Ultimi ritocchi sul mercato, ancora qualche spunto da cogliere tra le pieghe delle dichiarazioni, due congetture tattiche, poi, finalmente…si comincia! Mentre scrivo, i Nets hanno appena concluso il training camp presso la Naval Academy di Annapolis, nel Maryland, e si apprestano a calcare il parquet per la prima volta, aprendo al MSG contro i rivali concittadini. Allacciate le cinture?
https://youtu.be/J4eCAtmesEg
La cronaca: il mercato, dicevamo… Il primo colpo in free agency i Nets lo mettono a segno a bocce quasi ferme, (o almeno così sembrava, prima che Anthony finisse alla corte di Russell Westbrook e Wade riabbracciasse King James), firmando Tyler Zeller, nella scia dell’ormai consolidata strategia “low risk” inaugurata due stagioni fa con Andrea Bargnani e proseguita lo scorso anno con Anthony Bennett: che sia la volta buona? Solo pochi giorni prima dei suoi provini, era stata la volta di Jared Sullinger, ex compagno di squadra che, personalmente, immaginavo più utile alla causa, essendo il classico stretch four. Tuttavia, le condizioni fisico-atletiche di un giocatore storicamente perseguitato dai problemi con infortuni e peso-forma devono aver inciso non poco sulla scelta tecnica. Zeller, che ha firmato un vets minimum annuale con team option sul secondo anno, è un lungo tradizionale di circa 2,13 m, classico giocatore da post, centro titolare dei Celtics fino a due anni or sono, scivolato poi man mano fuori dalle rotazioni anche a causa di una malattia che lo ha lungamente tenuto lontano dal campo. Un Tyler Zeller al top garantirebbe minuti di fisico e qualità alle spalle del (presunto) titolare Mozgov ma, ovviamente, vista la curva di rendimento in fase calante, il suo apporto è tutto da verificare.
Ma non è finita qui, perché Marks si è poi spinto fino a completare il roster per il training camp (lo ricordiamo, fino ad un massimo di 20 tesserati, da ridurre a 17 – 15 garantiti e due “two-way contracts” – entro il 16 ottobre) firmando Akil Mitchell, PF 6’9” capace di collezionare record universitari di rimbalzi e quintetti difensivi dell’anno, per poi finire in Nuova Zelanda ed infortunarsi. Ripescato a fine stagione dai Long Island Nets, eccolo provare a giocarsi le sue carte per fare roster in NBA. Difficile ma, in teoria, i numeri non gli mancano, vedremo…
…il roster…. Il conto, al momento, è di 14 contratti garantiti, 4 non (Dinwiddie, da estendere entro fine ottobre, Doyle, Senglin e, appunto, Mitchell) e due 2W-C (Ouattara e Wiley). Atkinson, in merito, è stato molto chiaro: la competizione per fare la quadra e, tra i garantiti, per strappare minuti sul campo, è aperta. Tutti dovranno dare il massimo, non esistono quintetti predefiniti, giocherà chi ne avrà di più. Filosofia assolutamente condivisibile, in una stagione in cui, partendo da un parco-giocatori non rivoluzionato, finalmente (ben nove conferme rispetto allo scorso anno), ma certo molto ringiovanito ed irrobustito da massicce iniezioni di talento rispetto al precedente, senza la pressione dei playoff, ma neppure, ancora una volta, la tentazione del tanking, ha tutte le carte in regola per divertire, crescere e gettare le basi per un futuro di lungo respiro: dopo averlo annunciato per due anni, siamo alle soglie dell’anno-zero, finalmente!
…e la sfiga! L’ottimismo, a Brooklyn, regna sovrano e cresce, mal celato dietro la foglia di fico della prudenza, di pari passo con l’entusiasmo dei tifosi. Tutto bene dunque? Bene, sì, ma non benissimo, verrebbe da dire, perché la strada dell’inferno, si sa, è lastricata di ottime intenzioni e Sean Marks, a quanto pare, ha ancora il difetto di non essersi attrezzato per i miracoli: al di qua del ponte, davvero, ce ne vorrebbe uno ma grosso, per fronteggiare una sfiga che, come noto, ha vista di falco e non sembra distogliere lo sguardo dai Nets.
Se Medusa, con un’occhiata, pietrificava, la signora in questione, invece, se la prende con la salute degli atleti, e persevera, incurante del passare degli anni, da Brook Lopez a Deron Williams, passando per Lin lo scorso anno…Non è ancora finita l’estate che Allen Crabbe ha scavigliato la stessa articolazione sottoposta a chirurgia appena a maggio scorso… Dopo aver lasciato trapelare un cauto, iniziale ottimismo sui tempi di recupero, i bollettini medici sono misteriosamente divenuti criptici, la prognosi riservata e la preoccupazione lasciata trapelare da coach Kenny certo non induce i migliori pensieri. Ad oggi, nulla si sa sui tempi di recupero di quello che, a mio avviso, è il più azzardato investimento ed una delle chiavi di volta della prossima stagione, benché si sia recentemente rivisto calcare il parquet senza tutore e provare qualche sessione di tiro. Incrociamo le dita…
Missione Eurobasket. Abbiamo seguito, tra una partita dell’Italia e l’altra, con interessata passione e moderata soddisfazione le imprese dell’unico giocatore dei Nets impegnato ad Eurobasket, Timofey Mozgov, per trarne, tutto sommato, una discreta impressione: il giocatore ha avuto, obiettivamente, 20-25 minuti di vera sostanza nelle gambe, mostrando un notevole gioco in pick and roll ed una buona difesa del ferro, ma anche piedi non velocissimi e la solita, mediocre reattività a rimbalzo difensivo. Ha giostrato da centro tradizionale, senza mai forzare un tiro da più di cinque metri dal ferro o un passaggio. È stato, comunque, tatticamente fondamentale per portare la sua Russia fino ai piedi del podio, al traino di uno splendido Shved. C’è di che essere prudentemente ottimisti, con riserva: Atkinson si aspetta senz’altro qualcosa di più e di diverso dall’unico suo giocatore in possesso di un anello!
Ce n’era un altro, dei Nets, ai campionati europei: trattasi di coach Chris Fleming, che ha guidato la rinnovata Germania, la prima dell’era post-Nowitzki, a disputare uno splendido europeo, a fare, purtroppo, molto male all’Italia, a far fuori, sorprendentemente ma con merito, la Francia per poi arrendersi solo ai fratelli Gasol. Davvero ben fatto, coach!
Olio di gomito. La vita del cronista NBA (ancorché dilettante) è dura nel mese di settembre: davvero poco da raccontare. Ma questo vale solo se ci si siede ad aspettare la news, perché, in realtà, è proprio a riflettori spenti che si gettano le basi di quella che, un giorno, sarà una notizia. È il lavoro in palestra che fa di un prospetto la star del futuro, oppure che permette al gigante ferito di rialzarsi e tornare grande.
Non sapremo mai, fino in fondo, se Sean Marks coltivasse già queste convinzioni prima di firmare per i Nets oppure se, messo di fronte alle macerie della franchigia, abbia fatto semplicemente di necessità virtù. Probabilmente la verità sta nel mezzo, come sempre. Fatto sta che, dalla scelta, come capo-panchina, di un coach alle prime armi ma riconosciuto e rispettato in tutta la Lega come preparatore, passando per la costruzione, intorno a lui, di uno staff giovane e preparato, attento in modo maniacale ai dettagli (come non sottolineare, ogni volta che torno sull’argomento, l’abisso che distingue la nuova dalla vecchia gestione Hollins?), fino alla selezione dei giocatori, la filosofia, l’etica, la cultura del lavoro sono divenute la pietra angolare del rebuilding.
A voler grattare sotto la superficie di ultimi ritocchi di mercato, conferenze stampa, annunci ad effetto, proclami entusiastici dei giocatori e prudentissimi dei dirigenti, la vera (non-) notizia di settembre risiede proprio nel lavoro di preparazione che, non da ora, veterani e nuovi arrivati stanno meticolosamente portando avanti. Abbiamo già raccontato della settimana di training svolto da Levert e Kilpatrick con Kevin Durant e sotto la guida di Steve Nash. Abbiamo già accennato delle nottate di D’Angelo Russell passate in sessioni di tiro, fin dal suo arrivo. Sveliamo ai più solo adesso, invece, che, ad esempio, Hollis-Jefferson si è lungamente allenato con Zach Randolph, per perfezionare i movimenti in post con un vero maestro in materia…Ma diciamo anche che, oggi stesso, ho visto i due Mozgov e Zeller impegnati in una sessione di tiro da tre: esperimento azzardato ma molto interessante, se pensiamo all’incredibile exploit di Brook Lopez, nel fondamentale, la scorsa stagione! Non che ci si aspetti la stessa mano dell’ex beniamino di casa; ma che i lunghi siano, all’occorrenza, anche capaci di aprire il campo minacciando il tiro, oppure di occupare l’ormai vituperato mid-range, quello sì. Della serie: non c’è età, né ruolo che tenga, nessuno, ai Nets, può dirsi arrivato, tutti hanno la possibilità ed il dovere di provare ad evolvere. Tutti hanno a disposizione programmi personalizzati volti a perfezionarsi ed andare oltre i propri limiti. Russell stesso, appena arrivato, era rimasto colpito da un’organizzazione tutta imperniata sul lavoro tecnico-atletico, paragonandola ad un sistema “college-style”.
https://twitter.com/BrooklynNets/status/914167642067529728
Qualche altro esempio? Puntiamo su due tra i più importanti progetti tecnici dei Brooklyn Nets: Caris Levert e Jarrett Allen. Levert, con Dlo, rappresenta la speranza della franchigia, senza tema di smentite. Sarà l’anno della consacrazione, questo? Probabilmente, non ancora, ma senz’altro può essere quello della svolta, del passaggio da bella promessa a concreta realtà con cui avversari e competitori per un posto da titolare dovranno fare i conti. Benissimo: quali i suoi limiti più evidenti? Confidenza nel tiro da fuori e stazza dalla vita in su? Ecco il nostro eroe, dunque, trascorrere l’estate in palestra a lavorarci su…su, fino a lasciare coach Kenny a bocca aperta per i risultati ottenuti, almeno all’apparenza.
Jarrett, la potenziale steal del draft, è acerbo e gracile al punto da aver indotto la totalità degli analisti a presagire, per lui, una lunga stagione a Long Island, con l’aggravante dell’infortunio che lo ha tenuto lontano da Las Vegas in occasione della Summer League. Bene: eccolo tornare “tirato” come non mai per il training camp, al punto che, sempre Atkinson, promette di trarne un contributo fondamentale molto, molto prima di quanto tutti, lui compreso si aspettassero.
Tanto, tantissimo olio di gomito, dunque, per la gioventù operaia di Brooklyn, nella speranza che arrivi presto il pay-day…
Speculazioni di una notte di fine estate. Per i (pochi) tifosi dei Nets, soprattutto nell’ultimo mese, non sarà stato infrequente imbattersi in articoli che ventilavano l’ipotesi di un esperimento in death lineup, o smallball o longball che dir si voglia, ovvero l’ipotesi di un quintetto small sized tutto aggressività, difesa, corsa. Si tratta, semplicemente, della riproposizione, in salsa estrema, di un quintetto già ampiamente sperimentato lo scorso anno, peraltro spesso con successo, laddove Acy fungeva da 5 tattico con ampia licenza di colpire da fuori? No, è qualcosa di differente, se si pensa ad una frontline composta da DeMarre Carroll in spot 4 e…Rondae Hollis-Jefferson da 5! Dobbiamo, cioè, immaginare 5 potenziali esterni, tutti teoricamente più rapidi degli avversari, pressare a tutto campo, aggredire le linee di passaggio, accettare tutti i cambi difensivi, cercare l’anticipo, il raddoppio, per poi monetizzare in contropiede o con la rapida circolazione, l’eventuale palla recuperata. Oppure costruire veloci pick and roll altissimi per lucrare della rapidità di piedi di RHJ, rapidità che già gli valse, lo scorso anno, la semi-consacrazione una volta dirottato in posizione di power forward e sgravato dell’obbligo del tiro dalla media-lunga.
That scrimmage flow. #WeGoHard https://t.co/GXD5iy3V3I
— Brooklyn Nets (@BrooklynNets) September 30, 2017
Il gioco va verso questa frontiera, ci dice soddisfatto Kenny Atkinson, il quale sa bene che si tratta di ipotesi plausibili solo per determinati frangenti e brevi fasi della partita, finché gli avversari non trovino gli adattamenti giusti. Ma sa anche benissimo che, con una squadra dai ruoli così poco definiti e di così ampia versatilità, le soluzioni saranno tante.
Sta a lui, ora. Lo scorso anno, da rookie, ce n’è voluta, di pazienza, tra errori nelle scelte del quintetto, nel timing delle sostituzioni e delle chiamate, stante anche la maledetta sfortuna, prima di arrivare alla definizione di gerarchie ed equilibri soddisfacenti. I risultati si sono visti nel finale di stagione, ma ormai era tardi, per cambiare ranking e giudizi. Quest’anno, con una squadra più confacente alle sue idee, più giovane e talentuosa, nessuno gli chiede i playoff, ma una crescita ed una identità da acquisire prima e meglio, quello sì.
Le premesse per fare bene e divertirci ci sono tutte. La scorta di birra e patatine è fatta, il tempo delle parole è finito: è già quasi ora dell’esordio in preseason. Al Madison Square Garden. Non è mai uno scrimmage. È pur sempre the battle of the boroughs… Poi ancora due settimane ed il più grande spettacolo sportivo al mondo avrà inizio!
Stay tuned!