Geri De Rosa cominciamo con la domanda di carattere più generale: il basket italiano è davvero malato?
“Secondo me abbastanza. Veniamo da un lungo periodo nel quale vinceva solo Siena e questo ha indebolito le altre squadre, ora sembra il turno di Milano ma vediamo quanto dura. I soldi sono pochi e le regole che cambiano continuamente non aiutano. Mi pare che si “tiri un pò a campare” e che sia difficile fare un progetto a lungo termine. Milano per esempio, vive sui soldi di un grandissimo benefattore come Giorgio Armani, bisognerebbe sfruttare meglio questo momento, aiutarlo a credere sempre di più nel basket e la società dovrebbe avere la forza di continuare ad investire nei settore giovanile dove sta facendo delle cose molto buone”.
A proposito di cose buone, cosa vede di positivo nella nostra pallacanestro?
“La base è molto forte. Faccio un esempio: ci sono così tante squadre che iscriverne una nei campionati minori è molto difficile. Magari la base è più orientata verso l’NBA nel senso che i ragazzi sanno meglio chi sono le guardie di Charlotte piuttosto che quelle di Reggio Emilia per dirne una, ma questo riguarda anche il grande spettacolo che quel campionato offre. I disabili ed il baskin sono un movimento in forte crescita. Noi diciamo spesso che il basket è uno solo ed è vero: il rumore del pallone che rimbalza, o quello della retina quando il pallone va dentro sono gli stessi in tutto il mondo. C’è una forte richiesta di campetti all’aperto ma chi gestisce dall’alto il movimento ha paura dei cambiamenti. La vicenda degli stranieri in serie C è ridicola, come lo è stata quella delle Coppe l’anno scorso. Nessuno si è mai chiesto quale fosse davvero il meglio per il nostro basket”.
Perché i giovani non giocano poco nella Lega A professionistica ed ancor meno in A2?
“Perché torniamo al discorso dell’organizzazione del movimento e delle regole. Le annate dal ’91 al ’94 hanno prodotto giocatori molto forti molti dei quali giocano in serie A, dove ci sono molti stranieri ed comunitari, abbastanza minuti, gli altri fanno panchina e spesso sono soli i cambi degli stranieri dunque con pochissime chance di vedere il campo se non per scampoli di partita. Per quello che riguarda la A2, con una sola promozione, le squadre tendono a fidarsi per i mesi più importanti del campionato dei cosiddetti “vecchietti”. E’ una questione credo di poca fiducia appunto“.
Cosa c’è di interessante nel nostro campionato dal punto di vista tecnico?
“E’ sempre più difficile arrivare al ferro e quindi vedere il classico terzo tempo al quale eravamo abituati perché la stazza ma soprattutto direi l’atletismo di molti lunghi lo rende impossibile. Il ricorso al tiro da tre è stato quindi una logica conseguenza di questa situazione ma ora mi pare di vedere una cosa nuova: la zona compresa tra l’area pitturata e l’arco dal tiro da tre sta tornando ad essere un luogo pericoloso dal quale attaccare e tirare con un progressivo ritorno del palleggio-arresto e tiro che ci piaceva tanto. Anche perché le difese sanno adeguarsi sempre di più sul tiro dai 6.75 metri Vedo anche un sempre più frequente ricorso alla zona ma ho la sensazione che sia più un’arma di ripiego per nascondere problemi o assenze importanti che una risorsa tattica e propria scelta dagli allenatori“.
Parliamo dell’Europa e dell’Eurolega. Il divario tra noi e gli altri è solo ancora solo una questione di soldi e quindi di potersi permettere i giocatori migliori?
“No. Non solo. Vent’anni fa era impensabile come abbiamo visto in questi ultimi anni, che le nostre squadre facessero tanta fatica contro squadre polacche, estoni, slovacche o ceche o ungheresi. Invece in questi paesi hanno lavorato bene sull’identificazione del pubblico con la squadra e con un gruppo di giocatori del posto. Questo con la diffusione della tecnica e della tattica di gioco ha prodotto buoni giocatori anche in queste Nazioni ed un livellamento importante. Poi ci sono anche squadre che non hanno un solo giocatore del posto in squadra ma magari sono composte da gruppi di giocatori che sono lì da anni e che quindi hanno sviluppato un affiatamento ed un progetto di gioco importante. Certo è facile identificarsi con Teodosic o De Colo ma da quanto tempo questi due per esempio sono al CSKA? Se non cambi dieci giocatori all’anno come avviene da noi è più facile. Per quanto riguarda la squadra che mi piace di più senza dubbio è il Real Madrid. Gioca davvero di squadra pur essendo piena di stelle e su tutti a me piace Sergio Llull che è un fuoriclasse. Ha un fisico fuori dalla norma, non sta mai fermo ed ha una velocità impressionante“.
E per chiudere il discorso Nazionale. Quanto dipende la nostra squadra dal recupero di Alessandro Gentile e che prospettive abbiamo finalmente di far bene?
“Il problema è complesso. Prima di tutto bisogna recuperare il ragazzo, l’uomo Alessandro che essendo un ragazzo molto sensibile e buono di natura penso stia vivendo questo momento in modo molto forte. Poi l’Europeo è un terno a lotto che negli ultimi anni ha visto vincere sempre la Spagna ma l’ultima volta è stata a 30 secondi dall’eliminazione, Noi abbiamo una squadra con giocatori molto forti ma difficile da far giocare insieme. Si sentirà la mancanza di uno che sa da chi andare nei momenti decisivi impedendo che chi ha la palla in quel momento decida da solo cosa fare. Hackett stava diventando questo tipo di giocatore all’Olimpiacos ma l’infortunio temo lo rimetterà in sesto forse solo per la prima partita dell’Europeo quindi con tutte le incognite del caso. La disponibilità dei giocatori a giocare insieme mi pare ci sia e per fortuna Ettore Messina questa volta avrà più tempo per lavorare soprattutto tatticamente con la squadra“.
Eduardo Lubrano