Milano, 13 ottobre 2019 – Nemmeno il tempo di godersi il fondamentale successo sui lituani dello Zalgiris Kaunas in Euroleague che per la neonata Olimpia di Coach Ettore Messina è tempo di un nuovo esame.
Al Mediolanum Forum di Assago arriva una Happy Casa Brindisi reduce dal brillante successo casalingo sulla Germani Basket Brescia e con il grande desiderio di portare a casa uno scalpo eccellente, forte di una compattezza di squadra costruita intorno alle proprie eccellenze in termini individuali, John Brown e Adrian Banks su tutti.
I due assi americani non hanno certamente mancato l’appello di Coach Frank Vitucci, il quale non poteva nemmeno immaginare, forse, di spaccare la partita nei primi tre quarti grazie alla irreale prestazione nel tiro da fuori del proprio centro Tyler Stone.
Il ragazzo visto all’opera con Cantù la scorsa stagione eè stato infatti autore di 6 triple su 8 tentativi, ma anche la causa di una serata da incubo per Kaleb Tarcewski e Luis Scola con il suo pick and pop, che ha portato i due lunghi milanesi lontano da canestro e su un terreno a loro poco gradito, scoprendo Milano sotto il proprio tabellone a rimbalzo (saranno 10 le carambole offensive conquistate dagli ospiti alla sirena finale).
Se la squadra pugliese ha avuto il merito di impostare la partita su un ritmo piuttosto alto fin dai primi possessi, l’Olimpia le ha agevolato il compito e non poco. Esattamente come già accaduto contro Brescia, lo starting five biancorosso si rende protagonista di un avvio morbido, andando in sofferenza contro il pressing avversario e perdendo palloni banali utili solamente a scatenare il contropiede altrui. Questo è un problema che continua ad attanagliare Ettore Messina nonostante le variazioni di formazione (oggi dentro subito Moraschini in luogo di Roll), e che va certamente risolto perché partire rincorrendo impedisce di imporre il proprio ritmo alle gare e ti espone alle atipicità di squadre italiane meno strutturate dal punto di vista fisico e tecnico, ma in possesso di peculiarità che possono entrare sotto pelle e condizionare i 40 minuti di gioco.
Così è stato oggi: Milano non è stata in grado, per tre quarti, di portare la partita nel pitturato in modo da esplorare gli indubbi vantaggi che il suo roster offriva. Solo negli ultimi 7-8 minuti è riuscita a innescare Vladimir Micov spalle a canestro in maniera produttiva, accoppiato spesso a uno Zanelli a tratti commovente nel tentativo di limitare i danni, ma senza alcuna arma da opporre.
Prima di allora, i 28 volte Campioni d’Italia hanno subito la partita studiata a tavolino da Brindisi, che ha si sfruttato il talento innato dal palleggio di giocatori come Adrian Banks e John Brown e tirato a lungo con percentuali irreali, ma ha anche dimostrato la capacita’ di isolare Sergio Rodriguez, a tratti apparso uomo solo in missione come Kobe Bryant nella edizione delle Finals NBA contro la Boston dei Big Three al Garden.
Il tema è inevitabile in casa biancorossa: la prolungata rieducazione di Nedovic e il sopraggiunto infortunio muscolare di Shelvin Mack hanno prosciugato all’osso le rotazioni sugli esterni. Messina sta alternando Cinciarini e Moraschini in cabina di regia ma in emergenza senza trovare, al momento, un filo logico in grado di fornire sostegno e continuità a quanto si produce grazie alla fantasia del playmaker spagnolo vincitore in Eurolega con la maglia del CSKA Mosca, al culmine della passata stagione e nemmeno una scossa dalla panchina alla quale eravamo abituati dal Capitano nelle sue stagioni nel capoluogo lombardo. Apatia non è condizione che appartiene al numero 20, ma al momento ha ancora bisogno di digerire la pallacanestro di Messina.
La coperta è corta e appare tale dando uno sguardo anche al contributo proveniente da altri reparti: White compie un altro passo indietro dopo i segnali incoraggianti mostrati nella partita di venerdì. L’energia sprigionata attaccando i recuperi lituani sul perimetro non si è vista e ci ha messo poco ad andare fuori fase di fronte alle conclusioni post-up di John Brown.
Luis Scola ci fa dimenticare della sua carta d`identità in virtù di una classe senza tempo, ma inevitabilmente vive e vivrà serate in cui dovrà pagare dazio alla mancanza di tempo di recupero tra i vari impegni di un tour de force cui le squadre di Euroleague devono fare fronte. Chiedergli di cambiare su Stone oltre la linea dei 6,75 era oggettivamente troppo per lui oggi. Personalmente mi sarei aspettato un maggior coinvolgimento di Christian Burns dopo la prestazione positiva offerta contro Trieste, specialmente nel momento in cui Messina ha varato un quintetto undersized nel terzo quarto. Ci torneremo a breve.
Altro elemento dal quale è lecito attendersi una maggiore continuità su standard elevati è Micheal Roll. Vero è che al Maccabi Tel Aviv si è reso protagonista nella veste di sesto uomo di qualità, condizione che rivedremo con il ritorno di Nedovic probabilmente, ma le sue difficoltà emerse nelle ultime partite contro la zone-press sorprendono, pensando alla esperienza e conoscenza del gioco che non manca alla guardia uscita da UCLA. Non fa altro che complicare la ricerca di un luogo-tenente di Sergio Rodriguez o, almeno, di una seconda fonte di gioco nel sistema biancorosso.
Siccome soprattutto dalle peggiori sconfitte si ricavano spunti che, alla lunga, possono risultare anche decisivi in una stagione, lo staff tecnico milanese può isolare e conservare gli ultimi 10 minuti della partita odierna.
Che sia stata la mossa del “o la va o la spacca” o meno, la zona vista nell’ultima parte del match, con Paul Biligha e Jeff Brooks nella parte degli stopper vicino al ferro, ha propiziato la rimonta milanese, frutto del parziale 28-18 che ha riportato a un possesso la banda di Messina, prima che le perse la condannassero nuovamente. Soprattutto, ha costretto Brindisi ad abbandonare gli automatismi che la avevano condotta alla fuga spingendola a dover ragionare senza trovare tiri comodi nei primi secondi del possesso. Forse oggi non il primo pregio degli attaccanti di razza a disposizione di Vitucci?
Laddove lo scorso anno si era anche sentito dire che la zona fosse difficile da allenare, per mancanza di tempo e di allenamenti spesi in palestra tra i giocatori, nuovi o meno che fossero, chissà che non si riveli essere elemento di discontinuità, una risorsa, anche durante partite di peso specifico decisamente superiore. Anche perché una cosa sembra essere già chiara: una Olimpia che attacca in campo aperto, con Sergio Rodriguez a spingere la transizione, si schiude orizzonti ben differenti.
Photo by Simone Lucarelli
Francesco Sacco