Stretti tra le Finals in corso d’opera e le più disparate voci di mercato, quello di maggio è il numero più difficile e distopico di #stillawake, perso tra ipotetici universi paralleli disegnati dalle ricorrenti o fantasiose ipotesi di mercato. Navighiamo a vista, come tutti, in un mare di rumors, cercando di individuare i più credibili o, male che vada, suggestivi, senza la presunzione di essere depositari di alcuna verità, ma con la voglia, propria di qualsiasi appassionato, di aprire una discussione e la certezza, quello sì, di conoscere a menadito la storia e il pensiero di Sean Marks. Da qui a riuscire a prevedere le sue mosse, però, ce ne corre parecchio…
Dunque corciamoci le maniche, cercando faticosamente di mettere insieme in modo credibile le mille tessere del mosaico scomposto, Dio solo sa come, da quel geniaccio di Marks, ma senza perdere mai di vista la cronaca, cercando di leggere tra le sue pieghe sottili qualche verità nascosta. Con lui bisogna fare così, altrimenti le sue strategie resteranno inintelligibili…
Addio, Crabbe! E niente: quando pensi di essere a buon punto, ad articolo quasi chiuso, ecco il solito Wojnarowski con la bomba, ecco la prima tessera del domino che cade: Allen Crabbe fa le valige e porta il suo contrattone da 18 milioni ad Atlanta, infiocchettato con la diciassettesima scelta di quest’anno e la chiamata al primo giro (protetta 1-14) del prossimo. In cambio arrivano una seconda del 2021 e, soprattutto, Taurean Prince, rocciosa ala tiratrice all’ultimo anno del suo rookie contract! E ci vediamo costretti a resettare e ricominciare da capo… Questa è la NBA, e #stillawake è come la NBA: non dorme mai!
Ci torneremo a breve ma, in attesa di ulteriori sviluppi e siccome nulla ci sfugge, eccovi anche il succoso backstage!
Figli di un dio minore. In un paio di mosse apparentemente di secondo piano, lo staff dirigenziale dei Nets sopperisce alla partenza di Trajan Langdon (volato a NOLA per esordire da head GM) con la firma di due giovani professionisti in qualità di assistenti di Sean Marks: Peterson e Birdsong, entrambi nati come scout per gli Hawks (ai tempi in cui Atkinson giostrava in Georgia da assistant coach), con il secondo poi trasferitosi a San Antonio alla scuola di Buford (la medesima di Marks). Morale della favola: i Nets hanno acquisito tanto rispetto e stima per il lavoro di coaching e scouting, da perdere pezzi per strada, appetiti dalle altre società. Morale n.2: se i nuovi arrivati non sono l’ennesimo segnale di continuità, suggerite voi cos’altro pensare!
Al lavoro e alla lotta! I cestisti, a maggio, si dividono in due categorie: quelli impegnati nelle Finals e tutti gli altri in vacanza, in attesa di conoscere i propri destini in FA o, semplicemente, a godere il (più o meno) meritato riposo. Questo, almeno, fino a qualche tempo fa, perché, oggi, c’è una terza categoria, quella degli stacanovisti, che lavorano fin da subito per migliorarsi ancora. I Nets, pressoché in blocco, rientrano tra questi, anzi: primeggiano! Notizie fresche danno, infatti, ben sette giocatori regolarmente insieme sul parquet, a cui vanno aggiunti Spencer Dinwiddie, al lavoro col suo personal trainer nei sobborghi di Los Angeles (vicino casa), nonché la testimonianza di video e tweet che ritraggono Russell e Harris impegnati in sessioni di tiro fino a notte fonda e perfino durante un tour promozionale in Spagna, in occasione dei playoff ACB! Al di là del fatto che molti di loro sono in scadenza, un bel segnale di coesione e di introiezione della cultura del lavoro e dei piccoli (ma continui) passi dispensata da Marks e Atkinson fin dal giorno del loro approdo al di qua del ponte.
Pochi ricorderanno il mensile di aprile, nel quale prefiguravo (auspicandola) una offseason strategicamente votata alla continuità ed ai continui miglioramenti, senza colpi di testa e salvaguardando, anzi custodendo gelosamente, il core, giovanissimo e con margini di miglioramento ancora non quantificabili, del roster della stagione appena conclusa: the progress, appunto, secondo la felicissima definizione, ormai corrente, del new deal bianconero. Beh, al netto di tutti i rumors di maggio, ma a mente lucida, non ho affatto cambiato idea: tenere uniti gli intoccabili e aggiungere dove serve, senza avventurarsi in sfiancanti inseguimenti a certe superstar ed al loro egocentrismo, col rischio di non riuscire a calarli nell’atmosfera di Brooklyn senza alterare gli equilibri di sistema faticosamente costruiti in tre anni e, soprattutto, al prezzo di dolorose rinunce di cui doversi pentire. D’Angelo Russell ha ripagato la fiducia di Brooklyn facendosi carico della squadra e portandola in post-season contro ogni pronostico; Levert si è visto tarpare le ali da quel tremendo infortunio, prima e dopo il quale, tuttavia, ha urlato con prepotenza la sua voglia di emergere e fatto cose che lasciano sognare. Sicuri che a Brooklyn servano due star?
La cronaca, per quanto scarna, io la interpreto così: tutti hanno voglia di proseguire sulla medesima rotta, di non sfasciare il giocattolo, di continuare a lavorare divertendosi; tutti vorrebbero restare; la società sembra muoversi secondo le logiche di sempre; nessuno sembra sbracare o sbrodolarsi alla ricerca di scorciatoie di recente, sinistra memoria.
Ma…c’è un grosso ma. E, tuttavia, non ci si può girare dall’altra parte se un fuoriclasse vuole giocare con te. Il nodo della questione, quello che sta facendo vacillare e, chissà, rivedere i piani societari, in fondo, sta tutto qui: nessuno avrebbe scommesso un cent sul raggiungimento dei playoff la stagione scorsa. Ottenuto un simile risultato, messi insieme record fino a dicembre inoltrato ancora impensabili, portato Russell all’ASG, fatto di Dinwiddie un serio candidato a sesto uomo dell’anno, di Harris il miglior tiratore al mondo, di Levert una stella nascente già in grado di splendere di luce propria, di Allen il re delle stoppate, messa insieme la seconda miglior panchina della Lega, costruita una fama inespugnabile di franchigia seria e di staff tecnico invidiabile, forti di una logistica che non teme confronti e di una fetta della Grande Mela alle spalle, i Brooklyn Nets sono divenuti, quasi loro malgrado e alle porte della free agency più appetitosa che sia dato ricordare, una delle destinazioni più ambite dai giocatori più forti, quasi tutti, il caso vuole, pronti a sondare le offerte proprio adesso! Più che una coincidenza, un segno del destino che farebbe tremare i polsi e schizzare gli ormoni perfino ad un santo…
Sotto, dunque, con le superstar, in fila ordinata per bussare alla porta di Sean Marks col cappello in mano (più o meno)! La bussola è tutta nelle sue mani: come rebuilder, ormai, non ha più nulla da dimostrare, avendo trasformato una franchigia alla deriva, senza speranze e senza scelte disponibili, in una squadra da playoff. Adesso è chiamato al next step: fare dei Nets, nel giro dei prossimi due anni, una contender per il titolo. Sfida ciclopica che passa per la cruna stretta di questa free agency, più unica che rara per numero di stelle in cerca del proprio firmamento. Non saprei dire se sarebbe più delittuoso passare avanti senza neppure provarci, oppure rinunciare a ciò che si è costruito finora, o a parte di esso, per una o due superstar. Il giusto, probabilmente, come spesso accade, sta nel mezzo e non sarà per nulla facile, soprattutto qualora ci fosse del vero nelle indiscrezioni che vorrebbero KD sulla strada per Brooklyn (ipotesi rilanciata da Stephen A. Smith) o Klay disponibile, a sua volta, a trasferirsi all’ombra del ponte (terza destinazione più probabile secondo certi bookmaker). Ovviamente senza dimenticare Tobias Harris, stella indigena ma già approdata ad una contender…
Se, però, volessimo fare una scrematura della ridda di indiscrezioni e desiderata dei tifosi, per orientarci nella succitata selva, occorre individuare dei punti cardinali e affidarsi al navigatore neozelandese. Proviamoci insieme, giochiamo un po’, ferma restando la caducità delle nostre opinioni e dell’orizzonte dipinto in un mese interlocutorio come maggio.
L’ago magnetico. In un mercato tanto ricco come quello che si profila quest’anno, l’ambizione del salto di qualità ha un prezzo e i Nets non avrebbero avuto contanti per pagarlo senza liberare altro spazio salariale. Gli occhi di tutti noi, come riportato nel numero di aprile, erano da tempo puntati sul contratto dopato di Allen Crabbe: era questo, l’ago della bussola (“la pietra angolare del mercato”, la testuale autocitazione) senza il quale nulla avrebbe potuto funzionare. La franchigia ha saputo muoversi in anticipo, chiarendo al mondo intero, fin da subito, le proprie intenzioni bellicose e lanciando un segnale forte e chiaro a tutta la Lega: non solo i Nets sono al tavolo da gioco, non solo hanno le carte giuste per andare a “vedere” (come dimostrato meritandosi i playoff), ma, adesso, hanno anche le fiches per rilanciare. Tutti dovranno fare i conti con Brooklyn.
Il rendimento di Crabbe, nel corso dei due anni in canotta bianconera, non ha nemmeno lontanamente ripagato il sontuoso valore del suo contratto: lento a carburare ad inizio stagione, discontinuo nel rendimento, facile agli infortuni come pochi altri. 18 milioni sono tanti, troppi, per un ventisettenne peraltro fatto e finito. Averlo spedito ad Atlanta val bene la spesa di due prime scelte non altissime, anche in ragione delle potenzialità del neo-arrivato: Taurean Prince ha 25 anni e sembra il sostituto naturale di Demarre Carroll, più giovane e tiratore, sia pur ancora lontano dal QI del veterano in scadenza. Sembra il classico acquisto low risk-high reward, se si pensa al suo rookie contract all’ultimo anno e alle sue caratteristiche fisiche e tecniche, apparentemente tagliate su misura per il sistema di Atkinson.
Ma ciò che più conta è aver liberato tanto spazio salariale (Woj stima circa 46 milioni) da averne, ora, per tentare l’assalto al cielo! E potrebbe anche non essere finita qui…
L’ago è, ora, destinato a vibrare tra i quattro punti cardinali entro i quali Marks dovrà orientarsi alla ricerca della retta via.
Il nord. È verosimile che il nord della bussola dei Nets rimanga, ancora e nonostante tutto, la rifirma di D’Angelo Russell, per le ragioni da noi già elencate e la manifesta voglia di restare e continuare a crescere (solo un cieco non vedrebbe gli ulteriori margini!). I soldi, adesso, non mancano, ma…
Voci insistenti danno almeno quattro franchigie sulle tracce del leader bianconero. Non è dato sapere se le voci siano generate automaticamente dal motore di ricerca delle squadre a caccia di una PG di livello o se, invece, siano la punta dell’iceberg di trattative sommerse ma già avviate. Il mercato, a questo punto, farà il prezzo: se le pretendenti aumentano, sarà un attimo arrampicarsi fino ad un contratto massimale e, a quel punto, delle scelte si imporrebbero alla società. E il richiamo degli altri cantoni della rosa dei venti si farebbe più forte…
Il sud. L’altro polo irrinunciabile del mercato bianconero non può e non deve essere nient’altro che uno stretch four, e valido, anche: capace, cioè, di alzare da subito la qualità del gioco offensivo senza disdegnare il lavoro in low post e a sostegno di Allen nella battaglia sotto le plance. A memoria d’uomo, è il ruolo più scoperto nello scacchiere bianconero e non può restare tale a fronte delle crescenti ambizioni di Brooklyn. E, qui, ne abbiamo sentite di ogni, ma i nomi ricorrenti sono quelli di Tobias Harris o, in alternativa, Julius Randle. La terza via, quella di una selezione della pedina giusta al draft, sembra sfumare definitivamente scivolando alla chiamata numero 27: un Kuzma, per intenderci, non capita ogni anno e, per molto meno, c’è già un Kurucs in casa, capace di mostrare flash di pura sfacciataggine fin dal suo esordio. Realisticamente, è difficile immaginare un lungo capace di incidere fin da ottobre, avendo perso la 17. A meno che…(un po’ di pazienza).
L’est. Il vento dell’Est ulula incessante il nome di Kyrie Irving! La superstar, data da tutti in sicura uscita da Boston, ove ha deluso (solo lui?) le aspettative degli esigenti tifosi biancoverdi, sembra aver ristretto la rosa delle destinazioni gradite a Brooklyn e Los Angeles, sponda LeBron (reunion che avrebbe un fascino disarmante e tutto americano, non ce lo nascondiamo). Più passano i giorni, a dire il vero, più piovono indizi che vorrebbero il fuoriclasse con il numero 11 già in volo verso Brooklyn: l’acquisto di una casa nella contea natia (in New Jersey, a due passi dal ponte…), gli avvistamenti (in parte smentiti) in esclusivi club di Brooklyn (di proprietà di Jay-Z…) in compagnia di alcuni giocatori bianconeri, buon ultimo il solito tweet di Wojnarowski, che definisce “seria” l’intenzione di Irving di accasarsi al Barclays. Mai sottovalutare i tweet del guru…
L’ipotesi ha il fascino indiscreto e pungente della rivalsa, se si pensa che Irving avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni di Ainge, la ciliegina su una torta i cui ingredienti provenivano, per intero, dalla nefasta e famigerata trade del 2013, sulla quale i Nets erano caduti in trappola mentre i Celtics hanno edificato un progetto con l’unico obiettivo di tornare ad infilarsi l’Anello al dito. A distanza di soli sei anni, invece, quel progetto sta per dichiarare default e la ciliegina sembra in procinto di finire a Brooklyn, e con l’obiettivo di vincere. Nemesi, se ce n’è una!
Uno come Irving, tra i migliori attaccanti e palleggiatori sulla piazza, potrebbe affiancarsi a Russell e costituire la versione orientale degli splash brothers: scenario intrigante, ma non scevro da dubbi sulla compatibilità tra due point guard entrambe innamorate della palla, con relativa propensione ad insistere nel palleggio e non proprio eccelse nella fase difensiva. Oppure (e noi siamo tra i primi a crederlo) potrebbe implementare il fascino dei Nets agli occhi di altre star di prima grandezza in cerca di una nuova casa ed è, a nostro avviso, questo, molto più del suo talento innegabile ma un po’ bizzoso e solipsista, a far pendere l’ago della bilancia (e, chissà, della bussola di Marks) verso il suo nome. La connection con Kevin Durant è sulla bocca di tutti da tempo, se si pensa che la coppia, fino a ieri, era data, sì, già sulla strada per New York, ma verso la sponda Knicks! Sembrerebbe, dunque, profilarsi un derby, una Guerra del ponte di dannunziana memoria, per firmare i due campioni e puntare dritto ai vertici della Conference: la beffa, in un sol colpo, ai danni di Celtics e Knicks varrebbe, per i tifosi, tanto oro quanto pesa, dopo anni di sofferenza e derisione.
Ecco: di fronte a questo scenario ma, soprattutto, di fronte al nome di Kevin Durant, deviare dalla traiettoria della continuità e della pazienza sarebbe non solo legittimo, ma perfino auspicabile, quasi naturale. L’ora delle decisioni dolorose sembra essere dietro l’angolo, ma è sempre meglio non mettere il carro davanti ai buoi. A un Durant in bianconero sarà bene credere solo quando lo vedremo e non sarà un fotoshop…
L’ovest. Chiudiamo con la pista occidentale, meno battuta, per adesso, ma non meno intrigante per la catena di ripercussioni che ne potrebbero discendere. E assolutamente sensata, per quanto dolorosissima. È notizia di pochi giorni fa che Phoenix abbia dichiarato la propria disponibilità a scambiare la sesta scelta assoluta di quest’anno con una point guard veterana, ritenuta, a ragione, indispensabile per gli equilibri dei Suns (Booker è stato chiamato a fare pentole e coperchi, quest’anno). Subito è stato fatto il nome di Dinwiddie e, leggendo le pagine social legate alla franchigia dell’Arizona, sembra incontrare gradimento.
Vista con la lente del manager, tutto tornerebbe: Anthony Puccio, pundit molto addentro e quotato nelle vicende Nets, ha subito twittato l’interesse dei bianconeri a scalare il draft. Marks, che ha pescato Allen alla chiamata numero 20 e LeVert alla 22, ha senz’altro i numeri per far fruttare al top una chiamata così alta, che a Brooklyn non si è mai vista. La disponibilità a restare di Russell e ad arrivare di Irving spinge il ruolo di Spencer un po’ ai margini dei piani futuri. Inoltre c’è ampia disponibilità di esterni al draft; di lunghi forse un po’ meno e tuttavia, una volta rimossi dai libri contabili anche gli oltre 10 milioni annuali di SD, si aprirebbero scenari interessanti per il completamento del roster e, forse, chissà, per l’agognata ala tiratrice. Facile prevedere l’apertura di un tavolo, i cui sviluppi, resterebbero, però, decisamente imprevedibili, anche per via della concorrenza.
Ovvio che, per chi, come noi di #allaround.net, primi in Italia a dedicare un intero articolo alla storia sportiva del prodotto di Colorado, sarebbe un tuffo al cuore, ma, come ripetono meccanicamente e malinconicamente i giocatori nelle interviste, we know it’s eventually a business, ed è difficile credere che Marks disdegni di battere anche questa pista.
A due settimane dalla notte del draft, è facile immaginare innumerevoli cambi di scenario ma, ad oggi, questo è il quadro.
Rischiare di perdere Russell e Dinwiddie e di prendere Irving e Durant (o anche altri di simile livello tecnico): un doloroso dilemma, quello che aspettiamo con ansia di dirimere nel prossimo mensile. Ma quanto è bello esserci? Quale tifoso non vorrebbe un simile dilemma? Non si tratta, forse, di essersi guadagnati l’invidiabile status di traguardo, e non più di tappa, anche per i migliori sulla piazza? Non è, questa, la più gradevole delle win-win situation? Porta a casa anche solo uno stretch four in più, Sean, e il mercato avrà già il segno positivo. E se poi…
Tanti, troppi se. Ci salutiamo, però, con un’unica certezza: i Brooklyn Nets, insieme a poche altre concorrenti, saranno tra i protagonisti della offseason e, grazie al lavoro di Sean Marks, tra i più attesi sul parquet, tra quattro mesi. Alzi la mano chi lo avrebbe detto, anche solo sei mesi fa…