Tempo di primissimi bilanci nella Lega più bella del mondo dopo venti giorni di regular season. Quasi tutte le squadre hanno messo insieme almeno una decina di partite e cominciamo a farci una mezza idea sulle loro caratteristiche e su ciò che di più interessante c’è da vedere nelle notti insonni del tipico malato di basket americano.
Ripartiamo dagli spunti proposti in avvio di stagione, perché alcune delle realtà da noi indicate tra quelle da seguire hanno dato conferma delle aspettative di All-Around.net alla prova del campo: Toronto Raptors e Denver Nuggets, in particolare, stanno giocando tra i migliori basket in assoluto, trovando conforto nei risultati.
I canadesi (record 11-1) hanno assorbito senza patemi la partenza della star di casa DeRozan (che benissimo sta facendo in quel di San Antonio, anche questo sembra un pronostico azzeccato) e le idee del nuovo coach, il rookie Nick Nurse, che sta ulteriormente valorizzando quella che lo scorso anno era la miglior second unit in circolazione, ha dirottato Valanciunas in panchina, da cui sta uscendo forte (13,4+7,4), e sta straripando su tutti i fronti, in attacco (quinti per Offensive Rating 114.2) come in difesa (ottavi per Defensive Rating 105.6), irrobustiti anche da un all-around player come Leonard, finora più che a suo agio (plus/minus di +9.9). Lowry finora è, per distacco, il leader assoluto per assist (11,3 ad allacciata di scarpe!), Ibaka (17,7 pts +7,9 reb) sembra tornato ai suoi fasti e c’è da porsi qualche domanda solo sulla tenuta della squadra, storicamente abbonata a grandi regular season per poi sfaldarsi quando conta.
In Colorado (9-3) si stropicciano gli occhi per i miracoli di Malone. Se anche e soprattutto qui, stante il superiore livello della contesa nella Western Conference, i punti interrogativi gravitano tutti intorno alla tenuta della squadra, pure occorre dire che il gioco visto in campo non lascia adito a dubbi sulla qualità di quello che Jokic (16+10+7) e soci stanno costruendo, con Murray ed Harris che sembrano definitivamente esplosi ed il gioco che fluisce negli spazi creati da cinque uomini schierati sul perimetro (un vento che soffia fortissimo in NBA!) e tutti capaci di costruire per sé e per gli altri. Sorprende molto di più la tenuta difensiva delle pepite, tallone d’Achille fino al pur positivo anno passato, ed ora rivoltata come un calzino (secondi per DEFRTG con 101,6 punti concessi ogni 100 possessi), pur se ancora da consolidare, soprattutto nelle chiusure. Non a caso, stiamo parlando della prima squadra in grado di sconfiggere Golden State…
Mentre l’unica sconfitta, prima della debacle di Memphis (ci torneremo), i Nuggets l’hanno patita ad opera dei nuovi Lakers (5-6) di sua maestà LeBron, che, va detto, possono vantare ben poco altro alla voce “acuti”, in questa ancor giovane stagione, impelagati nella crescita dei giovani virgulti (Ingram e Kuzma paiono i soli alfieri affidabili, finora) e nel cercare la quadratura del gioco intorno al Prescelto, il cui uso in campo era differente (USG% “appena” del 29,4%) nelle intenzioni, salvo poi affidare palla a lui, come volevasi dimostrare, ad ogni momento difficile. La resa di LBJ, tuttavia, è ancora decisamente inferiore (3P% 29,5, TO% 28,6) che nel passato vissuto con altre canotte sulle spalle. Ovvio che a Los Angeles si aspettino, se non il titolo in carrozza, sicuramente molto, molto di più di quanto visto finora e che a Luke Walton qualcuno inizi già a far sentire il fiato sul collo: Magic, dopo il tracollo interno con i Raptors (e prima del recente riscatto contro i T-Wolves del rinato Derrick Rose, la più bella storia raccontataci dal meraviglioso libro delle fiabe NBA), ha fatto pubblicamente sapere che il coach non è a rischio, ma…, a meno che… Le postille dopo la virgola sono come cerini accesi sotto la poltrona di Walton allo Staples, se è vero che, dopo essere saltata la panchina dell’ex coach di LBJ (a Cleveland davvero manca ancora una mezza idea di squadra: le potenzialità tecniche per tirarsi fuori dalla palude ci sarebbero anche, si tratta di vedere se c’è la volontà di farlo…), quella del suo coach attuale sembra la più calda del momento.
Passando da un campione all’altro, se le squadre (passate e presente) di LeBron non stanno brillando (anche a Miami partenza piuttosto anonima), quelle di Harden non hanno certo avuto vita facile, in avvio, anzi: Houston (4-6), candidata d’obbligo al ruolo di contender, si è proprio ingolfata in partenza, in crisi offensiva (ma proprio il Barba ha fatto registrare diverse assenze) e difensiva (lo ricordiamo, il guru della difesa dai cambi ossessivi, Jeff Bzdelik, ha salutato pochi mesi or sono) e sta risalendo faticosamente la china, non essendo facile trovare un valido sostituto ad un collante come Ariza…
Oklahoma (7-4), invece, merita un discorso a parte: inizio da incubo, poi la rapida ascesa, con Donovan che pare aver trovato un discreto filone aurifero intorno a RW e PG, grazie alla vocazione difensiva di Ferguson (e nonostante la perdita di un certo Roberson) ed alle doti da all-around di Jerami Grant (11+5), che si sta dimostrando giocatore completo. L’aggressività (primi per TO avversari), la spettacolare transizione e gli equilibri offensivi sembravano aver garantito il deciso cambio di marcia, ma poi, quando tutto pareva in discesa, ecco l’infortunio alla caviglia proprio a Westbrook: il peggio sembra scongiurato, ma sicuramente per qualche settimana le spalle di Schroder dovranno allargarsi parecchio e non sarà facile, benché il tedesco ci stia provando (16,5+5).
I Bucks (9-2) ai vertici della Eastern non sono certo una sorpresa in senso stretto, ma il loro ultimo trionfo, a mani basse nientemeno che all’Oracle Arena, li ha improvvisamente gettati sotto i riflettori. A seguirli regolarmente, invece, davvero nessuno stupore, nulla di nuovo: continuità di rendimento e qualità di gioco vanno senz’altro ascritti a coach Budenholzer ed alle sue idee chiare, se la squadra ha saputo subito incastrarsi bene con lo straordinario talento di Antetokounmpo e la filosofia del nuovo allenatore: tutti sul perimetro intorno a Giannis, pioggia di triple aperte e gran difesa, in perfetto stile-Atlanta (a proposito, niente male i ragazzini georgiani…).
Infine le sorprese, in positivo ed in negativo, di questo scorcio di stagione: i Kings (7-5), dati per squadra-pattumiera della Lega, capaci solo di fagocitare salary dump, stanno invece stupendo per freschezza e rendimento, complice la tanto attesa esplosione di Fox (recente autore della prima tripla doppia) e Hield e, adesso, pronti a mettere a frutto anche il rientro di Bogdan Bogdanovic… Nulla per cui strapparsi i capelli, ma neppure da scommettere sulla natura paglierina del loro fuoco.
I Grizzlies (6-4), invece, stanno davvero frantumando i limiti delle più rosee aspettative: balzati agli onori della cronaca grazie alla recente vittoria a scapito proprio dei Nuggets, sembrano aver coronato la rincorsa ad una squadra giovane e sensata intorno all’asse Conley-Gasol, in virtù di una difesa coriacea (secondi per STL – 10.2), del buon impatto dei rookies e capaci di dare del filo da torcere a chiunque. Curioso e significativo che queste inattese realtà si stiano facendo largo nella Conference più dura…
La metà oscura del cielo la riserviamo, invece, a due realtà attese a luci decisamente più da ribalta: ai Jazz (6-6), forzando un po’ la realtà, in virtù di un record mediocre ma certo non allarmante; il punto è che, per una squadra così definita nell’identità, così tradizionalmente solida nella propria metà campo e nata sotto il segno della continuità, era davvero difficile prevedere un esordio stagionale tanto stentato ed una tenuta difensiva così scadente. Attenuante non di poco rilievo: la recente assenza di Donovan Mitchell. Squadra e coach sono lì, validi e scalpitanti, in attesa del riscatto. anche se forse da questa notte, vittoria in casa contro i Celtics (123-115), ci si aspetta la svolta.
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Difficile dire altrettanto, invece, per i Wizards (2-9), davvero in una posizione difficile, in questo momento, forse la più difficile della Lega: la squadra sembra allo sbando e senza un senso compiuto. Attacca in modo spesso prevedibile, tira malissimo da fuori e, quel che è peggio, è la penultima franchigia a rimbalzo (39.4 REB%), nonostante Howard (12,5+8) sia forse il meno negativo della squadra, finora.
Troppo forte e farcita di star per pensare a cuor leggero ad un tanking propedeutico alla ricostruzione, ma anche, ad occhio e croce, troppo sconclusionata per potersi aspettare una rapida risalita della china, perfino in una Conference un po’ così, come quella orientale.
I Grammy di All-Around. Dopo circa un ottavo di stagione, non ha molto senso assegnare le palme dei migliori, siamo d’accordo, per cui prendetele come opinioni e neppure originalissime. Ma sono le nostre…
MVP: Antetokounmpo. Il nuovo gioco, come detto, lo sta lanciando verso l’Olimpo, non c’è dubbio, il campo aperto sta esaltando quella che già era a pieno titolo una forza della natura (25,6+12,9+5,7). Lasciamo stare le altre stats: tira da 3 punti poco e non benissimo, ma non è la sua specialità, non ancora e, con la squadra costruitagli intorno, davvero poco male, anzi…La storia di questa Lega insegna che raramente si vince con una one-man-band!
MIP: LeVert. I numeri non saranno ancora da urlo, ma la crescita è lampante, nelle cifre (20,5+4,6+3,9) ma, soprattutto, nel linguaggio del corpo, nella consistence, nella leadership silenziosa, nella sicurezza e nell’abilità, propria dei migliori, di far sembrare facili anche cose quasi impossibili. Occorre un paragone con la già positiva, passata stagione? Basti dire che ha già superato il numero di partite, con 20 o più punti all’attivo, messo insieme in tutta la stagione precedente. A Brooklyn si è fiutato giusto ed ora ci si comincia a fregare le mani…
ROY: Doncic (20,2+6,5+4,). Leggasi quanto scritto per LeVert, pari pari. Le cifre appena riportate parlerebbero già da sé, ma in realtà non dicono alcunché su quello che il ragazzino sloveno sta mostrando sul campo. Schierato per lo più at the point, con Smith Jr (non un sophomore qualsiasi, eh!) in posizione 2, sta salomonicamente mostrando a tutto il mondo di poter fare in NBA tutto ciò che ha già fatto anche da questa parte dell’Atlantico. Futuro da All Star pressoché in tasca e tanti, tanti margini di miglioramento che Carlisle avrà la invidiabile responsabilità di mettere a frutto (ancora 4,2 palle perse a partita…). Invidiabile, il futuro a Dallas…
Tre settimane di puro divertimento, ma il meglio, tra conferme e smentite, alla nostra prossima edizione! Stay tuned…