Salt Lake City, 17 marzo 2018. No, non si tratta di un refuso, né di una fake news, avete letto bene: Stockton firma con gli Utah Jazz. Se state pensando ad un deja vù, se sentite affiorare i ricordi e quel velo di nostalgia che ammanta sempre di fascino la storia vissuta, è bene tornare rapidamente con i piedi per terra: non si tratta né di uno scherzo, né di una trovata giornalistica, né tanto meno di un viaggio nel tempo, perché non dell’indimenticabile John, si tratta, bensì del figlio David, che ha firmato poche ore fa un contratto decadale con la franchigia che fu, e che mai cesserà di essere, del leggendario genitore.
Salt Lake City è semplicemente impregnata della memoria di John Stockton, che segnò il momento più alto della sua storia cestistica, arrivando solo ad accarezzare il sogno dell’anello, vanificato dalla sfortunata contemporaneità con Michael Jeffrey Jordan ed i Bulls di Phil Jackson. A lui hanno intitolato strade, per lui (ed il suo inseparabile partner di giochi a due, Karl Malone) sono state erette statue. È il mito vivente, così come Rocky per Philadelphia. Ma questo era solo un film…
Utah, oggi, è una realtà decisamente ridimensionata rispetto a quei tempi dorati, ma attraversa un momento magico: sorprendentemente è salita alla ribalta con una marcia trionfale che l’ha portata, di prepotenza e con ampio merito, in piena zona playoff nel selvaggio West, scalzando nientemeno che gli Spurs, ma deve fare i conti con un’infermeria che non accenna a svuotarsi e che, nonostante il ritorno di Dante Exum tra i disponibili, vede marcare visita Rubio e Neto…
Fame di playmaker? Ecco l’idea: chiamare una PG con il solito decadale e, contemporaneamente – perché no? – scaldare ulteriormente animi e cuori con il nome altisonante. Forse ingombrante, ok, ma chi non amerebbe leggere, vedere, vivere una storia così americana? Detto, fatto: nel giorno di San Patrizio, ecco David Stockton, point guard 5’11” (ok, decisamente undersized), dai Reno Bighorns, G-League. 16,3 punti per allacciata di scarpe, 5,2 assist di media, conditi da 1,8 rubate ed il 40% pulito dai 7,25.
Carriera travagliata, quella di Stockton Jr.: stesso college del padre (Gonzaga), undrafted nel 2014, qualche Summer League, un decadale con i derelitti Kings (cui i Bighorns sono affiliati), senza seguito, e due apparizioni oltreoceano, al Cedevita Zagabria (prenderà, tra l’altro, la cittadinanza croata) e nientemeno che in Oceania, con i New Zelnd Breackers, senza fortuna.
Poi David è sempre tornato a Reno, dove lo ha accolto a braccia aperte una franchigia a modo suo storica per la Lega di sviluppo, cucendosi addosso carisma e leadership e inanellando record: primo nella storia della squadra per punti realizzati, assist serviti e palle rubate (in piccolo, le stesse voci del padre, a suo tempo, in NBA). Reno, cittadina del Nevada, non è la capitale mormone, non ne ha la tradizione, ovvio, ma l’ancora giovane figlio della leggenda (26 anni) la sua impronta in quella piccola ma orgogliosa storia, in qualche modo, l’ha lasciata. Aspettando con pazienza e tenacia l’occasione propizia.
Quest’anno la svolta, apparentemente non positiva: infila numerose partite fuori dal quintetto titolare ma, partendo dalla panchina, riesce ad imprimere ai suoi un cambio di marcia a tratti sensazionale, tanto nel ritmo (107 come Pace, dovrà darsi una regolata non da poco, nel gioco paziente di Quin Snyder…), quanto come fonte del gioco (l’asse con il big man Jack Cooley è tanto old style e funzionale da far gridare, a tratti, allo “Stockton to Malone”…), quanto, ancor più, sul fronte realizzativo, soprattutto dall’arco, voce alla quale registra i suoi massimi in carriera.
Razzente, ampia visione di gioco, capace di costruire il pick and roll nelle sue svariate accezioni, così come di mettersi in proprio dal palleggio, guida i suoi alla voce offensive rating (111,6), ma la rapidità di mani e piedi fa ben sperare anche sull’altro versante del campo, affacciandosi in un sistema nel quale la difesa è, insieme, l’architrave filosofica e la chiave di ogni successo.
Dieci giorni per meritarsi un secondo contrattino e poi, chissà, magari quello vero. Non possiamo, non riusciamo a non tifare per lui: prima ancora di calcare i parquet che contano David è già riuscito a farci sognare. E, ne siamo certi, anche voi…