Inizia il conto alla rovescia e non stiamo più nella pelle: la stagione alle porte sarà quella della rivoluzione, dei nuovi assetti, gerarchie, equilibri e nulla sarà più come prima. Oppure no? Come siamo soliti ribadire sempre, a questo punto della (pre)stagione, roster alla mano, tutte le opinioni, purché ben motivate, hanno pari dignità e, credeteci, ne abbiamo lette di ogni, anche apparentemente bislacche, allo scopo di colpire l’immaginario, distinguersi, avere una chance di dire “visto? Noi lo avevamo detto!” in esclusiva.
Non ci piacciono i ranking: troppe variabili impazzite durante la stagione possono stravolgere tutto e avventurarsi in graduatorie solo sulla base delle rose costruite in estate sa più di NBA2K o di album delle figurine, che di basket giocato: la chimica conta e il basket è un gioco di squadra, forse lo è per eccellenza, dunque restiamo umili e vi indicheremo non i vincitori della prossima stagione (qualche idea ce l’abbiamo, ma non è originale…), né i nostri “flop”, ma ci concentreremo su quelle che riteniamo le più sottovalutate e che, invece, potrebbero dare fastidio oltre le aspettative.
Non senza uno sguardo d’insieme sulle franchigie più in e più attese, of course: le opinioni vanno bene e lavoriamo per questo, ma il dovere di cronaca ci chiama e noi rispondiamo sempre!
L’Est. La Eastern Conference annovera la detentrice del titolo che, per la prima volta dai tempi dei Celtics dei big three (era sostanzialmente un altro basket!), non è la squadra di LeBron James. Tuttavia i Toronto Raptors hanno le sembianze della stella cadente, bella ed effimera, se è vero che hanno vinto strameritatamente, sì, ma in un anno un po’ particolare, in cui Leonard è passato da Toronto per parcheggiare un anno, in attesa di poter andare dove voleva (Los Angeles), il prescelto è finito in una squadra un po’ complicata, sostanzialmente nel guado, e la dinastia dei Warriors ha iniziato la sua parabola discendente soprattutto a causa degli infortuni che ne hanno pesantemente condizionato le Finals (nessuno, e dico nessuno, può rinunciare a KD e KT senza pagare dazio!). Sostituito Leonard sostanzialmente con nessuno, i canadesi riconsegneranno lo scettro oltreconfine e, a meno di clamorose esplosioni a la Siakam, difficilmente competeranno per i primi tre posti in regular season.
I Sixers fanno paura! Perdere Butler e restare competitivi non è facile, ma occhio, perché hanno aggiunto un certo Al Horford e, con Josh Richardson, han messo su un longball potenzialmente devastante (se è vero che Simmons inizierà anche a tirare da tre punti, sono da titolo, sapevatelo!). E i Bucks partiranno col vantaggio della continuità, se sapranno assorbire senza troppi contraccolpi la dipartita di Brogdon: no, non riuscirete a strapparci nemmeno uno spicchio di ranking, non saremo noi a dire che queste due somigliano alle prossime finaliste!
L’astro nascente è, senza ombra di dubbio, quello dei Nets, ma li vedremo difficilmente in cima alla classifica finale, nell’anno del pit stop di Kevin Durant: la squadra è profonda ed ha un notevole potenziale offensivo, ma non sembra una ammazzasette, adesso come adesso. Se, però, dovesse fare il definitivo salto di qualità Caris Levert, al fianco di Irving, ci sarà da divertirsi (per chi volesse approfondire sui bianconeri, c’è l’ultimo numero di #stillawake fresco di uscita, con tutto, anche le virgole, sui Brooklyn Nets!).
I Celtics e i Pacers sono due enormi punti di domanda, ma non possono essere sottovalutati: i primi hanno perso Horford e Irving, sostituendoli con Kanter e Walker e d’accordo, nessuno mi convincerà mai che sia la stessa cosa, ma Stevens è una garanzia e chi ruota attorno a loro sembra incarnare perfettamente il mantra dei ruoli liquidi professato dal coach…e se la chimica sopperisse al calo tecnico? I secondi sperano di ritrovare Oladipo in tempo per la stagione che conta, ma intanto hanno individuato in Brogdon e Lamb due sostituti niente male. Il frontcourt è potenzialmente devastante, se solo dovesse trovare la quadratura tra le sue punte di diamante e dietro c’è da costruire un modo di giocare un tantino diverso, ma cavoli, se dovesse funzionare? E se Detroit (Rose, Morris e Snell in più e Casey in panchina!) e Orlando (invariata, aspettando che Fulz finisca di fare la muta) crescessero ancora?
La underrated dell’Est. Per distacco, i Miami Heat! Occhio a questi, che hanno sfiorato i playoff la scorsa stagione già solo col canto del cigno di Dwyane Wade e che, quest’anno, hanno aggiunto il tigre Jimmy Butler nel motore! Ennesimo colpo a sensazione del mai banale Pat Riley, un combattente che non ha mai accettato di mollare un attimo, né come coach, né, adesso, come proprietario. Con lui, Miami è la San Antonio della Eastern Conference: non si cambia linea mai, non si smantella per ricostruire mai, non si rinuncia a competere mai! Ecco, allora, l’estensione di Erik Spoelstra fino al 2025, un altro che ha davvero ben poco da dimostrare e che, invece, lo scorso anno si è reso artefice dell’ennesimo mezzo miracolo, con Dragic fuori più di mezza stagione! Ecco la dolorosa perdita di Josh Richardson (doppiamente dolorosa, essendo andato a rinforzare la concorrenza), ma anche l’approdo in Florida della All Star attesa a raccogliere il testimone di Wade. L’incontro tra una franchigia stabile e calorosa e un giocatore difficile ma dalla forte personalità potrebbe essere deflagrante: finalmente Butler è il leader riconosciuto, come desiderava, va a rafforzare un sistema difensivo già solido, potrebbe trovare intorno a sé la chimica giusta, tanto più dopo la cessione della zavorra tecnica Assan Whiteside, la classica addiction by subtraction. Butler è uno dei giocatori più clutch della Lega e, con un sano Waiters, con le aggiunte di Herro (che ha stupito in Summer League) e Meyers Leonard, il solito Olynyk e un ritrovato Dragic, potrebbe aver risolto anche il controverso rapporto con la dimensione del tiro dalla lunga. Il tutto in una Conference che, tolte quattro o cinque squadre, potrebbe anche non opporre strenua resistenza ad un nuovo “colpo di calore” di Miami. Ci sbilanciamo per loro, stavolta!
L’Ovest. Qui il discorso si fa complesso per davvero, perché non c’è ombra di superteam, ma ci sono svariati squadroni con dignità di contender e la moda delle coppie di superstar ha attecchito ovunque. La menzione d’onore (ma non è un ranking, sia chiaro!) spetta alle losangeline: i Lakers sono riusciti a coronare l’inseguimento a Anthony Davis e la coppia con LeBron James è fisicamente e tecnicamente inarrivabile. Doverosamente collocati in cima alla lista delle pretendenti al titolo, i dubbi concernono gli equilibri di una squadra costruita intorno a loro con quello che si poteva raccattare: Rondo non è mai un nome trascurabile, ma Cousins, atteso da tempo immemore al rilancio, ha un ginocchio in tremendo disordine e sarà fuori a tempo indeterminato. Al suo posto, Dwight Howard, altro nome altisonante ma per via degli echi del glorioso passato e poco più. Javalone McGee farà il suo, Kuzma non deluderà, è solo da vedere quanti margini di crescita abbia ancora, ma ci piace; Green è il re dei role player, Bradley e KCP ottimi gregari… Il punto è la differenza tra i due assi e il resto della truppa, come la preseason sembra aver, finora, sottolineato (chiedere ai cinesi e ai Nets). Molto da lavorare per Vogel, per non deludere le aspettative e reggere la pressione.
Un lavoro anche migliore han fatto i cugini Clippers, solidi intorno al giganteggiare di due potenziali MVP: Leonard e George, insieme, con Beverley in regia, significa il backcourt difensivamente più forte della storia della pallacanestro, sulla carta. Il tutto, senza scalfire l’arma letale della panchina, fondata sull’asse Williams-Harrell. In mano a Doc Rivers sta roba fa veramente paura…
La coppia d’assi più spettacolare ma anche più complicata al mondo la mette insieme Houston, ricomponendo il duo Harden-Westbrook. Non siamo tra quelli che si lasciano andare alla facile ironia sull’esigenza di due palloni in campo, perché giocatori di questo calibro, se si mettono in testa di vincere, il modo di convivere e giocar bene insieme lo trovano: D’Antoni può non piacere (confesso di non essere il suo primo tifoso), ma non è l’ultimo arrivato, da Gordon a Tucker a Capela, son rimasti un po’ tutti e si sono aggiunti anche alfieri non indifferenti, come Sefolosha, McLemore e Tyson Chandler: cosa manca ai Rockets per rivendicare la palma di favoriti?
I Jazz viaggiano su ritmi sostenuti e tutt’altro che sincopati: nessuno può sottovalutare una squadra da semifinali di Conference che aggiunge Conley e l’ultima versione di Bojan Bogdanovic; Denver ha dalla sua anagrafe e continuità, essendo rimasta la stessa… E poi, insomma, la coppia europea di Dallas, i giovanotti di Sacramento, e gli Spurs, quelli che non mancano mai agli appuntamenti che contano, ma chi se la sente di darli per spacciati?
Occhio a… Sembrerà assurdo, ma di fronte al mercato delle losangeline e perfino a quello dei Jazz, o all’hype pazzesco che ruota intorno ai Pelicans di Zion (sta dando già spettacolo in preseason e, intorno a lui, stanno iniziando a girare bene anche i sacrificati da LeBron: che non fossero proprio delle schiappe, lo avevamo largamente detto…), i Golden State Warriors sono spariti dai radar degli spacciatori di ranking e dei bookmakers! E noi diciamo: occhio! Perché nessuno può attraversare indenne il fuoco della Gehenna appiccato dalla partenza di Durant e dall’infortunio di Thompson. E, lasciatemelo dire con rispetto e deferenza, anche dall’addio al basket di Livingston. Ma nessuno mi toglie dalla testa che i Warriors, superatleti o meno, siano soprattutto una macchina sistemica e che, anche con i pezzi di ricambio, se ben oliata, non cesserà di funzionare. Se, poi, il ricambio ha il nome di D’Angelo Russell, ovvero il floater più dolce e poetico che io abbia mai visto, e se la panchina chiamata a dare respiro ai titolari aggiunge Cauley-Stein e Chriss, per dirne due ancora in attesa di fare il salto di qualità, mi viene da pensare che il monarca sarà stato pure deposto, ma che abbia ancora tanto da dire anche in una forma di stato pur tanto diversa e più democratica, come sembrerebbe essere la Lega del prossimo futuro. Da verificare la tenuta difensiva, d’accordo, ma vi immaginate cosa può combinare Steph in uscita dai blocchi quando la palla arriverà dalle mani magiche di Russell? Flavio Tranquillo avrà ancora tanti motivi per gridare di piacere, prepariamoci…
La underrated dell’Ovest. Può accadere, nel patinato mondo della NBA, che una squadra che veleggia da anni, indisturbata e senza grosse flessioni, tra le prime della classe, che ha dato prova di maturità fino a raggiungere le finali nella Conference più ostica, che ha saputo confermare i suoi pezzi più pregiati e potenziarsi ancora, sparisca dai riflettori e continui ad essere trattata da media e siti specializzati come una qualsiasi contendente per i playoff. Può accadere, se i nomi di grido, a coppie, si sono accasati altrove. Può capitare se hai fama di franchigia sfigata e perdente e non hai un mercato di grido alle spalle. Se ti chiami Portland Trail Blazers, insomma… Eppure qualcuno deve ancora spiegarmi cosa diavolo hanno i Blazers meno delle altre contender! Due superstar incredibili e che hanno giurato eterna fedeltà alla bandiera dell’Oregon, una delle quali seria candidata al titolo di MVP, una squadra funzionale e che, a mio modesto parere, ha investito oculatamente, rafforzandosi ulteriormente, con un occhio anche al futuro. E, categoria non secondaria, nella tempesta di mercato appena conclusasi, punto fermo nella sua lucida continuità, con una chimica di squadra già pronta. Persi Turner (esperimento mai del tutto riuscito), Seth Curry e Aminu (questi sì, sottrazioni più corpose), sono arrivati un giocatore più versatile e saporito del parmigiano (Bazemore), una potenziale promessa dal draft (Little), non scontata, vista la chiamata non altissima a disposizione e proprio quel Whiteside che, fuori dal contesto tossico di Miami, potrebbe ritrovare la verve degli esordi, così come aveva fatto anche Kanter pochi mesi or sono.
In un contesto simile, gente come Zack Collins o Anfernee Simmons potrebbe esplodere, magari proprio quest’anno. Il tutto, non lo dimentichiamo mai, in attesa che torni un certo Jusuf Nurkic, uno dei miei giocatori preferiti, uno di quei centri moderni capaci di tutto se al top, secondo me perfino più del celebratissimo Jokic! E badate: i Blazers sono arrivati in finale senza di lui…
Facile, direte voi, puntare su Butler, su Curry e su Lillard per rivendicare la primogenitura di un pronostico! Ma anche no, vi rispondiamo noi: primo, perché non di pronostico trattasi, bensì di umile richiesta di spostare, o per lo meno allargare, la luce della ribalta su realtà maldestramente semioscurate. Last but not least perché, se tanto facile era, poteva benissimo pensarci anche qualcun altro! Opinioni che vogliono solo alimentare il dibattito e aiutare a trascorrere dieci minuti di (si spera) piacevole lettura chi, come noi, non resiste al richiamo della NBA.
Ma tranquilli: manca poco perché il pranzo sia servito. Voi non avete fame?