Memorabile, davvero, la torrida estate 2018: se da punto di vista climatico appare un po’ incerta, sul fronte del mercato è la più calda che si ricordi! Non stupisce, era anzi nell’aria, dopo una folgorante escalation di rumors a riguardo, l’ennesimo colpo di scena destinato a stravolgere gli equilibri in NBA: è di poche ore fa l’ufficialità della trade che ha coinvolto i Toronto Raptors ed i San Antonio Spurs, mettendo la parola fine alla lunga telenovela avente come protagonista Kawhi Leonard. Il giocatore, in rottura prolungata con spogliatoio, tecnici e società texana, dopo aver lasciato trapelare il suo gradimento per un trasferimento a Los Angeles, dopo aver inutilmente ascoltato ciò che gli Spurs avevano da offrirgli, si trasferisce armi e bagagli… dall’altra parte del continente, in Canada, insieme con Danny Green. In cambio, i texani riceveranno Jakob Poeltl, la prima scelta dei Raptors per il 2019, protetta 1-20 (altrimenti due seconde scelte future) e nientemeno che la All Star DeMar Derozan.
Che uno scambio di questa caratura sia destinato ad assestare un’altra vigorosa scossa tellurica alle già incerte (Warriors a parte) gerarchie nella Lega, è fuori discussione. Ciò che merita, invece, di essere approfondito è come questa operazione di mercato vada letta nell’ottica futura delle due società e dei giocatori coinvolti.
Leonard, per qualità, potenza, personalità, se in salute, rientra comodamente tra i primi cinque cestisti in attività sul pianeta Terra. D’altro canto, l’infortunio che lo ha tenuto lontano dai campi per tutta la fase nevralgica della passata stagione è avvolto da un alone di mistero, tanto da aver suscitato più di una perplessità perfino agli occhi di Tony Parker, le cui rimostranze hanno messo sotto i riflettori il risentimento dello spogliatoio verso l’ectoplasmatica star con il 2 sulla canotta. L’atteggiamento di KL verso i compagni, d’altronde, più che destare perplessità, mette d’accordo un po’ tutti: ignorando la sua squadra perfino durante i playoff, ha rappresentato il miglior esempio di ciò che un leader non dovrebbe mai fare!
È apparso subito chiaro che lo strappo fosse difficile da ricucire e che gli Spurs, ormai da troppo tempo in bilico tra i fasti del passato e l’incertezza sulla strada da intraprendere nel futuro, avrebbero fatto bene a cercare una trade che portasse tasselli di futuro in Texas, in cambio di un fuoriclasse tanto svogliato, dalla salute incerta e, peraltro, in scadenza il prossimo anno. Clippers e Lakers, ovviamente, in prima fila, ma anche Blazers, Celtics e, soprattutto, Sixers, hanno cercato di riempire delle migliori pietanze possibili il piatto offerto agli Spurs, mentre i nero-argento facevano balenare, dinanzi agli occhi di Leonard, faraoniche proposte di rinnovo e scambiavano Parker, forse anche per dimostrare la buona volontà di lasciare a lui solo il posto di comando. Lasciando, così, a KL il cerino in mano, ma tirando, forse, troppo la corda del mercato, fino a lasciar scivolare via buone offerte (Lakers e Sixers) soprattutto in ottica futura.
Finché non è giunta d’oltre confine l’offerta che, probabilmente, ha fatto tirare a Buford un sospiro di sollievo e levato le castagne dal fuoco texano: a questo punto dell’estate, una star, un buon prospetto adatto al sistema ed una prima scelta rappresentavano la miglior contropartita possibile per la perdita di un giocatore che, in realtà, per la causa nero-argento, perso lo era già da tempo. Derozan non è più un ragazzino, ma ha dimostrato, proprio nel corso dell’ultima stagione, di potersi migliorare ancora, aggiungendo un decente tiro dall’arco ed un ball-handling rispettabile al repertorio arcinoto di qualità offensive. Uno swingman di tale classe e versatilità può portare benefici a qualsiasi causa, figurarsi a quella di un guru come Popovich! D’altro canto, difficile credere che Toronto esca dal plotone delle prime dieci e che si tenga la prima scelta del prossimo anno e, infine, Poeltl ha stupito, come tutta la second unit canadese: si tratta di un lungo molto dinamico e dalla mano sufficientemente morbida da lasciar presagire ulteriori margini di miglioramento, potendo divenire un centro moderno e “di squadra” che, nel sistema di gioco del Pop, a mio parere, può trovare la propria dimensione.
Il prezzo da pagare è un pezzo di futuro: Derozan ha altri tre anni di contratto per 83 milioni complessivi, che si aggiungono ai pluriennali di Mills e Aldridge. Non sarà ai limiti della capienza, ma il cap degli Spurs non sarà neppure tra i più ricchi, nel 2019, e non consentirà scintille a Buford, né voli pindarici ai tifosi. Tuttavia, occorre sempre contestualizzare ed adattare la necessità di rebuilding alla filosofia della prassi, ormai consolidata, della scuola di pensiero Spurs: rinnovamento sì, ma nella continuità, sia di mentalità che di risultati. Questo modus operandi ha fatto di RC Buford uno dei GM più vincenti e degli Spurs l’intramontabile dinastia del basket moderno, non saranno i capricci di Leonard ad indurre una rivoluzione culturale, se neppure la fine dell’era-Duncan ed il declino di Parker e Ginobili (eroicamente ancora lancia in resta dalla panchina: chi mai vorrebbe rinunciarci?) hanno potuto innescarla! Due stelle e buoni role player, giovani in rampa di lancio e qualche nube sui programmi futuri per San Antonio, sul cui mercato il giudizio non può che essere rimandato.
Se in Texas non si ride, in Canada forse anche meno, anzi, si sta scherzando col fuoco: con l’acquisizione di Leonard al suo ultimo anno di contratto, ma con un head coach nuovo ed un Derozan in meno, Masai Ujiri si è cacciato in un rischioso vicolo cieco che termina in un bivio: ammesso che stia bene, con Leonard deve per forza cavare il ragno dal buco di una scomoda win-now situation, per sperare di far fruttare al meglio l’operazione e provare a convincere la recalcitrante All Star (che non si è fatto scrupolo, da par suo, di far trapelare che la destinazione non gli è gradita) a restare in Canada, ovviamente coperto di milioni. Sta, insomma, andando incontro alla sua stagione della verità, con l’aggravante della responsabilità di aver ampiamente sforato il limite della luxury tax.
Anche qualora Leonard, invece, dovesse scegliere di andar via a fine anno, il margine di manovra garantito dallo spazio salariale sarà piuttosto risicato rendendo molto arduo l’accesso con credenziali ad una free agency 2019 che si preannuncia rumorosa quanto quella ancora in corso….
Forse l’operazione-Leonard non sarà stata la più importante, né la più sorprendente in assoluto del 2018, ma sicuramente è stata la più complessa e controversa. Non voglio trarre conclusioni affrettate sostenendo che hanno perso tutti i protagonisti: l’ultima parola spetta al campo e, per quanto San Antonio sia saltata fuori appena in tempo dalla macchina in corsa verso il baratro, il giudizio sul ricavo netto non potrà che passare al vaglio dei risultati. Il cerino resta in mano ai Raptors, che si ritrovano con un ordigno nucleare tra le mani potenzialmente in grado di sbaragliare l’intera East Coast, orfana di quasi tutti i più grandi, ma estremamente delicato e dalla miccia corta, che rischia di esplodere loro tra le mani.
L’unico attore ad uscirne sconfitto, a nostro giudizio, è proprio Leonard: un caso che ricorda molto quello di Paul George lo scorso anno, ma gestito con molto meno stile. Oggi si ritrova a dover dimostrare di nuovo di valere l’oro che pesa e con una immagine da ripulire da cima a fondo. Non sarà facile…
Stay tuned!