Riprendiamo il filo del discorso avviato nel mensile precedente: anche quest’anno la rosa viene completata a luglio. Vedremo come. Ha un significato, tutto questo? Forse più di uno.
È stato un fare di necessità virtù, da parte di Sean Marks? Oppure si è trattato di un piano ponderato? Fatto sta che, stante la perdurante mancanza di attrattiva verso le star che hanno animato il mercato estivo, i Nets hanno nuovamente ripiegato sulle briciole lasciate cadere dalla finestra chiusasi il 6 luglio, con un la coda dell’occhio volta al roster per la prossima stagione, ma con lo sguardo dritto verso l’estate del 2019. Eccezion fatta per Harris, di cui si è già detto, solo contratti garantiti per un anno e mani libere e piene per sedersi al tavolo della roulette 2019, puntando forte sui numeri giusti.
Ne vien fuori una squadra precaria, ma motivata (tutti avranno bisogno di cercare conferma o mercato, tra un anno), giovane ma dotata di veterani in ogni ruolo, sufficientemente conforme alla filosofia pace & space di Atkinson ma decisamente più equilibrata e coperta in ogni reparto, rispetto a quella che l’ha preceduta, con uno zoccolo duro dal talento medio, non potenziato da attori protagonisti ma, proprio per questo, più libero di continuare a crescere.
La cifra del mercato, se vogliamo, è stata la continuità, forse per la prima volta, ma, al netto di una strategia tutta votata all’anno che verrà, finalmente anche attenta a riempire tutte le falle mostrate dalla squadra fino ad aprile. Certo, con materiale di seconda mano (o di seconda fascia) e posticcio (come detto, tutti con contratti annuali o garantiti solo per un anno), ma utile a superare gli ultimi freddi in attesa di edificare, attorno a queste fondamenta, un grattacielo capace di issare la bandiera bianconera fin lassù, ai piani più alti. Queste, almeno, le speranze di staff e tifosi…
La cronaca. Ci eravamo lasciati preannunciando il buyout di Howard (ancora in via di definizione), lo sganciamento della zavorra-Mozgov, la conferma di Joe “buckets” e l’arrivo di Ed Davis. Erano solo gli antipasti, gustosi e premonitori, di un pranzo da trattoria e non da gourmet, d’accordo, ma senz’altro ben assortito ed abbondante. Lo spazio salariale rimanente era davvero risicato: muoversi sul mercato sarebbe stato possibile solo dopo aver chiuso la trattativa con… il Superman di passaggio.
Compiuta la missione (non in maniera brillantissima, va detto, lasciando sul piatto oltre 18 milioni), nonostante una stagione intera ai box, i Nets hanno trovato mercato per Jeremy Lin e realizzato, scambiandolo ad Atlanta per una futura seconda e il diritto di swap su un’altra scelta, l’operazione-chiave dell’intera offseason, liberando, così, 12,5 milioni di dollari e trovando il modo, quasi in tempo reale, di acquisire i dump salariali di Darrell Arthur e Kenneth Faried da Denver, in cambio di Isaiah Whitehead. Ottenendone, per di più, a parziale compensazione della spesa, la prima scelta dei Nuggets per il 2019, sia pure protetta fino alla dodicesima chiamata.
Nel contempo, per tenere i conti a posto, i Nets rinunciavano ai diritti di Stauskas (volato, nel frattempo, a Portland), Okafor, Webb, Cunningham, poi di Acy e Doyle. Mediante queste operazioni minori, il salvadanaio dei Nets è tornato a tintinnare lo stretto necessario per acquisire Shabazz Napier, ancora da Portland e, a ruota, Treveon Graham da Charlotte.
Neppure il tempo di riprendere fiato, che Marks portava a termine lo scambio del neo-arrivato Arthur con Jared Dudley, dai Phenix Suns, con l’aggiunta di un’altra seconda scelta protetta per gli anni a venire. L’entusiasmo dimostrato da Dudley per la nuova destinazione e la sua voglia di giocare sotto la guida di Atkinson, insieme con la firma di Graham (minimo salariale con un secondo anno parzialmente garantito), giunta proprio l’ultimo del mese, sembrano aver chiuso mercato e roster fino al quindicesimo giocatore.
Mancano da definire i due two-way contracts, il che avverrà, verosimilmente, in corso di training camp, quando la franchigia potrà contare su un massimo di 20 tesserati. Ai contratti regolari, finora, si sono aggiunti gli inviti a partecipare per Theo Pinson, da North Carolina e Tyler Davis (Texas A&M), reduci dalla Summer League, e per Mitch Creek, shooting guard stella del campionato australiano, ultimissimo arrivato. È del tutto verosimile che gli ultimi due spot saranno riempiti con qualcuno tra questi o gli eventuali, ulteriori partecipanti al camp. Tempo ce n’è: il più, ormai, è fatto…
La rosa. I nuovi arrivati, insieme con i rookies Musa e Kurucs, vanno ad aggiungersi alle conferme, D’Angelo Russell in primis: nonostante anch’egli affronti l’ultimo anno di contratto e non ci sia stata, finora, alcuna trattativa avviata per discutere il rinnovo, resta lui il volto dei Nets. Oltre a lui, in rigoroso (per quanto possibile) ordine di ruolo, Spencer Dinwiddie (occhio: è l’unico, finora, senza un contratto pienamente garantito, tra i 15!), il confermatissimo Joe Harris (al contrario, l’unico sotto l’ombrello di un biennale garantito), Caris Levert, Allen Crabbe, Demarre Carroll, Rondae Hollis-Jefferson, Jarrett Allen.
La strategia. Non scopro nulla e nemmeno dico niente di nuovo (ne ho già parlato a giugno), ma il modus operandi di Marks, la tipologia dei contratti firmati e le sue stesse dichiarazioni, per una volta appena fuori dai denti, confermano che il target strategico è fissato nell’estate prossima. Ed anche oltre, se consideriamo le scelte aggiuntive acquisite per gli anni a venire. Con questo mercato estivo, Marks si è spinto oltre ciò che tutti hanno scritto sul suo operato: non ha solo riportato i Nets allo status di franchigia “normale”, artefice del proprio destino. In due anni ha ricostruito ex novo staff, immagine ed etica del lavoro al di qua del ponte, regalando alla sua creatura una precisa e piacevole identità: quella di una società seria, professionale, tutta dedita al lavoro, allo sviluppo dei potenziali inespressi ed a mettere i propri atleti nelle migliori condizioni, umane e tecniche, per implementare i propri skills. Come un navigato pilota, ha creato le condizioni per avere, tra undici mesi, ampio margine di manovra, nonché una disponibilità economica tale da competere con le grandi per portare a Brooklyn uno o più dei grandissimi giocatori che, come e più di quest’anno, saranno sulla piazza, alla ricerca del contratto buono e di un progetto serio.
Ecco: ciò che ad oggi ancora manca è un progetto serio, inteso come un programma chiaramente vincente. Siamo ancora fermi alle ipotesi ed alle potenzialità, in gran parte inespresse e neppure tra le più eclatanti della Lega. Quasi senza scelte fino ad oggi, non era facile scovare talenti nel sottobosco della G-League o tra i delusi dell’NBA. Per nulla facile. Eppure Marks ha messo in mano ad Atkinson due gemme come Levert ed Allen, a mio parere tra i sophomore più sottovalutati del pianeta solo perché militano nei Nets, ma che (sempre opinione mia) ben poche franchigie non gradirebbero avere nelle proprie disponibilità; scoperto Dinwiddie ed Harris, sconosciuti a chiunque, facendone giocatori veri; restituito a Carroll tutto il suo valore (resto del parere che rappresenti una preziosissima merce di scambio in vista della prossima deadline). Con Russell, infine, ha portato a Brooklyn un ragazzo dal potenziale inimmaginabile, il primo (forse l’unico) candidato a divenire una star. C’è, insomma, un possibile core di validi giocatori, che potrebbero rappresentare l’humus ideale per l’innesto di due primi attori capaci di cambiare il corso, finora sotterraneo, del fiume della storia.
Potrebbero… Se tutta la strategia sembra indirizzare verso questo obiettivo (avere soldi a palate da spendere nel 2019, altrimenti, a cosa varrebbe?), c’è da capire come fare a far volgere lo sguardo verso il lato giusto del ponte ai tanti campioni che si accingono a cercare lavoro. In altre parole: c’è da passare attraverso il setaccio stretto ma obbligato del parquet, il vaglio dei risultati.
Contrariamente a quanto si legga sul web, quel salto di qualità che, solo, può spingere i Nets un gradino oltre la propria marginalità e conferire loro il fascino necessario per colpire i grandi nomi (e non solo chi cerca progressi o riscatto, come accade oggi) è nelle mani della squadra appena messa insieme. Contrariamente a quanto sia creduto da parte dei superficiali, il futuro dei bianconeri passa per la strettoia della stagione alle porte.
L’anno della verità. E tutti, Atkinson compreso, sotto esame.
La prossima stagione. Se quanto detto finora è vero, quali sono, dunque, le potenzialità del roster appena assemblato dai Nets? Provo a procedere per addizioni e sottrazioni, per poi tirare le somme: la matematica è l’unica materia non passibile di opinioni discordanti…
Nel settore esterni, sono andati via Lin e Whitehead, non hanno trovato conferma Stauskas e Doyle. Se sommiamo il contributo dato dai quattro ragazzi alla causa della passata stagione, credo di poter affermare, senza tema di smentite (non me ne vogliano i fan degli interessati, non si tratta di un giudizio sulle qualità tecniche del singolo), che sia molto prossimo alla zero, sia pure tra mille attenuanti e per i più disparati motivi. Sono arrivati Napier, come terzo play, e Graham come potenziale 3&D in uscita dal pino. Il primo è reduce dalla sua migliore stagione, come riserva di Lillard, ed è cresciuto in tutte le statistiche principali. Il secondo, con un minutaggio ancor più basso, pure si mantiene stabilmente oltre il 40% dall’arco e sa difendere su più ruoli. In sostanza, un colpo al cerchio (decongestionare la pletora di guardie), uno alla botte (avere più difesa, più capacità di costruire un tiro dal palleggio). Non certo un peggioramento, sia pure senza strafare.
Il grosso dei cambiamenti è, però, occorso a carico della frontline: via Okafor, Cunningham, Acy, Webb (anche qui, diciamocea tutta: solo qualche minuto e per lo più in garbage time, per loro…), dentro Ed Davis, specialista rimbalzista e discreto rim protector, anche lui reduce da discreti contributi versati alla causa dei Blazers; Jared Dudley, ultraveterano che ha nel DNA la capacità di aprire il campo e tirare anche dalla lunga (da vagliare le condizioni fisiche e la riserva energetica ancora in dotazione) e, soprattutto, il controverso Kenneth Faried, the “manimal”! Faried è quel tipo di giocatore che ai Nets mancava come il pane. Parliamo di elemento discontinuo e non sempre affidabile, in calo rispetto alle attese ed alle previsioni, che so, di tre o quattro anni fa. Ma si tratta pur sempre di un atleta, di un gladiatore, di una forza della natura! E la sua parabola, nonché una certa somiglianza fisica, ricorda tanto quella di Carroll: se solo saprà ritrovare sé stesso, sotto l’ala di Atkinson, come ha fatto l’ex Atlanta e Toronto, ne vedremo delle belle! Anche qui, non certo colpi a sensazione, ma probabile upgrade rispetto all’anno scorso, si.
Manca ancora qualcosa? Decisamente si. Detto di un coefficiente di talento non straripante, il solo Dudley a coprire il ruolo di stretch 4, anello debole della catena bianconera, pare davvero una risposta troppo timida. Non sembra essere stato affatto individuato il go-to-guy che tanto è mancato nelle sfide punto a punto e la difesa sul perimetro dovrà contare quasi esclusivamente sul miglioramento dei singoli. Anche la taglia complessiva, per quanto cresciuta, non pare ancora sufficiente per arginare i tanti centri moderni e dominanti che bazzicano la Lega. Detto questo, almeno sulla carta, un passo avanti si è registrato in ciascuna delle suddette lacune, non lo si può negare.
Al tirar delle somme, dunque, mentre costruiva il futuro, Marks ha anche migliorato il presente, salvo voler mettere in discussione anche l’algebra. Per arrivare dove?
Gli obiettivi. I risultati realisticamente alla portata dei bianconeri dipendono da innumerevoli fattori, quindi credo molto poco ai ranking, agli under/over sulle vittorie, e via discorrendo. Teoricamente parlando, si parte da una base d’asta di 28 vittorie e ci si prepara ad affrontare l’anno che verrà con una squadra migliore, come abbiamo visto. Squadra che, peraltro, partirà con il duplice vantaggio di aver confermato il nucleo preesistente, già affiatatissimo dentro e fuori dal campo, e di poter contare, quindi, su una chimica già solida e sugli ulteriori miglioramenti individuali dei tanti giovanissimi. Mettiamoci anche il bagaglio di esperienze già fatte, le decine di partite combattute fino all’ultimo istante e perdute per paura di vincere ed inesperienza di atleti e coach, la vagonata di infortuni che ha stravolto tutti i piani e che, magari, quest’anno si rovescerà altrove o, meglio ancora, non si registrerà affatto e aggiungiamo (si spera) un pizzico di buona sorte…
La Eastern Conference, d’altro canto, si è ulteriormente e clamorosamente impoverita a partire dalla partenza di LBJ e le squadre fuori portata, almeno per la prossima stagione, paiono potersi contare sulle dita di una mano, o poco più.
Questi gli ingredienti, innegabili, che Sean Marks ha messo a disposizione di Kenny Atkinson. A questo, adesso, spetta la prova del cuoco: dimostrare, cioè, di non essere solo un formidabile preparatore di antipasti, ma anche di saper sfornare pietanze sufficientemente ricche da attirare la clientela che conta. Hai visto mai, allora, che quel ristorantino rustico in riva al mare non faccia il salto di qualità e non diventi la meta di qualche buongustaio?
Male che vada, Sean Marks ha già in tasca il piano B: giocatori in scadenza per il “servizio da asporto” alla deadline e la possibilità di accedere al prossimo draft passando dalla porta principale, la lottery, finalmente da protagonista.
Comunque vada, sarà un successo, la ricetta del successo, brevettata dal signore dei fornelli, alias Sean Marks…