur ottima doppia-doppia da 16 punti e 12 rimbalzi.
Osservandolo da bordo campo, si ha la chiara impressione di una leadership vocale totalizzante, presso compagni, arbitri e allenatore (eloquente un “we got it” rivolto al coach durante il terzo quarto, dopo un deciso e ripetuto invito al tagliafuori su due tiri liberi della squadra di casa). In pratica, va a riempire l`unica mancanza storica di Shved ed è proprio una figura del genere che il front office del Khimki desiderava, in estate, per lanciare il suo guanto di sfida al Cska Mosca in patria.
Tornando ai ragazzi di Messina, invece, colpisce anche il ricadere negli stessi errori che li hanno condannati non più tardi di sabato scorso. Anche questa volta infatti, si arriva al punto di non ritorno del -12 incaponendosi nella ricerca della scorciatoia, chiamata perimetro, per uscire dalle sabbie mobili.
Per quanto ci possano essere le responsabilità del coach, non possono essere eludibili i limiti di comprensione del gioco da parte di diversi elementi, su cui diventa difficile capire i margini di intervento.
Kaleb Tarczewski, anche stasera encomiabile per dedizione a una battaglia da combattere praticamente senza scudo, passa minuti a fare su e giù per la metà campo offensiva a portare blocchi, senza la speranza di ricevere palloni giocabili in un pitturato comodamente presidiato da Booker e soci.
Prima ancora, aveva tentato di fare breccia Arturas Gudaitis, senza energia e convinzione sufficienti a produrre un impatto apprezzabile sulla contesa. Involuzione sempre più preoccupante e luce in fondo al tunnel che nemmeno si scorge per il lituano, arma però fondamentale nella corsa allo scudetto.
Il lituano è anche emblema di una fatica collettiva, per giunta abituale, nei frangenti in cui la difesa avversaria riesce a frapporre corpi tra gli esterni milanesi e il canestro. Questa incapacità di produrre risposte credibili e durature alla fisicità altrui diventa sentenza inappellabile in ambito europeo, oltre che indicazione chiara in vista della prossima stagione.
L`aspetto che mi ha lasciato più perplesso, tuttavia, è un altro e consegna un paio di quesiti idealmente rivolti a Ettore Messina: perché tentare una lunga e difficile rimonta con un quintetto che vedeva, contemporaneamente sul parquet, giocatori come Rodriguez, Sykes, Della Valle e Micov, ovvero un insieme di non-difensori senza attitudine né fisicità per strappare ai russi il pallino del gioco, fin lì ben saldo nelle loro mani?
Perché, in seconda battuta, insistere anche di fronte alla evidenza del legno duro, che non stava particolarmente dando sostegno? Per un coach che ha sempre fatto della “difesa prima di tutto” un mantra, oltre che un paradigma identitario, perché prendere un indirizzo abbastanza azzardato, che suona quasi come uno sconfessare se stesso?
Volendo entrare maggiormente sul piano individuale, alcuni elementi avevano il body language di chi ci sta provando senza crederci particolarmente, mi vengono subito in mente Sykes, Roll e Brooks.
Perché, allora, partire con Cinciarini e dimenticarselo in panchina nello sviluppo di entrambi i tempi? Perché nemmeno un secondo concesso a Paul Biligha il quale, seppur non stia vivendo un momento facile, era in possesso di esuberanza fisica e atletica che avrebbe potuto rappresentare un elemento di discontinuità contro certi quintetti proposti da Kurtinaitis? Perché, infine, non si è provato un assetto con il doppio centro, magari nel momento in cui si è cominciato a sparacchiare dal perimetro nel terzo quarto?
Di certo non starò qui a dire che tali ipotesi, se messe in pratica, avrebbero sicuramente cambiato le sorti dell`incontro, con i se e con i ma non si è mai fatta la storia e lo staff tecnico di Messina ha tutte le competenze e le informazioni a disposizione per trovare le cure ai mali biancorossi.
Alla luce dell`oggi, però, viene da pensare che non abbia senso pensare ad alcun obiettivo, in questo momento. Sebbene sia eloquente affermarlo alla fine di febbraio, Milano deve trovare una identità di qualsiasi tipo, prima di imbastire una ricerca del risultato.
Francesco Sacco
@sacco94