Forlì, 7 febbraio – Con la pausa forzata dovuta all’indisponibilità del PalaFiera di Forlì, adibito a campo in terra rossa per la Fed Cup di tennis, pausa che arriva per altro in un momento piuttosto propizio per la compagine di coach Giorgio Valli, abbiamo trascorso una piacevole serata a cena con uno degli idoli indiscussi del popolo cestistico forlivese, Andrea Niccolai, al quale abbiamo chiesto di raccontarsi e raccontarci un po’ della sua vita nel mondo della pallacanestro di ieri e di oggi.
Buonasera Coach, per prima cosa le chiedo come sta andando questa sua esperienza in serie B alla guida della Fiorentina Basket?
“Direi che sta andando molto bene perché sono subentrato a coach Cadeo con la squadra che era terz’ultima e con un filotto di vittorie, alcune delle quali molto importanti, siamo risaliti nella parte alta della classifica. Nelle ultime settimane siamo stati frenati dagli infortuni ma ieri i ragazzi sono stati eccezionali nel fare l’impresa di battere, nonostante l’emergenza, la prima in classifica Moncalieri che non perdeva da due mesi, un successo preziosissimo per centrare l’obiettivo play off che è quello che la società mi ha chiesto di raggiungere quando sono arrivato. E’ chiaro che ora siamo diventati una squadra più temibile e più rispettata per cui tutte le avversarie ci aspettano con una maggior consapevolezza della nostra crescita e le sfide si sono fatte più agguerrite e più difficili. Però devo dire che questa è un gran bella esperienza perché Firenze è una piazza molto intrigante e stimolante dove si può fare un buon lavoro e dove c’è una pallacanestro di base molto diffusa con diverse realtà giovanili e davvero tanti tesserati. Pertanto contribuire alla crescita di questo movimento, cercando di consolidare e aggregare intorno alla Fiorentina Basket quanto più entusiasmo possibile, per me è un obiettivo molto importante”.
Da Monsummano a Firenze la distanza è davvero poca. Quali sono le principali differenze che ha riscontrato nel lavorare qui piuttosto che “sotto casa”?
“Monsummano e Montecatini che ormai cestisticamente sono integrate, rappresentano un po’ casa mia per cui fare pallacanestro lì per me è allo stesso tempo gratificante e complicato. Gratificante perché guidare da coach una squadra che gioca al Palaterme, un luogo dove sono cresciuto come uomo e giocatore ti dà emozioni fortissime, complicato perché collaborare con persone con le quali ci si conosce da una vita per certi aspetti è divertente ma rende più difficile in certi frangenti gestire i rapporti e la struttura con la professionalità necessaria. Firenze sotto questo aspetto è un’esperienza completamente differente, molto stimolante per me perché si tratta di un ambiente diverso e completamente nuovo, seppur non molto distante da casa, dove le dinamiche sono più vicine a quelle che ho vissuto per tanti anni in giro per l’Italia ed in questo senso ho avuto la fortuna di trovare in una figura come il nostro GM Antonio Fagotti un riferimento ed un interlocutore prezioso con il quale lavorare e confrontarsi 24 ore su 24. Sono due esperienze diverse ma che ho vissuto e sto vivendo con il 100% della dedizione e della passione per il mio lavoro.
Da sempre c’è un legame molto forte tra lei e Forlì molto più che con altre città. Eppure lei ha giocato in piazze molto importanti come Treviso, dove vinse uno Scudetto e una Supercoppa Italiana, come Roma, dove conquistò una Coppa Korac, o come Milano. Come si spiega tutto questo?
“Forlì arrivò in un momento della mia vita cestistica particolare, perché c’era il bisogno di rimettersi in gioco, ci fu una Serie A2 vinta con quell’indimenticabile serie di finale con Rimini che è diventata storica, e poi una Serie A1 fatta ad altissimo livello e quindi tutti questi momenti sono rimasti indelebili dentro di me. Poi devo ammettere che il calore e la passione che trasmettono i tifosi di Forlì per chi gioca in questa piazza ti entra dentro, è un qualcosa di davvero speciale e ti rimane nel cuore. Questa empatia che l’appassionato di basket a Forlì trasmette a chi dà veramente tutto per questa maglia e a chi si mette in gioco come persona oltre che come giocatore è unica ed in me ha fatto sì che sia nato veramente un grande feeling con questa comunità facendola diventare una delle pagine più belle della mia carriera”.
Se a Forlì dici Niccolai la mente di tutti corre a quel 21 maggio 1995. Ci racconta quegli ultimi 15” di gara 3 di play off Rimini-Forlì? E perché, sotto di 2, scelse il tiro da tre?
“Eh bei ricordi! Questo è un film rivisto tante volte nella mia mente anche a distanza di molti anni e credo sia così per tanti appassionati di basket forlivesi e non solo. Mi emoziono quando qualche tifoso che ha vissuto quei momenti mi dice che ha fatto vedere a più riprese quel canestro e quel tripudio ai propri figli che allora erano piccolissimi o non erano ancora nati. Era un momento nel quale bisognava lasciare il segno, di quella squadra io ero il leader ed ero colui che giocava i possessi più importanti oltreché le principali iniziative offensive. Ed avvertii che quello era il momento di prendersi quella pesantissima responsabilità. L’istinto in quel momento diceva che bisognava vincere quella partita, che non ci si poteva accontentare dei supplementari e così intravidi lo spazio per tirare da tre. Fu come un segno del destino, per com’era andata la stagione, per come furono quei play off in cui arrivammo a gara 3 proprio contro Rimini ed arrivarci con la possibilità di vincere con l’ultimo tiro sembrò come un sogno che si realizzava per me ma soprattutto per un’intera piazza che meritava quel traguardo più di ogni altra cosa. E così quel tiro, figlio dell’istinto, fece diventare tutto questo una grandissima realtà per tutta Forlì”.
A quei tempi Rimini-Forlì era un po’ anche la rivalità Myers-Niccolai. Lei come giocatore questa rivalità la sentiva o era più una cosa tra tifoserie?
“No, non avvertivo una rivalità forte in senso negativo perché io ho sempre avuto un grande rispetto per Carlton perché era un giocatore che come me si è costruito la sua carriera e il suo successo con il lavoro, con la continua abnegazione alla ricerca di migliorarsi e questo fra giocatori si sa e lo si riversa sull’avversario sotto forma di tanto rispetto. E’ chiaro che eravamo in quel momento tra le migliori guardie della pallacanestro italiana e ogni partita contro di lui era altamente stimolante. Riuscire poi a vincere quel play off contro Rimini, nella sua città, dove tutti e due eravamo giocatori di un livello superiore, transitati in A2 quasi per caso, fu per me una soddisfazione enorme”.
Ci può raccontare un aneddoto che si ricorda dei giorni che precedettero quell’indimenticabile impresa di Forlì?
“Mi viene in mente un aneddoto legato al nostro americano Kenny Beck’s (questo era il suo soprannome n.d.r.). Noi eravamo tutti molto carichi e fiduciosi per il play off ma allo stesso tempo molto rispettosi dei tanti giocatori di nome come Myers, Ruggeri o Ferroni che militavano tra le fila di Rimini. Kenny ci dette una grande mano a trovare la giusta consapevolezza nei nostri mezzi perché lui, che aveva giocato in NBA, di quei nomi non ne conosceva nessuno e per lui erano ragazzi normalissimi di cui noi non potevamo avere la benché minima paura. Questa sua spensieratezza nell’affrontare mentalmente una sfida così importante ci portò anche a noi ad avere l’atteggiamento giusto nell’affrontare quella serie che poi tutti sanno come andò a finire”.
In molti sostengono che l’anno successivo in A1 se l’allora Olitalia fosse andata ai play off invece di perdere l’ultima partita in casa con Trieste, forse la storia di Forlì sarebbe stata diversa. Lei in merito cosa ne pensa?
“Onestamente non credo. Quello fu un anno speciale in cui entrò in vigore la famosa Legge Bosman e molti giocatori del roster forlivese erano appetiti non solo in Italia ma anche in Europa. Juan Manuel Moltedo ad esempio andò a giocare in Grecia, così come il mio amico Stefano Attruia, io stesso fui cercato da Maurizio Gherardini ed andai a Treviso dove vissi un’esperienza molto importante. Insomma facemmo veramente molto bene con un’annata molto bella e questo aprì le strade a molti di noi e contemporaneamente Forlì ridusse l’impatto della competitività e quindi quello fu un ciclo che andò a chiudersi e sarebbe andato a chiudersi a prescindere dalla sconfitta in casa con Trieste. Purtroppo cambiarono i tempi e le regole non giocarono certo in favore di Forlì che non poteva competere con certe potenze economiche per trattenere i giocatori”.
In quella squadra che conquistò la promozione giocava, lo ha citato prima, un certo Kenny Williams. Un americano che ancora oggi manderebbe in visibilio i tifosi forlivesi. Ci racconti un aneddoto che ancora oggi la fa sorridere e che caratterizzò la sua esperienza forlivese.
“Mah, un’altra cosa sua era che il sabato spesso e volentieri non si allenava perché gli piaceva andare al Casinò di Venezia con tutto il suo clan di amici e fratelli americani che naturalmente lui manteneva a spese sue a Forlì, a giocare ed a fare bisboccia e noi tutti lo sapevamo. Però sapevamo anche che lui era un vincente e la domenica dava il massimo e ci faceva vincere le partite. Ecco questo era un segnale di come era affiatato il nostro gruppo perché questo non fu mai motivo di polemica. Eravamo compatti e sapevamo che Kenny sarebbe arrivato la domenica e ci avrebbe aiutato a vincere, ci avrebbe dato una grande mano con grande voglia e trasporto nonostante venisse dall’NBA e si trovasse a giocare in Serie A2. Questo suo saltare gli allenamenti e andare al Casinò era quasi diventato un rito tanto che eravamo preoccupati quelle poche volte in cui si presentava il sabato agli allenamenti. Però, a parte le battute, quella situazione era sintomatica di quanta stima vigesse nel nostro gruppo, quanta voglia di vincere ci fosse e quanta forza nell’andare oltre ad una situazione che era evidentemente anomala ma che tutti noi accettammo perché il risultato era la sola cosa che ci importava”.
L’anno in cui conquistaste la promozione cambiaste allenatore a stagione in corso. Cosa con Michelini non funzionò e cosa Phil Melillo aveva di particolare?
“Con Stefano, che era un ottimo allenatore, innanzitutto partimmo con un americano, English, che oltre a non integrarsi al meglio tecnicamente con Stefano (Attruia n.d.r.) ed il sottoscritto, toglieva spazio alla crescita di Juan Moltedo e alla voglia di rivincita di Max Di Santo che veniva da una stagione alterna e con qualche critica di troppo. Con l’arrivo di Kenny la squadra si assestò rinforzandosi sensibilmente sotto canestro pur mantenendo una pericolosità importante sul perimetro con me, Stefano, Max e Juan a dividersi il minutaggio e con l’aggiunta di Federico Antinori che dette un contributo importante. Con il subentro di Phil Melillo le dinamiche di gruppo raggiunsero l’equilibrio ottimale grazie all’ottimo rapporto che, da ex giocatore, Phil instaurò con ognuno di noi. A partire da Kenny che grazie alla lingua e alla comune mentalità americana riuscì a motivare al meglio. Per quanto riguarda il gruppo di italiani con Phil c’era un feeling particolare che partiva dall’esperienza al Messaggero Roma degli anni precedenti dove lui era assistente della prima squadra con me ed Attruia e allenava nelle giovanili i vari Moltedo, Monti, Antinori e Focardi. Angelo Rovati e Piero Parisini ebbero la grande intuizione di portare anche lui a Forlì e di affidargli la squadra per il dopo Michelini. Una conoscenza e stima reciproca che partiva quindi da lontano e che ci ha permesso di diventare un gruppo granitico”.
Lei ha avuto tanti allenatori. Le chiedo di farmi due nomi su tutti e di entrambi di raccontarci un episodio che oggi, a distanza di tempo, si possa raccontare.
“Ho avuto veramente tanti allenatori importantissimi a partire da quelli che mi hanno convocato e guidato in Nazionale e cioè veri giganti della panchina come Valerio Bianchini, Sandro Gamba ed Ettore Messina. Nei Club citazione d’obbligo per quelli insieme ai quali ho vinto campionati o coppe quindi Massimo Masini, Paolo di Fonzo, Phil Melillo, Stefano Pillastrini, Attilio Caja. Ma i due allenatori che più di tutti hanno avuto un impatto sulla mia pallacanestro da giocatore e mi hanno ispirato come allenatore sono due icone del basket mondiale come Mike D’Antoni e Zelimir Obradovic. Due coach dalla mentalità e filosofia di gioco quasi antitetiche ma ugualmente vincenti.
Mike con la grande fiducia e autostima che infondeva a squadra e giocatori riusciva a creare un clima di entusiasmo ed energia pazzeschi. Ricordo la riunione post eliminazione casalinga in Coppa Korac a Treviso contro l’Aris Salonicco, una partita stregata iniziata con un -20 e portata in extremis al supplementare poi perso. Noi distrutti in spogliatoio ed in attesa di una mega strigliata. Invece nel video furono evidenziate soprattutto le azioni positive che ci portarono ad una grande rimonta e il suo incipit fu: “Una squadra che recupera 20 punti ad una compagine fortissima come l’Aris è una squadra pronta a vincere lo Scudetto, ora usciamo di qui ancora più carichi e convinti!!!”. Vi lascio immaginare la forza e la voglia di rivincita originata da quella riunione. Ed infatti fu Scudetto vinto in finale contro la Fortitudo… Ancora contro Carlton…
Zele con la sua immensa conoscenza del gioco e della strategia difensiva, trasformava le partite in una vera propria sfida a scacchi con il coach avversario. Lui era capace di studiare pro e contro di ogni scelta difensiva fin nel minimo dettaglio. Vincemmo una partita determinante contro il Real Madrid per conquistare le Final Four di Eurolega lasciando completamente libero Ismael Santos, non un grande tiratore ma pur sempre un Nazionale Spagnolo. Ma veramente la consegna era di stargli a 6 metri, non marcarlo proprio e aiutare sugli altri. Noi nel pre-partita eravamo basiti e perplessi ma chi osava discutere Obradovic? E quale fu il risultato? Incartato il Real Madrid, partita vinta facile e Final Four di Barcellona raggiunte. Un grandissimo!”.
Tornando ai giorni nostri, lo scorso anno per Forlì fu una stagione trionfale, quest’anno sin da subito la strada si è fatta in salita. Da uomo di Pallacanestro le chiedo: secondo lei perché?
“Beh quest’anno Forlì ha avuto anche tanta sfortuna perché l’infortunio di Blackshear, che era l’uomo di punta della squadra, non è stata cosa da poco, lo stesso Vico con i suoi problemi in fase di preparazione ha complicato un bel po’ i piani di Gigi (Garelli n.d.r.) e quando una stagione parte in quella maniera poi diventa difficile raddrizzarla. Tra l’altro Forlì si è trovata a dover affrontare troppe partite senza un americano e in Serie A2 questo non puoi assolutamente permettertelo. Detto questo io credo che il programma di Forlì sia un programma vincente, partito con la grande stagione scorsa, dove ha pagato dazio quest’anno ma sono sicuro della salvezza, che darà lo slancio per implementare il programma di crescita di questa Società molto solida che è fatta di persone serie che vengono dal mondo dell’imprenditoria e che hanno tanta passione per il basket. Io credo che Forlì sia una piazza importante, destinata a crescere e a diventare una realtà veramente grande della pallacanestro italiana”.
Ci dica la verità, quanto è stato vicino a Forlì nel recentissimo passato?
“Con la Pallavanestro Forlì 2.015 abbiamo parlato più volte della possibilità di una collaborazione. All’inizio dell’avventura in B Gigi Garelli mi propose il ruolo di assistente ma io ero già in parola per guidare Monsummano però accettai con molto piacere di “battezzare”, in qualità di testimonial, la nuova Società nella prima uscita ufficiale in Comune. Poi quest’estate abbiamo riparlato del ruolo di vice nel caso che uno fra Pomo Serra e Paxon Tumidei avesse scelto di cogliere altre opportunità professionali, cosa che non si è verificata. In quel caso avrei accettato con entusiasmo anche a costo di rinunciare a proposte da capo allenatore. Chiaramente in questo momento tutte le mie energie e aspirazioni sono focalizzate ad aprire un ciclo vincente a Firenze ma uno dei miei sogni da allenatore è quello di lavorare e fare qualcosa di importante a Forlì all’interno di uno staff guidato da un head coach con cui condividere esperienze e conoscenze. Ad oggi non si sono ancora verificati tutti gli incastri giusti perché i tempi fossero maturi per concretizzare questa idea. E’ una possibilità che tengo presente e soprattutto la ritengo prioritaria rispetto ad altre opportunità. I rapporti con la Fondazione e i dirigenti di Forlì sono ottimi, con la piazza il feeling è straordinario e quindi quando ci sarà l’occasione sono pronto a mettermi in gioco perché sento di poter dare ancora tanto a questa città. Per me sarebbe un onore e un po’ come chiudere il cosiddetto cerchio”.
Ai nostri microfoni Riccardo Girardi a inizio stagione disse che i tempi non erano ancora maturi ma il matrimonio Niccolai-Forlì prima o poi si farà. Lei cosa risponde al Responsabile Area Comunicazione e Ticketing della Pallacanestro Forlì 2.015?
“Intanto lo saluto con affetto perché è un amico ed anche lui è un innamorato della pallacanestro forlivese. Fra l’altro Riccardo, e lo dico non da amico ma da addetto ai lavori, partendo dall’inizio dell’avventura della Pallacanestro Forlì 2.015 ha sviluppato un lavoro enorme sul piano della comunicazione sia social che tradizionale ed i grandi numeri che si sono concretizzati sono sotto gli occhi di tutti. Spero che la sua previsione sia di buon auspicio dato che come ho già detto prima, tornare a Forlì è un mio obiettivo ed un mio sogno. Forlì è una parte importante della mia vita, e fare pallacanestro lì, per chi vive questo sport con passione ed ambizione come me, è senz’altro un punto d’arrivo. Ora sono completamente immerso nell’esperienza Fiorentina , ci sono i presupposti per aprire un ciclo importante in viola ma come ha detto Ricky (Girardi n.d.r.) ci sono realistiche possibilità che il matrimonio prima o poi si faccia. Ogni cosa a suo tempo ma penso che il momento giusto e l’occasione giusta prima o poi si presenteranno”.
Le lascio idealisticamente una penna per scrivere due righe ai tifosi forlivesi. Cosa si sente di dir loro?
“Sarebbe bellissimo, perché è l’obiettivo di tutti, ritornare in Serie A1. Io che ho giocato con Forlì in A1 vorrei rivedere questa piazza nel massimo campionato, magari contribuendo a un’altra storica promozione in una veste diversa, per poi aiutare il Club a consolidarsi in una categoria che città, società e tifosi meritano per passione e numeri prodotti”.
Prima di salutarla volevo chiederle: nella pallacanestro moderna c’è un Andrea Niccolai in cui lei un pochino si rivede?
“Ogni generazione ha i suoi protagonisti e la sua pallacanestro ma se devo dire un ragazzo in cui rivedo alcune mie caratteristiche dico Amedeo Della Valle. Tiratore, atletico, grande personalità al limite dell’incoscienza ed appassionatissimo del gioco..mi piace tantissimo e sono sicuro che avrà una carriera straordinaria”.
Io le faccio un grosso in bocca al lupo per il prosieguo della sua avventura e il raggiungimento dell’obiettivo play off con la Fiorentina Basket e le dò appuntamento in un prossimo futuro a Forlì.
“Crepi il lupo innanzitutto e poi sicuramente verrò a vedere, non appena il tempo me lo consentirà, qualche partita. Magari quelle decisive per la salvezza che a questo punto è l’obiettivo fondamentale ed è un obiettivo assolutamente realizzabile che sono convinto verrà raggiunto grazie ad uno staff tecnico di prim’ordine e all’intervento della Società sul mercato per rinforzare la squadra”.