Corbani come è nata la sua passione per la pallacanestro?
“Nel modo più semplice: giocando. Fin da piccolo per me stare col pallone in mano era una cosa importantissima. Ricordo che cercavo di finire in fretta di studiare per poi andare a giocare. A quei tempi (Corbani è del 1966,ndr)) Milano era una città molto vivibile anche per strada, si giocava negli oratori ma anche nei cortili, nei giardini pubblici, chi a calcio chi a pallacanestro come me“.
Il suo mito era l’Olimpia Milano?
“Non ancora. Io sono cresciuto col mito dei Los Angeles Lakers di Jabbar, Magic Johnson, James Worthy, Jamal Wilkes e compagni che giocavano correndo. Ero affascinato da come Magic correva il campo e di come faceva correre i suoi giocatori. Poi da piccolo in televisione la squadra che si vedeva di più sulla Rai era Varese quindi sono diventato un tifoso di Varese. E poi…”
E poi?
“Beh sono nato davanti alla storica sede dell’Olimpia in via Caltanissetta 3, quindi quando sono arrivato lì ad allenare prima il settore giovanile, poi a fare l’assistente in prima squadra, qualcuno disse che ero un predestinato. Ed avendoci trascorso sette anni, è logico che sia diventato un tifoso dell’Olimpia. Ma il mio essere tifoso non è mai stato quello tipico: a me piace lo sport praticato. Io sono tifoso di tutte le manifestazioni sportive, in particolare di quelle che posso vivere da attore“.
Roma è la sua prima città fuori dal triangolo Lombardia-Piemonte-Veneto. Come va?
“E’ la stessa cosa che abbiamo pensato in famiglia con mia moglie e mia figlia quando è nata questa opportunità. E naturalmente abbiamo deciso subito di provare. Come stiamo? Benissimo, a parte la città di cui è inutile parlare, il posto dove viviamo è tranquillo, c’è un bell’ambiente, persone super. Sono due mondi diversi ma entrambi molto interessanti e belli“.
Parliamo della Virtus Roma. Quanto c’è di quel fascino “Lakers” nella filosofia di allenatore di Fabio Corbani?
“Fatte le dovute proporzioni di tempo e di atleti, direi che c’è molto. A me piace, e l’ho sempre detto, far correre le mie squadre. Mi piace che i giocatori arrivino al limite delle loro capacità di affrontare i problemi per poi aiutarli tatticamente. Voglio che abbiano sempre la voglia di vincere e che facciano sempre la cosa giusta per vincere. I giovani debbono secondo me essere prima istruiti tecnicamente poi può arrivare il suggerimento tattico. Ma prima di tutto devono imparare a vincere le partite. E credere ogni giorno sempre di più nelle loro qualità“.
Il prossimo passo immediato che si aspetta dalla sua squadra?
“Diciamo che sono due e vanno di pari passo. A breve mi aspetto una crescita di responsabilità e di scelte da Landi e Benetti. E poi dal settore dei playmaker. Con tutte le attenuanti specie per questo ultimo settore che in Italia è molto complicato per un giovane ed un americano che arriva per la prima volta: c’è molta tattica quindi bisogna faticare un pò di più per adattarsi. Ma il tempo i miei ragazzi ce l’hanno, anche se ogni domenica voglio che vadano in campo per vincere“.
Giovani, tempo, abitudine. Su queste basi si articola la composizione e l’ambizione della Virtus Roma di quest’anno?
“Certo. Abbiamo fatto la scelta dei giovani perchè i ragazzi debbono avere spazio per giocare altrimenti non crescono mai. Col nostro budget siamo andati a cercare un certo tipo di giocatore, come Brown per fare un esempio. In quel ruolo lì il rischio è che trovi un giocatore esperto ma modesto ed allora abbiamo scelto di prendere uno che come impatto sul campionato fosse come un giovane, cioè da seguire e da far maturare ogni giorno“.
Giovani che non giocano mai che però a livello di Nazionali giovanili, come lei sa perfettamente, vincono spesso in giro per il mondo.
“Sì perché son bravi e c’è il tempo di lavorare con un gruppo facendolo migliorare un pò alla volta. Il problema è che quando finisce la Nazionale questi ragazzi non trovano spazio e vanno a cercarsi qualunque cosa pur di giocare. Scendono di categoria magari rispetto al loro lavoro per giocare. Mentre gli Under 20 di altri paesi sono già da tempo nei roster delle rispettive prime squadre e dopo la Nazionale tornano lì a giocare“.
Che pallacanestro si gioca in Italia al momento, sia in serie A che in A2 secondo lei?
“Il livello si è abbassato. In serie A2 perché ci sono 32 squadre e quindi i giocatori bravi sono troppo spalmati in troppe squadre. In serie A la mancanza di soldi ha portato a scelte qualitativamente non eccelse. Quando smetteranno di giocare, per raggiunti limiti di età, quei giocatori italiani frutto dei 30/35 grandi settori giovanili di una volta, vedremo cosa accadrà, cosa c’è dietro. Però in Europa il livello è alto, molto, tanto a livello giovanile quanto a livello senior“.
Nel girone ovest cosa c’è di interessante dal punto di vista tecnico?
“Presto per dirlo, secondo me servono almeno dieci giornate per capire. Per ora mi pare che Biella ha “corpo”, cioè è una squadra molto fisica ma bisogna vedere quando le altre si adegueranno; Reggio Calabria ha talento ma anche qui bisogna vedere se può bastare in un campionato così lungo“.
E la Virtus come le piacerebbe che fosse definita?
“Mi piacerebbe che la Virtus venisse considerata come una squadra che prova sempre a giocare a pallacanestro “.