È un accostamento cinematografico ardito e (ne sono consapevole) un tantino azzardato, tuttavia #stillawake è un mensile che si nutre di emozioni notturne, prima ancora che di cronaca e cifre: vivendo nottate bianche per assistere alle imprese dei Nets nel mese di aprile, non ho potuto fare a meno di provare le stesse emozioni suscitatemi dal capolavoro di Sorrentino: la meraviglia per la fotografia, che coglie lo splendore del palazzo, le atmosfere disincantate e decadenti trasmesse dagli interpreti, il bisogno di riscatto del protagonista, attraverso un mix scanzonato, naif, epicureo e un tocco di spiritualità e follia.
Il mese di aprile segna precisamente il momento del riscatto dei Nets dalla propria recente decadenza, legittimando la rivendicazione degli antichi fasti attraverso una squadra scanzonata, fresca, nata dall’incontro tra il genio e la follia, la cultura ed il lavoro, trovando le forze dentro sé stessa, senza artifizi, senza pick e senza colpi sull’acceleratore del mercato.
Il sogno si è fermato dove, obiettivamente, non avrebbe potuto andare avanti: i playoff sono ancora un osso troppo duro da rodere per certi denti decidui ma, intanto, la bandiera bianconera è stata piantata sul suolo lunare, senza mezzi termini e con pieno merito: ci sono tutte le premesse perché resti a sventolarvi per gli anni a venire e perché, anzi, chi verrà dopo la brandisca per portarla ancora oltre, alla conquista di nuovi scenari.
Non ripercorreremo tutte le tappe della rinascita targata Sean Marks e Kenny Atkinson: siamo presenti sul web, con cadenza puntuale, fin dall’inizio del percorso e non ne sentiamo il bisogno.
Ci preme, invece, raccontarvi come aprile abbia segnato la svolta sul piano mentale e delle prospettive future: aprile 2019 è il campo base al quale i Nets fanno tappa per acclimatarsi all’atmosfera rarefatta della post-season, per poi lanciarsi alla conquista delle cime più alte. Qui ed ora occorrerà far tesoro di tutto quanto appreso finora e lavorare con slancio per la prossima ascesa.
La cronaca. Ci eravamo lasciati, nel numero precedente, alla vigilia di due must win games contro squadre sulla carta fuori portata, Bucks e Pacers. Prive dei rispettivi condottieri, d’accordo, ma pur sempre bestie nere contro le quali i Nets, fino a quel momento, erano parsi privi di difese. “La personalità e la faccia feroce necessarie in queste sfide sono, precisamente, la misura della distanza tra i ragazzi di Atkinson e il sogno della post-season”, avevamo chiosato: è esattamente quella misura, che i Nets hanno saputo colmare. Prima gestendo il vantaggio costruito con la difesa del perimetro, le rotazioni e il binomio Russell-Levert, resistendo senza perdere fiducia e trama del gioco al ritorno prepotente, a suon di triple, di Milwaukee; poi, a Indianapolis, con una superba prova corale e con le guardie a dettare lo spartito, ma anche dominando a rimbalzo, con piglio autoritario, dettando la legge forse non del più forte, ma sicuramente del più motivato. Con gli occhi giusti per raggiungere il proprio traguardo, con la determinazione di chi pretende ciò che gli spetta, ciò che merita. Poco più che una passerella, la chiusura contro gli Heat, in cui il Barclays si è vestito a festa, sì, ma non per vivere, come paventato, un drammatico spareggio, bensì per celebrare il ritorno nell’élite del basket e per rendere i dovuti omaggi a Dwyane Wade, alla cui ultima partita in carriera abbiamo avuto l’onore di assistere.
Poi… la magia dei playoff. Sembra una vita, letteralmente, da quell’ultima comparsa in post-season, contro Atlanta, da quel tiro dall’angolo di Deron Williams che ballò dentro e fuori e che avrebbe potuto cambiare il corso della serie. E sembra si stia parlando di un’altra storia, di una franchigia diversa: la miseria di 38 vittorie e l’ottavo posto acciuffato per i capelli, una piazza senza entusiasmo, una squadra evidentemente al crepuscolo, l’inizio della traversata nel deserto. Per trovare un’espressione sportiva più lontana da quella coniugata dai Nets di quest’anno, dovremmo ricorrere al dizionario dei contrari.
L’entusiasmo bianconero, oggi, è invece una marea che non accenna ad abbassarsi e travolge tutto ciò che incontra sul proprio cammino, in gara-1, a Philadelphia, dove la difesa impartisce una lezione a Brown e ai suoi, dove Simmons sbatte contro un muro e si fa male, dove la palla la si lascia finire nelle mani di Embiid lontano dall’area e si marcano a vista i potenziali terminali avversari, asfissiando il gioco dei Sixers e costringendoli a forzare. Ed Davis supplisce all’immaturità difensiva di Allen (quattro falli personali in 9′) in modo esemplare, sfoderando una prova sontuosa (12+16), creando non pochi grattacapi a Embiid e rivelandosi determinante. Purtroppo i Nets hanno, evidentemente, ancora un conto aperto con la dea bendata, perché Davis subisce un infortunio che ne condizionerà le gare successive, fino a costringerlo al riposo (primo fattore decisivo nell’economia della serie); il tutto mentre Levert (23) inizia la sua cavalcata, che lo qualificherà come l’MVP bianconero del mese di aprile e dei playoff. Scoppia, inoltre, la querelle Dudley-Simmons, una provocazione, quella del veterano dei Nets riguardo alla qualità di gioco della giovane star avversaria, che finirà per rivelarsi controproducente.
Gara 2 viene, infatti, dominata dai padroni di casa e dallo stesso Simmons, giocando duro, governando il pitturato e trovando poca resistenza. Non basterà la solita panchina a rimettere in discussione la partita, mentre iniziano a pesare le prime difficoltà di Russell, cui Brown dedica le migliori attenzioni, e di Harris, sparito nel corso dei playoff (secondo fattore), silenziato grazie alla gabbia costruita intorno alla fonte del gioco ed alla marcatura ad hoc. Si infuoca, intanto, il clima tra le due squadre, sulla scia delle risatine di scherno di Simmons e di Embiid a seguito della gomitata (meritevole di espulsione) rifilata dal #21 a Jarrett Allen.
Al Barclays si consuma l’atto decisivo della serie, quello che sancisce in modo definitivo l’obiettiva superiorità di Philadelphia. In gara 3, in particolare, emerge dirompente la maggiore esperienza e varietà di soluzioni dei Sixers, capaci di ripensare sé stessi alla luce dell’assenza di Embiid attraverso un sapiente gioco di spaziature atto a liberare i micidiali JJ Reddick e Tobias Harris al tiro. La superiorità fisica è stata convertita, da Brown, in supremazia sui blocchi su ambo i lati del campo (terzo fattore). Atkinson non troverà di meglio che riproporre zona e smallball per risalire la china, ovvero le solite, disperate per quanto generose, risorse: troppo tardi e, soprattutto, troppo poco, in post-season.
Il cuore, tuttavia, non fa difetto ai ragazzi bianconeri, non è un mistero. Gara 4, quella che, di fatto, mette il sigillo sul passaggio del turno, sarà encomiabile, ai limiti della perfezione, forse la prova più matura, “da playoff”, sfoggiata da Brooklyn. C’è dentro tutto: finalmente gli aggiustamenti tattici, a partire dallo starting five, con il lancio di Levert, prezioso al fianco di Russell per togliere punti di riferimento a Brown e bucare la difesa del fortino pitturato, e di Dudley, semplicemente perfetto nelle rotazioni, commovente nella difesa in low post… fino alla rissa. Era nell’aria, cercava solo una buona scusa, ed è arrivata a seguito di un duro scontro di gioco: fuori Dudley e Butler. A posteriori ed a freddo, ne hanno fatto le spese i Nets: indisponibile Davis, espulso Dudley, Embiid e soci, in area, non hanno più trovato ostacoli, materializzando la rimonta nell’ultimo quarto.
Ora, però, non datemi dell’antisportivo se lancio una provocazione: vengo da decenni di passione per la NBA e, vent’anni fa, un free-for-all come quello di gara 4 sarebbe stato archiviato come ordinaria amministrazione. Oggi no, ed è bene così. Detto questo, però, dal punto di vista psicologico e della crescita del gruppo, tenere testa ai più grossi e maturi avversari, guardarli negli occhi e non arretrare di un millimetro, andava fatto. Punto. Inutile nascondersi che, se il tempo dei bad boys è superato, sia pur sottotraccia, il trash talking e lo scontro duro restano il pane quotidiano, soprattutto ai playoff e, tra i giocatori, sono ancora la cifra del rispetto: lo guadagni anche così. Le multe incassate da Marks e Tsai, colti in flagrante nel fare quadrato intorno alla squadra, ci dicono, sia pure tra i denti e tra le righe, che anche la società la pensa come me.
Game over: gara 5, a quel punto, era una formalità. Dispiace che i Nets non l’abbiano, praticamente, assolta, ma ci sta, e non inficia il giudizio positivo su quanto visto in campo e fuori, da parte di una squadra di quasi-rookie assoluti, contro una legittima contender, in odore di finali di Conference, zeppa di stelle e costruita per provare a vincere subito. Brooklyn è tornata. Questo è il significato profondo di questa partecipazione ai playoff, insperata ma sudata e strameritata. Brooklyn c’è, legittimamente, sul mercato dei FA, ove nessuno più sarà disposto a snobbare i sondaggi di Sean Marks. C’è, con altrettanta legittimità, in post-season, sul parquet, ove il bagaglio di esperienza impacchettato quest’anno ha un valore difficilmente stimabile in soldoni, oggi, ma che sarà monetizzato nelle prossime edizioni.
E adesso? Adesso è già tempo di programmazione. Molti hanno definito l’offseason alle porte come la più importante della storia dei Nets. Tanta enfasi da rischiare di sconfinare nel fuori luogo, eppure non si è molto distanti dalla realtà: i Nets riavranno, dopo cinque anni, la propria scelta al draft, finalmente mondati dal peccato della Trade con cui regalarono il proprio futuro ai Celtics. Avranno anche la prima dei Nuggets e la seconda dei Knicks, frutti generosi delle strategie di mercato di Sean Marks. Chiamate alla 17, alla 27 e alla 31 da cui ci si aspetta tanto, ma che possono anche, all’occorrenza, essere usate come preziosa merce di scambio, in vista di un Draft molto ricco. D’altro canto, i Nets si affacciano alla free agency di luglio non solo forti di un discreto gruzzolo (questo c’era anche la scorsa estate), ma anche di un’immagine ampiamente rigenerata e del ruolo di contender per i playoff, a fronte di un’offerta di superstar e ottimi giocatori degna delle annate migliori. E, tuttavia, con numerosi nodi contrattuali da sciogliere.
Nets payroll. Nel dettaglio: Russell e Hollis-Jefferson (RFA), Davis, Dudley e Carroll sono in scadenza, Levert e Harris entrano nel loro ultimo anno di contratto, Crabbe ha appena esercitato la sua sontuosa player option, Graham ha un non garantito per il prossimo anno, Napier entra, invece, in team option. Vanno, inoltre, a scadere i buyout di Howard, Faried e Monroe, ma restano sul groppone gli ultimi 5,5 M del buyout di D-Will. In teoria, il payroll di squadra ammonta a circa 73 M garantiti, con un salary disponibile oscillante tra i 40 e i 50 milioni di dollari. In teoria…
In pratica, evasa l’antipatica ma necessaria pratica del capitolato, resta da analizzare e provare a leggere, sempre, doverosamente, tra le righe e col beneficio di inventario, la strategia di Sean Marks per il futuro, a partire da conferme e addii, prima di lanciarsi in voli pindarici sui Durant e i Leonard del caso.
The progress. Da quando è arrivato a Brooklyn, e perfino nella conferenza stampa di fine stagione, Marks non ha mai cessato di predicare prudenza e pazienza. Tra mille difficoltà, ha trasformato un terreno arido e desertico in un orto botanico che sta dando i primi, succosi frutti. Tra colpi di genio (come la trade che portò Carroll, con due scelte, in bianconero), errori (la firma di Allen Crabbe a quelle cifre, da lui stesso determinate mediante l’offer sheet dell’estate precedente), incredibile capacità di scovare talento (vedansi le firme di Dinwiddie e Harris e le pesche di Levert e Allen: le fondamenta del futuro gettate su G-League e scelte numero 20 e 22: può bastare?) e scommesse pazzesche (Russell, rinunciando alla bandiera Lopez e alla chiamata di Kuzma), ha costruito, letteralmente dal nulla, una realtà destinata, se ben gestita, a veleggiare ai vertici della Eastern per gli anni a venire, vista la giovane età dei suoi pretoriani.
Oggi, con un giocattolo tanto bello quanto fragile e precario (mezza squadra in scadenza), si è di fronte ad un bivio e occorre decidere il da farsi. Kevin Durant è sul mercato, così come Tobias Harris e Julius Randle, solo per citare il ruolo di stretch four tanto agognato. Ma ci saranno anche Kemba, Kyrie, Klay, oltre ad un’infinità di altri talenti, per cui i sogni dei tifosi volano liberi e, teoricamente, i Nets potrebbero mettersi in corsa per costruire un superteam e puntare subito alla vittoria…
Marks, però, continua, come un disco rotto (o, meglio, come il consumato stratega qual è), a predicare calma e sangue freddo. Ne ha ben donde. Il gruppo attuale è coeso e di grande prospettiva, giovanissimo, talentuoso, già più che coperto nel backcourt. Sfasciare per ripartire da capo e cercare l’assalto frontale al cielo suona un po’ datato e riporta sinistramente la memoria indietro ai tempi della gestione Billy King. L’attuale GM viene, invece, dalla scuola-Spurs: rinnovamento all’insegna della continuità. Direi che si tratti di un modello che ha pagato dividendi duraturi come nessun altro. Può, a cuor leggero, cambiare mentalità e puntare su giocatori più immediatamente vincenti ma diversi, dalla incerta capacità di integrazione nel sistema culturale atkinsoniano e meno, molto meno futuribili?
Tutto è possibile, nel clima da corrida della free agency, ma la nostra opinione è un tantino differente. Pur lasciando aperta la porta ad eventuali occasioni imperdibili ed irripetibili, siamo convinti che il piano del neozelandese sia quello di continuare la costruzione di una squadra competitiva puntellando i ruoli al momento scoperti, senza smantellare, ma anzi consolidando, le fondamenta tanto faticosamente edificate in questi tre anni. A partire da quella più forte ma, al momento, più precaria: D’Angelo Russell.
Dlo… Tre giocatori, quest’anno, possono vantare oltre 25 punti, otto assist e tre triple su 36 minuti in campo: uno di questi è D’Angelo Russell. Gli altri due, Steph Curry e James Harden.
Reduce da una breakout season se ce n’è una, degna di una prima apparizione all’ASG e di una seria candidatura a MIP (21+7, 37%3P, 2,23 As/TO, 106,7 DEFRTG, contro 15,5+5,2, 32,4%, 1,69, 110,9!), Russell è stato autore di un esordio ai playoff non facile, sorvegliato speciale da una difesa cucita su misura per lui. Può ancora crescere e non poco, per tradurre il suo smisurato talento in continuità, leadership, difesa e carattere. Soprattutto, carattere: è notizia delle ultime ore della segnalazione subita, presso l’aeroporto La Guardia di New York, per detenzione di marijuana tra i bagagli. Una caduta prima di tutto di stile, al di là dell’irrilevanza penale e morale dell’accaduto che, in un mercato sedicente libero, in realtà rigidamente regolamentato e profondamente puritano come quello stars & stripes, rischia di macchiare il suo curriculum scalfendo il suo valore di mercato.
Si accinge ad entrare in FA da restricted e i Nets avranno il diritto di pareggiare qualsiasi offerta egli dovesse ricevere. Lo faranno? Per noi di #stillawake, fatte salve proposte economiche esorbitanti, dovrebbero, senza indugio. Irving, per dire, a parità di talento puro ma (va detto) oggi come oggi n volte più determinante sul parquet, ha già oltre quattro anni più di lui, Kemba Walker sei: il che vuol dire che saranno ultratrentenni al termine del prossimo contratto, che sarebbe comunque ben più costoso di quello ragionevolmente alla portata di Dlo.
Ora, si tratta di decidere, semplicemente, se la scommessa su cui si è puntato, finora, con più convinzione, accettando il maggior quoziente di rischio e intorno alla quale si è edificata l’idea stessa di futuro, valga il rilancio, alla luce di quanto visto finora sul campo e fuori, di quanto D’Angelo sia parte del tessuto sportivo e sociale di Brooklyn, di quanto ne incarni e ne rappresenti lo spirito e l’immagine, di quanto abbia legato con i compagni e quanto questi credano in lui e siano disposti a seguirlo. Beh, se siamo tutti d’accordo che i criteri decisionali debbano essere questi, non credo ci siano dubbi sulle scelte da compiere: questo ragazzo ne ha sbagliate tante, ha spesso ciccato, a volte deluso, raramente suscitato rimpianti, ma è l’icona dei Nets 2,0 ed il talento più diamantino e amato dal trasferimento a Brooklyn in avanti, è il mastice, l’anima stessa del fantastico gruppo fin qui costruito: rinunciare a lui sarebbe rinnegare quanto fatto finora.
…e poi tutto il resto. Se Russell dev’essere, e siamo certi che pochi tifosi non gradirebbero il suo rinnovo, occorrerà proseguire, poi, nel solco della continuità, cementando il core futuribile e i giocatori più funzionali del roster attuale, e fissando gli obiettivi strategici atti a fare un ulteriore passo avanti rispetto alla stagione appena conclusa. Ricordate il paragone con il baseball? “Siamo squadra da singole, talora doppie, non cerchiamo l’home run”. Si tratta di individuare i prossimi step de “the progress”, più che di fantasticare sui colpi ad effetto atti a cambiare volto e direzione e puntare subito al titolo. Non è mai stato questo, il volto di Sean Marks: spregiudicato, sì, ma senza mai rinunciare alla solidità.
#stillawake ne indica addirittura quattro, non necessariamente in quest’ordine: parliamone!
– The next step per Levert. Carie Levert aveva iniziato la stagione da serio candidato MIP e da go-to-guy indiscusso dei Nets, con ben due buzzer vincenti in 13 gare disputate. Poi il drammatico infortunio, tre mesi fuori e un ritorno difficile. Qualche partita per ritrovare sé stesso, poi… nelle ultime 13 gare disputate, tra RS e PO, 18 punti, 3,8 assist e, udite udite, il 45,6% dai 7,25, in quello che, fino ad ora, era stato il suo limite più evidente. Senza contare che il ragazzo col numero 22 ha letteralmente cambiato volto alla squadra una volta portato in quintetto in gara 4… Lavorare, quest’estate, sul perfezionamento della meccanica di tiro, ancora un po’ lenta in caricamento e rilascio (non nascondiamoci che le sue alte percentuali siano anche il frutto di un mezzo “battesimo” da parte delle difese, ma non sarà sempre così), e trovare la giusta continuità di rendimento partendo titolare, saranno i principali obiettivi tecnici dei Nets del 2020, perché Caris ha dimostrato di possedere le stimmate della star e, nel giro di un paio di stagioni, la coppia Russell-Levert può rappresentare, già in sé, la polvere di stelle necessaria ad una contender, così come gli splash brothers, Wall-Beal o Dame-CJ (d’accordo, un po’ di sano ottimismo). Si tratta di crederci. E si tratta di tenere ben presente che il ragazzo sta entrando nell’ultimo anno del suo rookie contract…
– Il consolidamento della second unit. La panchina ha rappresentato, nelle ultime due stagioni, il punto di forza più importante per i Nets, una delle chiavi delle rimonte e dei successi ottenuti. Perdendo i veterani (decisamente improbabili le conferme di Carroll e Dudley), probabilmente anche Graham e Napier, restano Rondae e Davis. Situazioni molto complesse: RHJ ha vissuto un’annata difficile, è stato l’unico a non migliorarsi del gruppo preesistente, fino a ridursi al ruolo di terza linea, chiamato in causa solo come role-player da impiegare in corso di smallball. Sarà RFA e la sua conferma è improbabile. Davis è, senza ombra di dubbio, un lusso: unico vero difensore in low post dell’intera rosa, è nell’olimpo dei migliori rimbalzisti e backup center della Lega. Ha dimostrato tantissimo, quest’anno, è in scadenza e il suo valore di mercato non può che essere lievitato. La sua conferma sarebbe un tassello fondamentale ma, unito con quella di Russell, un peso difficilmente sopportabile per il cap bianconero. Diventano, a questo punto, determinanti la crescita di Kurucs e Musa e le scelte al prossimo draft. Le premesse, da questo punto di vista, sono ottime, ma il lavoro da fare è ancora tanto e la profondità del roster è fattore non di secondo piano per chi voglia davvero competere per traguardi importanti: ecco un’altra ottima ragione per credere, anzi auspicare, nella progressività della strategia per il futuro!
– Get rid of Crabbe! Allen Crabbe, a questo punto, diventa la pietra angolare del mercato estivo: il suo è un contratto indigesto per chiunque, ma è anche in scadenza. Marks potrebbe dargli momentaneamente fiducia e fare di lui la pedina-chiave per la produttività della second unit, in attesa della deadline, o provare a piazzarlo sul mercato, magari agganciandolo a una delle tre pick disponibili, il che garantirebbe tanto il capitale necessario per la conferma ragionevole di Russell e Davis, quanto uno spazio adeguato per tentare l’assalto al cielo stellato di questa FA.
– La firma di uno stretch four affermato ma futuribile. Inutile girarci intorno: è l’anello mancante dei Nets, la misura esatta della distanza che separa i bianconeri dall’essere una credibile contender. Un 4 capace di far girare la palla, di assicurare ad Allen una spalla di peso sotto canestro ma anche di aprire il campo, fornirebbe ad Atkinson una varietà di soluzioni offensive finora mancate: è, di fatto, la chiave tattica della svolta definitiva, quella che garantisce il salto di qualità senza stravolgere gli equilibri tattici finora raggiunti. Se non si vogliono spostare troppo in avanti le lancette del successo, occorre che sia un giocatore in grado di alzare il tasso qualitativo della squadra fin da subito. Inutile nascondere le personali preferenze: Tobias Harris sarebbe il perfect fit della situazione, ma è difficile, perché milita già in una contender… KD è un sogno al quale crederò solo vivendolo. Randle mi parrebbe un ottimo ripiego, ma c’è tempo per parlarne, Marks merita fiducia. Aspettiamoci altre genialate.
Smentiteci! Ci siamo sbilanciati, abbiamo avuto la presunzione di anticipare le mosse e le strategie di Sean Marks. Dio solo sa quanto questo sia rischioso, conoscendo il personaggio, e saremo felici di ammettere l’errore, ove la offseason prenda una piega diversa da quella da noi ventilata ed auspicata. Ma siamo ai primi di maggio e, mentre impazza la corsa all’anello, c’è ancora tempo per speculazioni, pronostici, sogni… e per il libero scambio di idee.
Ci arroghiamo il diritto di aprirlo. Tra un mese avremo qualcosa di più concreto su cui costruire una visione, chissà, differente delle prospettive future. Oggi è ancora tempo di meraviglia e fantasia, è ancora il momento della grande bellezza.
Stay tuned!