Vale la pena di tirare l’alba (avendo la sveglia alle 6,40) per assistere ad una stagione, l’ennesima, dei Brooklyn Nets? Si, assolutamente, ma a condizione di spogliarsi, per quanto possibile, delle vesti di tifoso (anche per evitare le reazioni del vicinato, già più volte sperimentate) per calarsi nei panni dell’analista, per cercare di capire qual è il progetto (finalmente ce n’è uno) ed a che punto è il percorso, faticoso, di rebuilding avviato da Sean Marks. Ecco perché gli eventi del mese saranno lo spunto per capire cosa succede e perché. Le emozioni non mancheranno: commentando l’ultima comparsa ai playoff della franchigia bianconera, due anni or sono, parlai di montagne russe, facendo il salmone rispetto ai commentatori di ogni dove. Bene: in due stagioni (compresa quella appena iniziata) è cambiato tutto: GM, appunto, head coach (due volte, ed io ho indetto per il 10 gennaio la mia personale festa della liberazione…da Lionel Hollins!), staff tecnico e societario, front office, roster (solo due conferme significative rispetto all’inizio della scorsa stagione), strategia di ricostruzione (molto meno di quanto si creda, ne resto convinto), eppure non è cambiato niente, almeno dal punto di vista emotivo: il primo mese, o giù di lì, di regular season, è stato talmente frenetico e costellato di alti e bassi, da costringermi a rimandare a tempi migliori qualunque giudizio. Prima zimbelli della Lega, poi rivelazione della Eastern, poi talmente scarsi da non sembrare neppure una squadra NBA… Io non ci sto: diamo una chance a questa franchigia ed armiamoci di pazienza!
In sintesi, la fredda cronaca. Dopo una onorevole sconfitta nell’esordio a Boston, i Nets 2.0 targati Marks–Atkinson stupiscono tutti infilando due vittorie convincenti contro Indiana e Detroit ed una sconfitta a fil di sirena in quel di Milwaukee. Se colpiscono i risultati, rispetto alle attese, ancor più colpisce la trasformazione tecnica e mentale della squadra: ritmi alti, gioco rivoluzionato, grinta, resilienza, giocatori ben calati nel ruolo, altissimo rendimento dalla panchina. Questo prima dello spartiacque. Si, perché, purtroppo, il primo scorcio di stagione va suddiviso nel prima e dopo l’infortunio di Lin, immediatamente assurto a leader e pacemaker della squadra. A dopo l’analisi tecnica, ma questo evento mette indiscutibilmente la sordina alla evoluzione dei Nets e, dopo due vittorie su Minnesota e Phoenix (non a caso due squadre altrettanto giovani ed ancora in cerca di un’identità, soprattutto difensiva), intervallate dalla dignitosa sconfitta nel derby, ecco iniziare una clamorosa serie di sette sconfitte senza attenuanti, imbarcate a tratti imbarazzanti da far sorgere dubbi atroci anche al più ottimista dei fan. Risultato in soldoni: record 2-3 prima, record 2-9 dopo! La sfortuna c’entra molto: in rapida successione vanno fuori per motivi fisici anche Vasquez (addirittura tagliato), Whitehead, buon ultimo Hollis-Jefferson… Due quinti dello starting five infortunati e reparto point guard (non esattamente il meno importante nel sistema di coach Kenny…) letteralmente azzerato! Inizia a funzionare a pieno ritmo l’ascensore con i Long Island Nets: giù in D-League McCullough e Bennett, promosso Yogi Ferrell. Ne giovano a piene mani le avversarie, in particolare vanno a nozze i vari Paul, Westbrook, Lillard, Russel, anche Collison. Atkinson è costretto a ridisegnare gli assetti, con alterne fortune. Qualche idea frulla, a volte si vedono buone cose fintanto che le avversarie non prendono le contromisure, poi si fa notte. In tre settimane ecco di nuovo depresso un ambiente che ricominciava a galvanizzarsi: altro problema, l’aspetto psicologico, non secondario, da affrontare e subito, per una squadra zeppa di rookies e sophomore! Poi, come una luce in fondo al tunnel, la clamorosa girandola di emozioni con i Clippers chiusasi, dopo ben due supplementari, con una brillante vittoria e con il carreer-high del buon Sean Kilpatrick, a mio parere uno dei giocatori chiave della nuova era, alla sua forse definitiva consacrazione come giocatore NBA! Montagne russe, appunto… Ed ora?
Qualche nota statistica su Jeremy Lin. È necessario puntualizzare cosa rappresenti per i Nets l’assenza di Lin. Il nostro viaggiava su 15 punti, 6 assist e quasi 4 rimbalzi in circa 27 minuti a partita. Si tratta di cifre sovrapponibili a quelle realizzate nel periodo della Linsanity sull’altra sponda della Grande Mela! Leggera flessione nelle percentuali dall’arco (ma molti tiri pesanti presi con fiducia!), significativo miglioramento al rimbalzo difensivo (particolare non da poco nel gioco ad alti ritmi chiesto dal suo mentore Atkinson). Molte cose non le si può estrapolare dalle fredde cifre, tuttavia impressiona il net rating: con Lin in campo rating offensivo/difensivo 109,3/107,4; senza Lin: 103,6/109,0! E si tratta di cifre in graduale, ulteriore peggioramento. Otto punti di differenza in 27 minuti scarsi…
Il gioco. In cosa consiste la rivoluzione tecnica di Atkinson? Detto che il lavoro del coach non si esaurisce nella filosofia di gioco e che entrerò nel merito delle luci ed ombre del nuovo allenatore un po’ più avanti, pure va sottolineato quanto sia diverso veder giocare i Nets quest’anno! La cosiddetta “motion offense” si basa su un gran movimento prodotto dagli esterni e su una continua circolazione di palla, finalizzata ad assicurare il tiro al giocatore meglio posizionato e più smarcato possibile. In questo sistema il pick and roll è un mezzo, non l’unico, non il fine. Gli esterni eseguono una serie di tagli e “mezzi ricci” con l’aiuto del bloccante, il quale è parte attiva nella manovra restando spesso sul perimetro per eseguire il pick and pop, per lo show offensivo o per prendere egli stesso parte alla fase della circolazione, mandando la squadra in sovrannumero sull’arco. Un altro gioco molto frequente prevede Lopez schierato in post medio o sul gomito in posizione “triple threat”, in una sorta di interpretazione della triple post offense in cui spetta a lui se attaccare il ferro mettendo palla a terra, eseguire il dai e vai con la guardia, scaricare sul lato debole o tirare. Con Booker (e Lin) in campo benino a tratti anche il “run&gun” (purtroppo abusato anche in loro assenza), con il rimbalzista difensivo che guida direttamente contropiede o transizione anticipando il rientro degli avversari. Il tutto agevolato dall’attitudine al rimbalzo anche di Bogdanovic ed Hollis-Jefferson. Le conseguenze immediate di questo sistema sono molteplici: i Nets sono tra le squadre con il più alto numero di triple tentate a partita (purtroppo non tra quelle con le più alte percentuali…), ma anche tra le meno presenti a rimbalzo offensivo e tra le più prone alla transizione avversaria. Impressionano i dati relativi alla frontline: significativo il fatto che Hamilton guidi la speciale classifica per le percentuali dai 7,25 tra i lunghi della Lega; ancor più colpisce l’evoluzione tecnico-tattica di Brook Lopez, che rimane il principale finalizzatore della squadra (20 ppg) sviluppando, però, un gioco profondamente diverso da quello finora conosciuto (solo 5,3 rpg e ben 31 triple finora messe a segno in un mese e spiccioli di stagione, contro le 3 messe insieme nei primi 8 anni di NBA!). Lopez lontano dal ferro per sfruttare le mani morbide e perfezionare il tiro da lontano: ideona di Atkinson, ma mi piace ricordare che, introducendo la scorsa stagione, All-around.net, forse in anteprima mondiale, aveva già ventilato questa possibilità…
Le criticità.
Capitolo PG. Ancora a proposito di Lin…JL7, al di là delle cifre già riportate, è un leader silenzioso capace di tirare fuori il meglio dai propri compagni e di costruire gioco sfruttando la sua rapidità nel pick and roll, che gli consente di giovarsi del benché minimo vantaggio acquisito dal blocco. Sugli scarichi, al di là delle percentuali non ottimali, resta uno dei giocatori più pericolosi, anche sui mismatch, per via della parabola di tiro molto alta e della rapidità nel rilascio. Indiscutibilmente il miglior assistman della squadra (oltre 8 nel dato statistico riportato su 36 minuti), va da sé che la sua perdurante assenza abbia indotto il coach a stravolgere i suoi piani, dovendo nel frattempo fare i conti con la perdita di Vasquez e con l’infortunio di Whitehead (non brillantissimo finora). Costretto a dare un alto minutaggio ad un “undrafted” come Yogi Farrell, il prescelto per tappare la colossale falla nel ruolo prediletto da Atkinson è risultato essere Sean Kilpatrick, shooting guard se ce n’è una! Il nostro, rivelazione della scorsa stagione pescata letteralmente dal mazzo della D-League dal neo-GM Marks, si è umilmente riciclato nel ruolo, con risultati ovviamente altalenanti: peggiorate le sue percentuali, per via della gravosità del playmaking, rispetto alla stagione d’esordio (41,9 vs 46,2%FG, 34,6vs36,2%3PT, 2,8 vs 1,1 TO), ha sfoderato, tuttavia, nella interminabile sfida contro i Clippers, una prova-monstre da 38 punti e 14 rimbalzi, risultando decisivo ed esibendo un gioco a due con Brook Lopez tale da mandare in crisi perfino la difesa di Cris Paul, non esattamente l’ultimo arrivato nel fondamentale…Resta, tuttavia, al di là dell’entusiasmo per la prova, l’innegabile buco nel ruolo-guida della squadra, e vedremo quanto questo abbia finora inciso sui risultati, specie in determinate fasi della partita.
Capitolo rimbalzi. Un gioco siffatto, che prevede quattro, spesso cinque giocatori schierati sul perimetro, ma anche un sistema difensivo ancora tutto da sgrezzare, ma profondamente nuovo, allontanando i lunghi dal ferro, crea inevitabilmente uno svantaggio su un fondamentale in cui, peraltro, fatta eccezione per Booker, già nessun lungo dei Nets tende ad eccellere. Il platoon system applicato da Atkinson, con tanti minuti per Scola ed Hamilton, frutta qualcosa, forse, in termini di furbizia e pericolosità dall’arco, rispettivamente, ma peggiora ulteriormente il dato (quattordicesimi sul conteggio grezzo dei rpg, ma tantissimi rimbalzi offensivi concessi, spesso determinanti). Il combinato di questa lacuna con il dato delle palle perse (terzi nella Lega) regala spesso un maggior numero di conclusioni agli avversari, e questo ren
de difficile portare a casa le partite….
Capitolo difesa. La difesa è stata ed è la peggiore sofferenza registrata dai Nets targati coach Kenny. Più che le cifre statistiche, già sconfortanti, quel che colpisce anche il più distratto degli spettatori (perché le partite vanno viste!) è la facilità con cui gli avversari vanno a canestro, da ogni posizione ed in svariate situazioni di gioco, segno che tutto è ancora da registrare negli schemi difensivi di Brooklyn. Ciò che più ha inciso negativamente sulla resa difensiva dei Nets è la deprimente permeabilità sul pick and roll, praticamente una lama che affonda nel burro. Clamorose le deficienze contro Portland e Sacramento, due esempi che meritano di essere menzionati perché emblematici: nel primo caso Booker abusa dello show difensivo, tardando poi nel rientro senza accettare il cambio. Così il lungo di turno si trova spesso libero di rollare al ferro. Nel secondo la sconfortante difesa di Bogdanovic, sempre dietro i blocchi, induce Joerger a chiamare il pick and roll Rudy Gay (ovvero il giocatore marcato da Bogie)-DeMarcus Cousins, usato sistematicamente nei momenti chiave del secondo tempo e sempre con il medesimo esito: i migliori in campo per punti, assist, rimbalzi! Lopez, invece, di solito non esce sul portatore, bensì aspetta a 4-5 metri dal ferro per cercare di chiudere il corridoio al palleggiatore: può essere un’idea, ma va rapidamente perfezionata, perché il nostro eroe sovente si trova in un limbo in cui perde di vista tanto il palleggiatore, quanto il bloccante, lasciando al primo tanto spazio per tirare indisturbato. Dalla difesa contemplativa sul P&R, a cascata, tutte le altre lacune difensive: si rendono obbligati gli aiuti sotto canestro e si lascia spessissimo indisturbato almeno un tiratore sul perimetro. La scarsa attitudine difensiva nell’uno contro uno di quasi tutti i giocatori (lo stesso Hollis-Jefferson mi è parso abbastanza regredito in quella che dovrebbe essere la specialità della casa) fa il resto. Senza una difesa che funzioni, dovendo quasi sempre rincorrere e cercare di segnarne uno più degli altri, la varietà degli schemi d’attacco, la rapidità di esecuzione ed il perfezionamento della fase offensiva divengono oltremodo determinanti, e ciò conferisce ancor più enfasi alla perdurante assenza di una point guard di ruolo!
I terzi quarti! C’è un costante filo rosso che attraversa tutte le prime gare stagionali dei Nets, emergendo in modo prepotente in occasione delle sconfitte: sistematicamente, dopo un primo tempo in cui si sta sul pezzo, si gioca, si segna, spesso si vince, anche, nel terzo quarto, in men che non si dica, e nella fattispecie intorno a metà periodo, si subisce il parziale che imprime la piega meno desiderata e spesso decisiva al match. Com’è possibile? Come si spiega una ricorrenza tanto precisa e sistematica? Ho individuato tre criticità: rotazioni (molto frequenti, non sempre indovinate: ci torneremo), ancora la mancanza di una PG titolare, capace di cambiare il ritmo alla gara, contropiedi. Tali issues sono profondamente legate fra loro: nell’intervallo i coach approfittano per modificare i propri assetti in base a quanto visto nella prima metà gara. A questo si aggiunga l’alto minutaggio concesso (per amore o per forza) a due rookies non ancora pronti come Whitehead e Farrell. Gli adattamenti difensivi delle avversarie, quali che siano, risultano il più delle volte efficaci: i ritmi si abbassano, si riduce significativamente il numero di passaggi, spuntano isolamenti e tiri forzati fuori ritmo, fioccano le palle perse. Da qui il numero elevato di transizioni e contropiedi, sui quali i Nets appaiono in evidente ritardo strategico e di condizione. Rapidi parziali generano la doppia cifra di svantaggio, dalla quale, poi, è durissima risalire. Questo andamento della gara è fastidiosamente costante, ma varrà la pena di portare ancora tre casi emblematici: contro i Knicks, gara fino a quel punto sempre condotta e giocata egregiamente, nel terzo parziale il difensore sceglie di mandare sempre Kilpatrick verso la linea laterale, in pratica imbottigliandolo e costringendolo a giocare il P&R laterale, tagliandogli la via diretta al canestro e rallentando la manovra bianconera. La trance agonistica di Melo con i suoi isolamenti ha poi, fatto il resto; ancora contro Sacramento (gara rimasta impressa nella mia mente come abbordabilissima, ove fossero state fatte le scelte giuste!), quando Joerger alza il muro davanti al canestro con Koufos e Cousins, contro i quali sistematicamente il play di turno va a sbattere; nell’ultima contro i Bucks, quando Giannis Antetokounmpo, schierato da PG (ancora!), ingrana la quinta e spazza via la difesa, tra palle rubate e contropiedi: parziale 2-14, game-set-match. E, finalmente, Atkinson prende atto ed assicura che inizierà a lavorarci.
Capitolo coach. Fortunatamente, non è certo la voglia di lavorare che manca all’esordiente head coach, preceduto dalla fama di curatore maniacale dei dettagli e specialista nello sviluppo dei prospetti. Grazie a lui abbiamo mandato in soffitta i tempi bui in cui Hollins sbeffeggiava l’uso delle statistiche e minimizzava la preparazione delle partite: basterebbe questo per beatificare coach Kenny! Grazie a lui, a Brooklyn vige la cultura del lavoro e del miglioramento giorno dopo giorno; a lui è dovuta la nuova filosofia di gioco, sulla quale i giocatori, con i loro limiti ma con entusiasmo, paiono seguirlo, veterani compresi. Tra le mille luci, però, qualche ombra c’è ancora, ed Atkinson dovrà lavorare anche su sé stesso, se vorrà far rendere la squadra al meglio e far fruttare questa stagione. Rotazioni non sempre azzeccate nei modi e nei tempi, troppi minuti ad un fin qui deludente Scola, troppa panchina per Lopez, troppi rookies nei momenti chiave della gara. E poi letture talora tardive (insisto: se cambi la marcatura su Gay togli un’arma a Sacramento!). Il timing scelto per i minuti di sospensione lascia a mio avviso a desiderare: quando è in atto il parziale avversario, occorre fermare il gioco per spezzare il loro ritmo e non dare un’impressione rassegnata ai propri ed altrui giocatori! Dura far quadrare il cerchio, stanti le assenze (e non dobbiamo dimenticare che la steal dell’ultimo draft, Caris LeVert, è ancora ai box!), ma a mio parere ci sono cose migliorabili e finora forse un po’ trascurate…
Qualche idea. Atkinson ha per le mani gli strumenti per migliorare il rendimento della squadra sul piano del palleggio ed alla voce rimbalzo: Randy Foye, anch’egli reduce da un pesante infortunio, è parso, finora, spaesato e sottovalutato, ma ha l’esperienza ed i mezzi tecnici per contribuire a rendere meno drammatica l’assenza della PG titolare. Se, infatti, le sue cifre parlano di un giocatore ancora tutto da ritrovare (5,5 ppg, 2,3 apg, 33,3 FG%), vero è che, con lui in campo, si ha la sensazione di una minore fatica nel portare palla da parte della starting PG. Un “sussurratore alle PG” come Atkinson può e deve, a mio parere, insistere su di lui finché Lin non restituisca il sorriso ai tifosi. Anthony Bennett, a mio parere, è stato troppo frettolosamente relegato ai margini delle rotazioni e spedito in D-League (ove peraltro sta facendo benone), ma nei pochi scorci di partita concessigli ha mostrato reattività al rimbalzo in attacco, movimenti giusti sotto canestro ed una discreta attitudine, pur con molte forzature e strafalcioni vari, agli schemi offensivi e ad aprire il campo: ecco qualcuno che meriterebbe di potersi giocare più e meglio la sua forse ultima carta NBA! A meno che…
Il mercato. Proprio mentre chiudo l’articolo i Nets hanno firmato il lungo Donatas Motiejunas con una offer sheet d 37 milioni per quattro anni, con team option per il secondo e gli ultimi due non garantiti. Si tratta di una mossa azzeccatissima tecnicamente e per i criteri contrattuali! Abile stretch four, tiratore e passatore, gladiatore all’occorrenza, discreto difensore…sembrerebbe tagliato su misura per il gioco e per colmare le lacune dei Nets attuali, senza contare la possibilità di dare respiro a Lopez come, purtroppo, finora Scola non è riuscito a fare. Ove il ragazzo stesse davvero bene, poi, chissà quali scenari si potrebbero aprire per il cilindro di Sean Marks, sempre ricco di sorprese e di aggressività sul mercato…I Rockets hanno altri due giorni di tempo per pareggiare l’offerta. Pare verosimile che lo facciano, ma al di qua del ponte ci si augura che non finisca come con Tyler Johnson ed Allen Crabbe quest’estate…
Per chiudere: il migliore! Neppure si può chiedere, d’altronde, all’ottimo Trevor Booker, che nomino ufficialmente “retina del mese”, di far sempre pentole e coperchi! Miglior rimbalzista per distacco (8,3rpg), buone proprietà di palleggio, miglior difensore (l’unico?), terzo giocatore della Lega per palle rubate…Se Lopez è l’uomo-franchigia (resterà?), Lin il condottiero (quando tornerà?), Kilpatrick la rivelazione ed il più maturato, Trevor merita senza dubbio la palma di garanzia di rendimento! Una delle poche certezze di questo sfortunato, altalenante, interlocutorio primo mese dei nuovi Brooklyn Nets…