Stefano Vidili, torinese al 100 per cento, se io le dico Partizan Belgrado a lei oggi cosa viene in mente?
“Una sera di fine gennaio 1987 a Torino, freddo, neve. Clima ideale per i belgradesi, un pò meno per noi, la Berloni Torino. Il Pala Ruffini era pieno anche se la partita non contava nulla per la nostra squadra c’era un’atmosfera splendida nel palazzo. Che a parte per vedere noi era pieno perché si parlava tanto di questi giovani virgulti slavi:Djordjevic, Divac e compagnia bella. Per la cronaca abbiamo perso di 1 punto“.
Come andò quella stagione europea?
“Venivamo da due stagioni stupende con Dido Guerrieri ma nel 1987 arrivò in panchina un altro grande, Mario De Sisti che però non legò moltissimo con l’ambiente e fu esonerato. Al suo posto entrò il vice Federico D’Anna che fino a quel momento allenava noi nella Juniores (Vidili è classe 1968, ndr). Quell’anno lì io e Pessina eravamo nel roster della prima squadra e quella fu la nostra prima vera stagione europea da protagonisti. Passammo il primo turno preliminare con il Panionios Atene e siamo entrati nel girone con l’Asvel Villeurbanne, Saragozza e Partizan Belgrado. All’inizio siamo stati titubanti poi abbiamo vinto due partite di seguito ma la differenza canestri ci ha punito. Un pò abbiamo pagato lo scotto dell’esordio in Europa, un pò il fatto che dei due americani uno, Peter Thibeaux non era in grado di reggere il doppio impegno campionato e coppa”.
L’Europa che lei ha incontrato nella sua carriera è stata molto diversa da quella del 1987?
“Sì. Perché con Siena quando abbiamo vinto la Coppa Italia ho fatto una breve apparizione in Coppa Korac. Ma le Coppe vere le ho affrontate nella prima parte della stagione ’96-97 quando ho giocato in Spagna e poi ho chiuso alla Fortitudo Bologna ed ho giocato l’Eurolega. A distanza di quasi dieci anni erano cambiate tante cose, a cominciare dalla regole sui comunitari e gli stranieri che nell’87 erano solo due. Già in Spagna quell’anno lì gli extracomunitari erano tre, e poi si è andati progredendo, purtroppo verso un abuso degli “stranieri”. Si è alzato il livello fisico, ma per esempio si è abbassato il tempo delle trasferte: nel 1987 andare a Belgrado tra aerei e “torpedoni” , o in un altro posto da cortina di ferro era problematico, oggi in due ore sei più o meno dovunque“.
Torniamo al fatto che lei è un torinese doc. In città si parla di questo rientro in Europa? I ragazzi per esempio che lei allena a Piossasco, ne parlano, sanno?
“Sì se ne parla molto perché Torino in questi anni con l’avvento della presidenza Forni ha avuto un salto di qualità importante, specie perché hanno ricominciato a girare dei soldi in una città dove per il basket ce ne erano pochi. Va dato atto a questa dirigenza di aver allacciato in questi anni rapporti con la Fiat ma negli anni precedenti anche con realtà importanti che erano state dimenticate o non sollecitare come si doveva fare. E quindi se ne parla tanto, c’è grande attesa, la squadra secondo me è pronta per il doppio impegno, o almeno lo spero da tifoso e torinese. Luca Banchi secondo me è la ciliegina che ha permesso questo salto di qualità perché è abituato, tanto a Siena quanto a Milano a fare questo tipo di ragionamenti. I miei ragazzi ne sanno perché oggi con la tecnologia ed un click si tiene tutto sotto controllo e sento che ne parlano e so che qualche partita la andranno a vedere“.
Lei, Della Valle, Morandotti i grandi giocatori torinesi che mi vengono in mente, avreste spazio oggi in Europa?
“Sicuramente Della Valle e Morandotti sì. Fisicamente Della Valle era un play atipico, anomalo. I play di oggi vanno certamente ad una velocità superiore ma Carlo aveva la doppia dimensione, lontano e vicino a canestro. Per non parlare di Morandotti che già al tempo aveva doti tecniche e fisiche eccezionali, oggi nel ruolo di ala piccola potrebbe fare certamente molto bene. Io? Non lo so, francamente vedendo alcuni giocatori di oggi penso che potrei giocarmela, se fossi in forma credo che farei la mia bella figura“. Cioè sempre canestro…
Eduardo Lubrano