Esordio vincente tutto sommato comodo per gli Stati Uniti al mondiale cinese, contro una discreta Repubblica Ceca che prova ad opporre un ottimo Satoransky (17+5), la presenza fisica di Balvin e il 44% complessivo dai 6,75, ma nulla può contro lo strapotere offensivo degli americani. C’è partita per poco più di un quarto di gioco, poi gli USA volano in doppia cifra e non si guardano più indietro, guidati da Walker e lanciati da quattro uomini in doppia cifra.
Il piano partita ceco consiste nel raddoppiare sulla palla rallentando i ritmi degli avversari, nel costringerli a forzare conclusioni o isolamenti, nel costruire mismatch in attacco cercando di sfruttare le doti in drive della guardia dei Bulls o la stazza sotto canestro. Ne viene fuori un quarto di apertura farraginoso e pieno di errori, con le difese che prevalgono sugli attacchi; quella ceca, in particolare, alternando zona e uomo, tiene gli statunitensi ad un modesto 1/6 dall’arco. Gli uomini di Ginzburg mettono anche la testa avanti (7-11 a metà parziale), ma Popovich inizia la sua ampia girandola di rotazioni optando per un quintetto piccolo o piccolissimo (con Barnes, autore di 14 punti, schierato da pivot) e riesce a sporcare le linee di passaggio avversarie, chiudendo in vantaggio (17-14).
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Tatum è il primo dei suoi ad andare in double digit (10 punti, tutti nel primo tempo), ma mostra esitazioni non indifferenti nella propria metà campo, sulle quali infierisce una volpe come Satoransky; motivo per cui, non infrequentemente, Joe Harris (9 punti e il miglior +/- della gara: +19) lo sostituirà nel corso del match. La mossa si rivela fruttuosa fin da subito: alzata l’intensità difensiva, gli USA iniziano a correre, facendo saltare i piani cechi e toccando rapidamente la doppia cifra di vantaggio, al 13′. Il risultato non sarà più in discussione e ci sarà spazio per un paio di giocate da accademia del solito Kemba Walker (13+4), in particolare un arresto in penetrazione fronte a canestro con finta di step back, cambio di passo e conclusione sottomano, a fine primo tempo, che manda in visibilio il pubblico di Shangai (43-29 all’intervallo).
Alla ripresa dei giochi, ennesima opzione difensiva della Repubblica Ceca, che tenta una zone press a tutto campo, fatturando qualche palla recuperata. Gli USA, però, danno la sensazione di essere in pieno controllo e di poter allungare ogni volta che decidono di alzare l’intensità, soprattutto difensiva, per poi colpire con le ripartenze. Si accende anche Donovan Mitchell (16) e la nazionale stars & stripes tocca il ventello al 28′ (66-46). Da qui in poi, sarà garbage time, benché molto piacevole e vada dato atto ai cechi di profondere il massimo impegno fino alla sirena.
Popovich pulisce la panchina, facendo vedere il parquet anche a Plumlee, apparso troppo lento su ambo i lati del campo e l’unico fuori ritmo. Gli avversari ne approfittano punendo dal pick and roll e con una serie di triple, con Bohacik (13, 3/5 3P%) sugli scudi, che tiene, giustamente, lo scarto entro una cornice di presentabilità. Finisce 88-67 tra gli applausi per tutti i contendenti. Meritati: la sconfitta, per Satoransky e compagni, ci sta ed era in preventivo, ma tatticamente la squadra c’è.
Per quanto riguarda Team USA, luci ed ombre e qualche indicazione sulle strategie di Popovich:
– difesa rivedibile, soprattutto negli automatismi e nei tempi di aiuti e rotazioni, e qualche impaccio nell’affrontare la zona, espediente tattico che vedremo spesso, con ogni probabilità, nel tentativo di arginare lo strapotere atletico degli americani;
– ampio ricorso al turnover per centellinare le forze e arrivare in forma e con meccanismi ben rodati al momento caldo del torneo: l’abbiamo visto nei test match di avvicinamento al mondiale e ancora lo vedremo nelle fasi a girone;
– uso frequente dello smallball, in parte per scelta tattica, in parte anche per i limiti strutturali della nazionale, messa insieme con chi ci stava, più che davvero selezionata dal Pop;
– le spaziature la chiave di volta dei (possibili) successi di questa selezione: avere in campo da tre fino a cinque tiratori non battezzabili, tutti in grado di cantare o di portare la croce accettando tutti i cambi grazie alla taglia fisica soprattutto degli esterni e attuando le tre minacce da qualsiasi posizione del campo. Abbiamo visto lungamente in campo insieme Walker, Mitchell, Tatum (o Harris), Middleton (o Brown), Barnes (o Lopez): tiratori, passatori e attaccanti interscambiabili e immarcabili. Dai successi di questa opzione tattica passeranno molte delle speranze di triplete nordamericane.
Aspettiamo Team Usa alla prova di avversarie più competitive, a partire dalla prossima uscita, dopodomani, contro la Turchia, in una riedizione in tono minore della finale del 2010.