Dongguan (CHN), 11 settembre 2019 – Data infausta, se ce n’è una, per gli USA, che salutano il mondiale con, in tasca, il solo biglietto di consolazione per Tokio 2020. Troppo poco per non essere delusi ma, a ben vedere, l’avversaria si chiamava Francia e si è dimostrata più forte, più squadra, più volitiva e risoluta. Il punteggio finale, 89-79, non fa una piega, benché non renda l’idea delle emozioni e dell’andamento sincopato della gara; converrà, pertanto, entrare nel dettaglio, perché gli Stati Uniti fuori dalla zona medaglie fanno comunque notizia e meritano qualche spiegazione.
Il primo quarto, per ritmi e similitudini, ha l’architettura di una biblioteca in cui le squadre si studiano. È un confronto allo specchio tra difese aggressive sul palleggio e con il lungo schierato in contenimento, attacchi votati al palleggio, arresto e tiro appena ricevuto il blocco, con Mitchell (29 punti e unico davvero all’altezza della situazione al momento del dunque) e Fournier (22 con 4/8 dall’arco: a tratti, una sentenza!) sugli scudi fin da inizio partita. La sfida tra lunghi, con Gobert e Turner che si scambiano sportellate, pende subito dal lato francese, con il centro di Indiana gravato di due falli dopo spiccioli di partita e Lopez, costretto a subentrare, che cicca un po’ l’esordio in campo. Le rotazioni premiano, tuttavia, gli USA, con Smart che favorisce spaziature e mette canestri importanti, ma lo smallball scelto dal Pop nel finale di tempo paga dazio al tap-in di Gobert, che impatta a fine parziale (18-18).
Il buzzer sui 24” di De Colo e il gioco in low post dei lunghi francesi firmano il vantaggio francese alla riapertura (27-22 al 13′), mentre gli americani, finora, non beneficiano del quintetto piccolo, finché Brown non esegue un numero in arresto tra le linee francesi, con and one annesso.
La 2-3 transalpina segnerà il corso del parziale. Gli USA la attaccano come possono, affidandosi ancora a Mitchell, l’uomo della provvidenza. Il problema, però, resta mettere argine all’asse Fournier-Gobert: il primo è semplicemente mortifero appena ricevuto il blocco; il secondo domina a rimbalzo in attacco, punendo ancora in tap-in, nonostante il rientro di Turner o l’ingresso, nel finale, del solito Plumlee, punito appena accenna l’uscita sul palleggio sbagliandone il tempo. I galletti toccano il +8, Mitchell, sempre lui, in p&r, limita i danni col buzzer: 39-45 all’intervallo lungo e seri grattacapi per Popovich, che ancora rovista nel borsello in cerca della chiave per la difesa francese. Mancano velocità di esecuzione e la circolazione di palla va a sprazzi, per gli USA, ancora aggrappati al match solo grazie ad un Mitchell da 15 punti. Fronteggiare questo Gobert, inoltre, è ancora un rebus su ambo i lati del campo: i suoi 3 rimbalzi in attacco, tutti convertiti, spiegherebbero perfino da soli il gap tra le due squadre all’intervallo.
Dal terzo quarto la gara assume un andamento non più lineare e cambia volto a più riprese: Gobert e Fournier maramaldeggiano contro lo starting five americano, che proprio non riesce a cambiare passo. La Francia tocca la doppia cifra e sembra avere la partita in pugno, finché Popovich non chiama in azione lo smallball, la match up e le conclusioni anticipate dall’arco. Alzandosi ritmo ed intensità, la Francia sembra fare tilt, resta a galla con un paio di circus shots del solito Fournier o l’ennesimo tap-in di Gobert, ma non riesce a contenere il ritorno degli avversari, che passano clamorosamente avanti e chiudono a +3 un parziale bifronte (66-63).
Escono dalla pausa Walker, Smart, Harris, Middleton e Barnes e l’inerzia del match sembra ormai definita, benché Smart inizi a litigare col ferro dalla lunetta. Gli USA toccano il +7 e pare fatta, ma il provvidenziale timeout di Collet dà frutti: torna in campo Gobert (clamoroso 21+16 con ben 7 carambole offensive!), la Francia rivede, finalmente, il centro area, garantendo, così, maggiori spazi sul perimetro; gli USA non hanno cambiato strategia, ma soffrono le difese alternate francesi e commettono un paio di topiche difensive, prima dormendo su un airball e concedendo l’ennesima seconda chance, poi scegliendo male il tempo sui cambi di marcatura, garantendo spazi insperati a Fournier: la gara cambia volto di nuovo e la Francia vola a +4 a 3′ dal termine (80-76).
Qui, quando ti aspetti fosforo da cotanto staff tecnico, arriva il peggior finale, forse, della storia della nazionale statunitense, in cui Walker e compagni riescono a sbagliare di tutto: ancora 0/2 ai liberi per Smart, testarde penetrazioni solitarie nel traffico per Barnes e Walker, irritante e capace di gettare alle ortiche anche uno dei liberi che avrebbero potuto riaprire i giochi a un minuto dalla sirena, perfino una linea di fondo calpestata da Middleton con in mano una tripla piedi a terra.
E, giustamente, una squadra capace di dominare entrambi i pitturati con il miglior difensore al mondo (Gobert), con una mente come De Colo (18), un marpione come Batum e un cecchino della portata di Evan Fournier, ha fatto tesoro di tanta miseria cestistica e neuronale e punito, con la pazienza ed il mestiere dei campioni, ogni singolo errore difensivo.
Si qualifica e vola in semifinale la Francia semplicemente perché più forte.
Gli USA abdicano al trono e tornano a casa con un fardello di interrogativi e di critiche, ma staccando, se non altro, il pass per il torneo olimpico dove, giocoforza, saranno tutt’altri i campioni destinati a raccoglierne il bisunto, scivoloso testimone.