Tanti anni fa, senza voler pubblicizzare, ovviamente, alcunché, un noto e popolare prodotto alcolico aveva piacevolmente tormentato i telespettatori con un fortunato jingle pubblicitario: “…scalda il cuore…il gusto pieno della vita!”, recitava. Ne occorrerebbe una doppia razione, ai Brooklyn Nets. Ed a questo, come cercherò di spiegarvi, Sean Marks sta lavorando, sottotraccia ed a piccoli passi.
Nel brodo primordiale, nel caos supremo del mercato di questa estate, come a memoria d’uomo non si ricordava, le operazioni dei Nets sono giocoforza scivolate nell’ombra del semianonimato, non avendo né le risorse, né l’appeal per “scaldare il cuore” dei grandi e… gustare appieno la propria vita agonistica, appunto. Il lato luminoso della luna è che lo stesso destino accomuna la stragrande maggioranza delle franchigie, soprattutto nella Eastern Conference, letteralmente desertificata dopo l’esplosione nucleare del trasferimento di LBJ a Los Angeles. Inutile girarci intorno: giugno è ruotato tutto intorno al caso-Howard, di cui abbiamo già ampiamente parlato e che sfioreremo solo per carpirne il significato profondo. Definito il roster per la Summer League di Las Vegas (in corso mentre vi scriviamo), poi solo attesa del mercato, di cui non potevamo non aspettare la conclusione, per avere un quadro più definito del presente, piuttosto che brancolare nel buio e lasciarci andare a pronostici personali precedendo i fatti, che poi, sistematicamente, materializzandosi, confutano tutto in tempo quasi reale.
La cronaca. Tralasciando la ridda di voci, pseudo-indiscrezioni, illazioni e congetture, la prima, vera news del mese è stata la trade che ha portato un sempre più insofferente Mozgov ed il suo contrattone assurdo a Charlotte, ove avrebbe intasato lo spazio salariale degli Hornets per i prossimi due anni. Uso il condizionale passato perché, proprio in queste ore, gli Hornets sono riusciti a scaricare la zavorra-Mozgov ai Magic. L’operazione è costata ai Nets un paio di seconde scelte (tra cui la 45 di quest’anno) e, soprattutto, la querelle-Howard, con il suo fardello da 23,8 milioni di dollari da evadere, scontato mediante buyout, nel corso della stagione alle porte.
Il caso. L’illusione che un simile (ex) all-star fosse pronto a combattere, con tutte le armi pesanti di cui (forse) ancora dispone, sotto le insegne bianconere è durata dal tramonto all’alba, il tempo di leggere le sue dichiarazioni infastidite e la sua voglia di giocare per vincere (auguri: difficile immaginare una buona accoglienza al Barclays, alla prossima sfida…). Già iniziavano le trattative per un buyout il meno oneroso possibile ed appariva chiaro che l’unico saldo plausibile dell’operazione era da ricercare nella bilancia dei pagamenti: quasi in pareggio per la prossima stagione, clamorosamente attiva per quella successiva! Stavolta Marks ha giocato pesante e suo è stato il primo botto, come già l’anno precedente con D’Angelo Russell. Salvo, poi, rivelarsi un colpo a salve: la pistola dello starter che ha aperto le danze estive, appunto, nulla più.
Aperto e chiuso il capitolo-Howard, era già tempo di draft. La notte più attesa dell’estate vedeva i Nets in posizione marginale ma con qualche spazio di manovra per eventuali scalate: due o tre giocatori appetibili ancora sotto contratto e 5,1 milioni a disposizione per puntare a qualcosa di meglio. Nulla di tutto questo. Invano abbiamo atteso l’alba e la chiamata numero 29 auspicando qualche annuncio da parte dell’infallibile Wojnarowski: Marks non ha voluto, o potuto, far altro che scegliere dove gli spettava.
I rookies. Alla 29 ed alla 40 i Nets hanno chiamato due giovanissimi stranieri, due ali fisicamente quasi uguali, tecnicamente vicine ma con un bagaglio ed una attitudine abbastanza dissimili tra loro. Il che lascia intravedere la possibilità di vederli giocare insieme, nell’ottica della fluidità dei ruoli pretesa da Atkinson, alla cui filosofia i due paiono naturalmente portati. L’inesperienza, la cultura europea e l’immaturità fisica sfumano, però, i contorni del quadro e lo proiettano nel futuro remoto: Musa e Kurucs paiono molto lontani dai requisiti minimi di “prontezza”, per scendere in campo in NBA. Diamo loro un’occhiata da vicino.
Dzanan Musa, 19 anni, 206 cm per una novantina di chili, apertura alare non eccezionale, swingman bosniaco già miglior talento del suo paese, bomber della nazionale e del Cedevita Zagabria, è stato chiamato dai Nets alla 29. Si tratta di un esterno con la lunghezza e la verticalità di un’ala grande, dunque un giocatore in grado di ricoprire, potenzialmente, anche più ruoli, ma naturalmente votato al gioco perimetrale, discretamente abile nel pick and roll e nell’attacco al ferro, dal palleggio o con i tagli. Già dotato di un discreto pedigree internazionale, la gracilità fisica non gli ha impedito di rappresentare una naturale, triplice minaccia offensiva al di qua dell’Atlantico, ma ne prefigura un lungo percorso di adeguamento al gioco americano, molto più rapido, fisico ed individuale, il che lascia non pochi punti interrogativi sulla sua capacità di imporre i propri skills e, soprattutto, sulla fase difensiva. Inoltre, e qui vado controcorrente, a mio parere la meccanica del suo tiro va perfezionata, e non poco: prende bene posizione con i piedi, allineandoli d’istinto al canestro, ma la postura è alquanto scomposta e frettolosa, l’allineamento del busto improbabile, la spinta alla palla la dà più di spalla e braccio destro, che di polso, caricando, fatalmente, troppo dal basso. Se questo, in Europa, non costituisce un grosso problema, stante una statura che gli consente di tirare in testa al diretto marcatore, negli USA dovrà per forza soggiacere ad un robusto lavoro di affinamento, nonché di sala pesi per metter su parecchia massa magra.
Rodions Kurucs, la scelta un po’ sorprendente dei Nets alla 40, è un ventenne lettone della stessa statura del neo-compagno, ma con qualche chilo in più (100 kg). Ala piccola dal killer instinct naturale, sa far canestro in mille modi, costruendosi il tiro, mettendo palla a terra ed attaccando, o anche in situazioni di spot up. Interessante la sua vocazione ad assorbire i colpi ed a cercare il canestro in fade away, ma occhio anche alla possibilità di sviluppare un ottimo “giro e tiro” dal low post, a la Durant (chiedo venia per il paragone irriverente, il cui intento è solo la chiarezza espositiva). Per quanto abbia una discreta meccanica e rapidità di caricamento e tiro, si tratta di un giocatore altrettanto “liquido” ma con una vocazione più interna rispetto a Musa, il che rende molto intrigante la possibilità di combinare le loro caratteristiche durante la partita. Il suo limite principale risiede nell’esperienza, non solo “americana” ed internazionale, ma anche professionistica, se è vero che il nostro ha trascorso la quasi interezza dell’ultimo campionato con il Barcellona B. Forse fisicamente più definito, ma mentalmente ancor più immaturo, dunque.
Summer League. La SL di Las Vegas, in corso proprio mentre chiudo questo mensile, non è, purtroppo, l’occasione di vedere Musa e Kurucs in campo insieme, facendo, il primo, parte della rosa solo formalmente. Non latitano, in ogni caso, succosi motivi di interesse, dalla presenza di Levert e Allen (che, però, hanno visto il campo col binocolo, finora) alla partecipazione delle “star” dei Long Island Nets Doyle, Webb e Murphy, a quella di Dawson, da Israele (subito messosi in luce), e Valuet, l’eterno infortunato “appoggiato”, ormai da tre anni, in Argentina, e finanche di un giapponese (Watanabe) ed un cinese (Yanyuhang, bomber CBA da Shandong). Nel complesso, una delle rose più internazionali, giovani e sperimentali in campo in Nevada, frutto del certosino lavoro di scouting che Marks ha voluto estendere su scala pressoché planetaria. Altra chicca, il comando delle operazioni affidato a Jacque Vaughn, rimasto nonostante la tentazione del college basket, al posto di coach Kenny.
Il mercato. Il tutto seguito, scandagliato e sintetizzato con l’occhio fisso sulle testate d’oltreoceano e l’orecchio sempre attento al ciclone del mercato, in attesa che dal polverone emergesse qualche colpo anche per la rosa bianconera dell’anno che verrà.
Anche in questo caso, come prima del draft, Marks ha aperto le danze e, prima ancora che l’approdo di LeBron ai Lakers innescasse la prevedibile reazione a catena e travolgesse, distruggendolo, qualsiasi interesse per le altre operazioni di mercato, ha piazzato due ottimi colpi: rifirmato Joe Harris con un biennale da 16 milioni complessivi ed assicurato ad Atkinson, con Ed Davis (contratto annuale da 4,4 milioni, usando la Mid Level Exception), il veterano indispensabile per assicurare maggior tenuta sotto canestro su ambo i fronti di gioco, il mentore di cui Allen ha ancora bisogno ed il sostituto in grado di dargli respiro e preservarlo da infortuni e falli.
Su Harris non aggiungeremo nulla a quanto già detto nel mensile precedente: la volontà di rimanere, lui, l’aveva espressa a chiare lettere e la società non sembra aver faticato ad accontentarlo, su cifre forse appena superiori al previsto (evidentemente c’è una meritatissima fiducia nei confronti del ragazzo), ma con un biennale che mette anche entrambe le parti in condizione di rivalutare il contratto, ove necessario, l’estate prossima.
Davis, da Portland, 29 anni, 208 cm per 111 kg, è un 4-5 dal gioco molto interno, sufficientemente solido e verticale per rendersi utile in attacco ed in difesa ed assicurare quella reattività a rimbalzo di cui si è sentita drammaticamente la mancanza durante la scorsa stagione. Reduce da una discreta annata, con 5,3 punti e 7,4 rimbalz
i in 18’ di media, va ad assicurare ad Atkinson la copertura di uno dei più evidenti “buchi” del roster, laddove, fino ad aprile, l’unica alternativa ad Allen era il ricorso allo smallball e si finiva per mostrare il fianco, spesso in modo determinante per il risultato, ai centri avversari più fisici e navigati. Il contratto, solo per un anno, attinge, come detto, per intero dalla MLE, senza, dunque, occupare spazio salariale, che resta a disposizione per il completamento del roster: non tantissimo, ma comunque rimpinguato dal risparmio sul contratto di Howard.
Chi di voi, tuttavia, si aspettava altri colpi di scena da questa finestra di mercato non aveva, evidentemente, colto la morale sottesa alle operazioni precedentemente descritte: liberarsi di Mozgov, sbrigare la pratica-Howard, affrontare il draft in modo statico, chiamando due prospetti che (si spera) torneranno utili tra un anno o due (ad essere ottimisti), imbastire la rosa della Summer League con lo sguardo orientato oltreoceano, puntare su contratti brevi e dare chiari segnali di continuità rispetto al roster dello scorso anno, puntellare i ruoli scoperti con role player economici… Ben più dei tre indizi richiesti da Agatha Christie per mettere insieme una prova: i Nets puntano tutto sull’economia, in vista del 2019, e Marks ha ancora lo sguardo proteso verso il futuro!
Obiettivo: accantonare un margine di manovra salariale tanto ampio (si calcola, con tutte le pinze del caso, tra i 40 ed i 70 milioni) da poter, finalmente, corteggiare con cognizione di causa non uno, ma anche due giocatori di alto livello, di quelli che possono girare le sorti di una franchigia! Evidentemente, usare la prossima annata sportiva per consolidare il gruppo esistente, portare i giovani (una rosa di età compresa tra i 19 ed i 26 anni, fatta eccezione per i pochi veterani!) ad uno step di crescita ulteriore, selezionare al loro interno il core sul quale innestare le star desiderate e dar loro un livello di gioco e competitività tali da rendere la piazza più appetibile. Sarà questa la sfida che attende l’affiatatissimo nucleo di giovani promesse cresciuto cestisticamente all’ombra del Barclays e, soprattutto, Kenny Atkinson, a mio avviso all’ultima chiamata per dimostrare di essere qualcosa di più di un ottimo preparatore specializzato e di saper crescere, come head coach, almeno quanto i suoi ragazzi!
È del tutto evidente (il caso-Howard ne rappresenta la prova del nove) che Brooklyn, oggi, è ancora meta ambita solo da giocatori sottovalutati, affamati di crescita e/o riscatto. Il futuro passa, necessariamente, attraverso un salto di qualità tecnico e d’immagine, l’uno legato a doppio nodo con l’altro, i cui presupposti vanno edificati qui ed ora.
È lo stesso Sean Marks a spiegarci come: andare ad ottobre con questo nucleo, continuare a farlo crescere, accantonare il buyout di Howard (mentre scrivo si parla di circa 5 milioni, non un gran successo, se fosse vero) e qualche altro spicciolo (non sono stati confermati Webb, Cunningham ed Okafor, oltre a Stauskas, già a Portland). Farsi, infine, due conti per decidere come completare la rosa per il 2018: se attraverso un nuovo dump salariale (difficile, a questo punto), una trade o puntando sui residui free agent. Puntellare ciò che già c’è, facendo leva sulla coesione del gruppo e sui margini di miglioramento dei singoli: 28 vittorie sono state ottenute annaspando tra gli infortuni, che hanno stravolto la lineup e la stesa filosofia di gioco, nel corso dell’anno passato. Se il pessimismo della ragione suggerisce prudenza ed un’altra stagione interlocutoria e di sofferenze, l’ottimismo della cultura del lavoro, che da gennaio 2016 anima e sorregge i Brooklyn Nets in questa lunga traversata nel deserto, lascia aperta la speranza a qualcosa di meglio, se solo la dea bendata si decidesse a volgere lo sguardo verso questi ragazzi, almeno consentendo loro di non farsi male!
Come la scorsa estate, dunque, i tasselli mancanti verranno colmati entro il mese che verrà; tutto il resto sarà nelle mani dello staff tecnico e del destino, oltre che legato alla pochezza della Conference, in cui le franchigie inarrivabili si contano sulle dita di una sola mano. Il tutto, in attesa di un decisivo 2019 in cui, ad oggi, solo Crabbe ed Harris risulteranno ancora sotto contratto.
C’è, nell’oceano di opinioni che fluttuano in rete, ancora un discreto dibattito sull’opportunità di ricorrere al tanking per sfruttare nel migliore dei modi il ritorno delle proprie scelte nelle mani dei Nets, dopo anni vissuti di luce riflessa. Nulla osta che Marks pensi anche a questo, ma non in prima battuta. Piuttosto come eventuale e non auspicabile piano B, cui ricorrere solo nella malaugurata ipotesi che le scelte fatte non portino i risultati sperati: non c’è miglior viatico delle vittorie, per scaldare il cuore dei grandi…